Antonín Dvořák (1841 – 1904)
Sinfonia n. 8 in Sol maggiore op. 88
Sinfonia n. 9 in Mi minore op. 95 “Dal Nuovo Mondo”
direttore Pietari Inkinen
Orchestra I Pomeriggi Musicali
Biglietteria
Prezzi dei singoli biglietti
Intero
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Ridotto (under30, over60)
Posto unico € 8,00 + prevendita
Note di sala
Non poteva chiudersi in modo più consequenziale l’80a Stagione dei Pomeriggi Musicali: con il dittico che corona il contributo di uno dei massimi sinfonisti romantici al genere principe del repertorio orchestrale. Negli anni in cui Verdi attendeva all’ultimo capolavoro, Falstaff, Antonín Dvořák, il Brahms slavo, completava con due lavori diversissimi la serie di sinfonie con cui raggiunse – in compagnia di Bruckner e, una generazione dopo, di Mahler – il fatidico numero beethoveniano di nove lavori, numero da cui tutti i grandi romantici, a cominciare da Brahms, erano rimasti ben lontani.
Composta tra il 26 agosto e l’8 novembre 1889, l’Ottava sinfonia è un’oasi felice nel catalogo di Dvořák. Nella tonalità pastorale di Sol maggiore, le è sempre stato riconosciuto il benefico influsso del ritiro agreste in cui fu scritta, la casa di campagna di Vysoká. La partitura propone una sintesi felice tra l’esuberante invenzione di Dvořák, espressa nella generosità delle idee melodiche spesso di natura popolaresca e i principi formali del sonatismo classico-romantico, impiegati con grande libertà. Presentata a Praga il 2 febbraio 1890 diretta dall’Autore, fu riproposta per l’attribuzione della laurea honoris causa a Cambridge l’anno dopo. Come per un’altra illustre irregolare”, l’“Incompiuta” di Schubert, l’Allegro con brio iniziale attacca con un’importante introduzione in modo minore. Il canto disteso dei violoncelli fa da sfondo all’ingenuo primo tema pastorale al flauto, che rischiara l’atmosfera sul tremolo dei violini, quasi emergendo dalla wagneriana “Foresta” del Siegfried. Il secondo gruppo tematico dal piglio cavalleresco ai legni si gonfia d’empito lirico. Il vasto Adagio in Do minore/ maggiore, in forma sonata senza sviluppo, pare costruito per pannelli giustapposti di grande prodigalità motivica. Gli archi espongono un intenso primo tema dall’ampio respiro sinfonico, cui rispondono un carillon sbarazzino dei flauti e la struggente melodia dei clarinetti. Una nuova sezione di scrittura trasparente introduce il secondo tema, lirico e svettante a flauto e oboe, cui risponde il violino solo, quintessenza del lirismo romantico. L’Allegretto grazioso è un gioiello d’interpretazione personale dello Scherzo: i violini propongono un aereo ed elegante tema di valzer in Sol minore dalle inflessioni slave. Uno sforzando a organico pieno impone una nuova idea tematica statica, pervasa di cromatismo. Nel Trio Dvořák profonde il dono melodico più personale, parente della futura Nona: flauto e oboe propongono un tema di carattere popolare tratto dall’atto unico Gli amanti testardi (1874), ritirato dalle scene nel 1881, mentre archi, trombe e timpani assicurano una sezione contrastante. Ripreso lo Scherzo, chiude una Coda (Molto vivace) in 2/4 che trasfigura il placido tema del Trio nell’energia d’una danza veloce. Affascinante è l’esuberanza inventiva dell’Allegro ma non troppo, la cui generosità melodica è veicolata dall’originale combinazione di due forme eterogenee: tema con variazioni e forma sonata. La tromba solista introduce con una fanfara marziale l’Esposizione del primo tema, che si libra caldo dai violoncelli, non privo di inflessioni intimistiche nella seconda parte. Il contrastante secondo tema si presenta come una livida marcia in Do minore sottoposta a varie metamorfosi timbriche. Una serie di variazioni conduce alla Coda (Più animato), che chiude la sinfonia in un clima di entusiasmo dionisiaco.
Penultima partitura sinfonica di Antonín Dvořák prima del Concerto per violoncello ascoltato lo scorso marzo, la Sinfonia in Mi minore “Dal Nuovo Mondo” nasce in una stagione professionale singolare del compositore, chiamato nel 1891 dalla ricca filantropa Jeannette Thurber, a dirigere il nuovo National Conservatory of Music di New York. Reduce da una tournée in Russia su invito di Čajkovskij, unico compositore europeo di prima sfera a istituire un rapporto non episodico con gli Stati Uniti, nei tre anni della piena maturità (1892-95) trascorsi come direttore e professore di composizione Dvořák proseguì nel solco della ricerca che l’aveva sempre ispirato, raccogliendo l’appello dei suoi interlocutori d’Oltreoceano a «indicare loro la Terra promessa, il regno di un’arte nuova e indipendente, insomma uno stile di musica nazionale». Lo fece raccogliendo per il tramite d’un allievo afroamericano, Harry Thacker Burleigh, canti delle piantagioni e melodie dei nativi americani (le due grandi “riserve” di cultura musicale altra rispetto a quella europea); teorizzò i parametri (la scala pentatonica, che conferisce all’invenzione tematica un sapore in confondibile, peculiarità ritmiche come la sincope) d’uno stile nazionale americano; introdusse elementi di tale vocabolario nell’importante serie di composizioni realizzata in quel torno d’anni, primi fra tutti i tre lavori del 1893: la cantata The American Flag op. 102, il Quartetto n. 12 “Americano” e appunto la Sinfonia n. 9 “Dal Nuovo Mondo”, scritta tra il 10 gennaio e il 24 maggio 1893 e presentata dal tedesco Anton Seidl a dicembre alla Carnegie Hall di New York. Non si tratta tuttavia di genuina trascrizione di materiale folklorico, secondo una moderna concezione etnomusicologica. Dvořák sussume piuttosto, come lui stesso dichiarò, questi materiali nel processo creativo, ricavandone motivi originali, com’era abituato a fare con la musica folklorica boema.
Aperto da un Adagio evocativo, l’Allegro molto d’apertura si basa su un entusiasmante primo tema pieno di energia che ritorna ciclicamente in tutti i tempi (qualcuno vi ha percepito l’eco del vitalismo della New York in piena espansione), con un terzo tema modellato sullo spiritual Swing Slow, Sweet Chariot. Il Largo, intitolato negli abbozzi Leggenda, è ispirato a un episodio, la Sepoltura nella foresta, del poema su soggetto nativoamericano The Song of Hiawatha (1855) di Henry Wadsworth Longfellow, suggeritogli dalla Thurber come soggetto per un’opera mai realizzata, ma già noto da trent’anni al compositore in traduzione cèca. Da un avvio non meno evocativo sboccia la melodia folklorica sorgiva del corno inglese, tra le più ispirate del romanticismo europeo. Lo Scherzo, splendido esempio di caratteristico sinfonico romantico nella linea che da Beethoven conduce a Mendelssohn, ispirato alla Danza nuziale indiana del poema citato, ospita un trio giocoso, che per ascendenza culturale mitteleuropea non stonerebbe in una sinfonia di Mahler. Memorabile, infine, il muscolare, energico tema dell’Allegro con fuoco conclusivo, cui l’abbassamento del settimo grado conferisce un fascinoso colore esotico.
Raffaele Mellace