Direttrice: Gianna Fratta, pianoforte: Avery Gagliano - In anteprima - I Pomeriggi Musicali - Teatro Dal Verme

Le date

Sala Grande
giovedì 30 gennaio 2025
Ore: 10:00*
*I Pomeriggi in anteprima

Pëtr Il’ič Čajkovskij (1840 – 1893)
Concerto n. 2 in Sol maggiore per pianoforte e orchestra op. 44

Gabriel Fauré (1845 – 1924)
Pavane in Fa diesis minore op. 50
Suite da Pelléas et Mélisande op. 80

direttrice Gianna Fratta
pianoforte Avery Gagliano
Orchestra I Pomeriggi Musicali

Biglietteria

Prezzi dei singoli biglietti
Intero
Posto unico € 10,00 + prevendita
Ridotto (under30, over60)
Posto unico € 8,00 + prevendita

Note di sala

Passano appena cinque anni tra la nascita di Pëtr Il’ič Čajkovskij e quella di Gabriel Fauré. Pur in contesti differenti e con un destino assai diverso, questi due grandissimi segnarono in misura decisiva la civiltà musicale del secondo Ottocento, la stagione dell’esaurimento del Romanticismo e dell’invenzione del moderno. Il concerto odierno ne propone tre lavori che chiudono, esattamente nell’ordine in cui saranno eseguiti, ciascuno uno gli ultimi tre decenni del secolo.
La composizione più antica, realizzata con agio tra l’ottobre 1879 e l’aprile 1889, è probabilmente il più negletto tra i concerti čajkovskijani, di rarissimo ascolto; pagina in realtà profondamente ispirata, di meravigliosa vitalità e straordinario interesse. Lontanissimo dalla fama, mitica, irraggiungibile, del Primo Concerto, con quello intrattiene nondimeno una relazione; fu con l’intento di guadagnarsi l’apprezzamento del grande virtuoso Nicolai Rubinstein – prima aspramente critico, poi magnifico interprete del Concerto in Si bemolle minore – che Čajkovskij pose mano a questa seconda partitura, confidando alla sua mecenate l’auspicio che «questa volta l’intervallo tra la critica e l’esecuzione sia più breve». Le cose andarono diversamente: quando la composizione venne pronta, Rubinstein era ormai gravemente malato – sarebbe scomparso quarantacinquenne meno di un anno dopo – e non ebbe modo d’interpretare il concerto dedicatogli. Toccò, diretto dal fratello Anton, al meno talentuoso ma fedelissimo Sergej Ivanovič Taneev, a Mosca nel maggio 1882, quando la composizione era già stata probabilmente proposta a New York il novembre prima.
Privato d’un lancio comme il faut, sotto le dita d’un virtuoso di cartello, ciò che probabilmente ha negato al Secondo Concerto quella fama che meriterebbe è l’irregolarità, il carattere eccessivo e imprevedibile della sua concezione: caratteristiche che trovano nel primo tempo la manifestazione più evidente. Un movimento torrenziale, al cui centro (non in prossimità della conclusione, come di norma) campeggia una monumentale cadenza multipartita per il solista; o meglio, è l’intera sezione dello Sviluppo a essere fagocitata da una cadenza pianistica che segue un primo intervento orchestrale di analogo peso, ammette un nuovo contributo dell’orchestra, per prendere prepotentemente la scena con una seconda parte di cadenza dall’estensione monstre di 142 battute. A terminare il movimento con la travolgente euforia della Coda, manca a quel punto ancora l’intera Ripresa di questa forma sonata. La volontà di sovvertire le regole non s’arresta peraltro qui, investendo le relazioni tonali, che prediligono i rapporti di terza alle tradizionali quinte. In varia proporzione, per tutto il movimento un pianoforte estremamente eloquente avrà alternato passaggi tumultuosi a esitanti, rapsodiche inquietudini, pagine monologanti o dialoghi con un’orchestra mobilissima e iridescente. Ancora più interessante suona l’Andante non troppo centrale (ancora a distanza di terza: in Si minore), in cui Čajkovskij, disinteressato a scrivere un concerto per virtuosi, in cui cioè l’interprete prevale sul compositore, riprendendo un remoto modello beethoveniano e soprattutto le coeve esperienze brahmsiane – il Doppio Concerto, l’Andante del Concerto n. 2 – affianca al pianoforte i due strumenti ad arco protagonisti della scena classico-romantica, il violino e il violoncello, cui affida una raffinata, quasi cameristica introduzione e un peso rilevante in tutto il movimento. Il pianoforte interviene solo 75 battute più tardi, ma con un lirismo di tale intima intensità da imporsi come memorabile. Estroverso, esuberante, virtuosistico, per il pianoforte e per l’orchestra, nonché vitale come ce lo si aspetterebbe è l’Allegro con fuoco conclusivo, non senza un omaggio a Schumann nel secondo dei tre temi.
All’altro capo di quel decennio, nel 1887, la celeberrima Pavane in Fa diesis minore fu composta per una serie di concerti estivi da Gabriel Fauré, che ben presto l’accompagnò a un coro invisibile con eventuale intervento coreutico, dedicando questa versione più ambiziosa alla mecenate, contessa Élisabeth Greffulhe. Il 25 novembre 1888 il pezzo veniva proposto in prima esecuzione assoluta nella sua veste orchestrale a Parigi, per i Concerts Lamoureux. I Ballets Russes di Sergej Djagilev l’accoglieranno nel loro repertorio come Las Meninas, mentre trent’anni più tardi Fauré lo riprenderà nel divertissement Masques et bergamasques. Il titolo si riferisce idealmente, secondo quel gusto arcaicizzante fin de siècle che coinvolgerà anche Ravel, alla danza lenta cinquecentesca, ma popolare anche nel Seicento, dall’andamento composto e solenne, quasi funebre, di norma accoppiata a una veloce gagliarda. Irresistibile è la suggestione che promana dal magnifico tema onnipresente, dal carattere ondivago tipicamente tardoromantico, esposto in apertura dal flauto e amplificato dall’intera compagine orchestrale, peraltro contenuta (oltre agli archi contempla legni e corni a coppie), in un contesto armonico raffinato ed estenuato.
Trascorre un altro decennio e ci s’imbatte in un lavoro dalla vicenda complessa, la Suite Pelléas et Mélisande op. 80. Nel 1898 a Gabriel Fauré furono commissionate dall’attrice inglese Mrs. Patrick Campbell le musiche di scena per il dramma lirico omonimo del poeta belga Maurice Maeterlinck, il testo più fortunato del simbolismo musicale, che avrebbe ugualmente impegnato Schönberg, Sibelius e Debussy. Dei 19 numeri della partitura originaria, strumentata dall’allievo Charles Koechlin, Fauré trasse, orchestrando per un organico più ampio, una suite da concerto presentata a Parigi il 3 febbraio 1901, una settimana dopo la morte di Verdi. L’ascoltatore affronta in quattro stazioni un percorso compiuto attraverso la vicenda infelice dei due amanti. Il Prélude – che Fauré si raccomandava non venisse eseguito troppo veloce – evoca la sfuggente dolcezza di Melisande, i presagi dell’epilogo funesto, la figura minacciosa del marito Golaud; La Fileuse presenta il personaggio all’arcolaio, con i violini primi che imitano l’avvolgimento del filo e l’oboe chiamato a dar voce all’autenticità naïve di Mélisande. La celebre Sicilienne, aggiunta alla Suite nel 1909, simbolo del corteggiamento presso la fontana abbandonata, proviene dalle incompiute musiche di scena per Le bourgeois gentilhomme, passando da una pagina per violoncello e pianoforte (1893). La mort de Mélisande chiude la vicenda con una sommessa marcia funebre.

Raffaele Mellace