Le date
Martedì 4 febbraio ore 21
Teatro Cagnoni, Vigevano
Mercoledì 5 febbraio ore 21
Teatro G. Pasta, Saronno
Giovedì 6 febbraio ore 21
Sala Grande del Teatro Dal Verme di Milano
Sabato 8 febbraio ore 17
Sala Grande del Teatro Dal Verme di Milano
Direttore:
Bruno Giuranna
Orchestra:
Orchestra I Pomeriggi Musicali
Programma di sala:
Franz Schubert
Quartetto n.14 in Re minore per archi “La Morte e la Fanciulla”
(Versione per orchestra d’archi di Gustav Mahler)
Allegro
Andante con moto
Scherzo (Allegro molto)
Presto
Wolfgang Amadeus Mozart
Sinfonia n.36 K.425 in Do maggiore “Linz”
Adagio – Allegro spiritoso
Poco Adagio
Menuetto
Presto
Il Concerto
a cura di Andrea Dicht
L’attività artistica di Gustav Mahler si espresse tanto nel campo della creazione pura quanto in quello dell’interpretazione, essendo stato un attivo direttore d’orchestra, anzi, uno dei primi grandi professionisti della bacchetta. Se il corpus pressoché completo delle sue composizioni è ancora oggi oggetto di interesse ed è costantemente percorso nelle stagioni concertistiche, una testimonianza della sua capacità di interprete proviene invece dalle revisioni e dai rimaneggiamenti di opere che facevano parte del suo repertorio direttoriale o che avevano catturato il suo interesse di studioso. Il Quartetto di Schubert stasera in programma fu adattato da Mahler per un ampio insieme di archi nel 1894, ed egli ne diresse il solo secondo movimento, l’Andante con moto, il 19 novembre di quello stesso anno, in un concerto inserito nella stagione ad abbonamento di Amburgo (per una prima esecuzione completa si dovrà attendere il 1984, alla Carnegie Hall di New York). L’esecuzione di Mahler ebbe uno scarso successo, in particolare tra gli ambienti benpensanti, ma ciò non gli impedì, negli anni successivi, di eseguire a Vienna anche i Quartetti op.95 e 131 di Beethoven ancora con una vera orchestra d’archi. In realtà l’intervento di Mahler sulla partitura di Schubert fu piuttosto contenuto: al di là dell’idea di pensare i singoli strumenti come sezioni ben nutrite, egli si limitò a desumere una linea melodica dei contrabbassi (strumento assente nel quartetto d’archi classico) quasi del tutto identica a quella dei violoncelli, creò un certo sapore sinfonico introducendo nel tessuto cameristico qualche raddoppio in ottava delle voci, in alcuni casi divise i gruppi strumentali in due parti distinte per ragioni timbriche e di esecuzione, in ultimo ideò un complesso sistema di suoni in sordina nel secondo movimento al fine di creare un effetto sonoro tipico della scrittura sinfonica. La materia musicale rimase intatta, ed in questo vediamo comunque la buona fede di un Mahler profondamente rispettoso della musica dei grandi maestri, anzi di un uomo che aveva dedicato grande parte della sua attività di interprete alla diffusione di lavori a volte negletti (si legga in questo senso la sua revisione sostanziale della strumentazione delle quattro sinfonie di Schumann).
Quando Schubert morì, alla giovane età di 31 anni, il suo lascito materiale consisteva in pochi abiti, qualche completo di lenzuola ed una pila di “vecchia musica” che fu valutata 63 fiorini, più o meno l’equivalente di 100 euro di oggi. Uno di questi fascicoli era il manoscritto di questo quartetto, oggi considerato uno dei massimi capolavori di tutti i tempi per questa formazione di archi. Composto nel gennaio del 1826, non fu mai pubblicato durante la vita del compositore, e fu eseguito solo in ambienti casalinghi, poche volte e sempre ad opera di amici di Schubert. Sembra incredibile, ma egli lo inviò al famoso editore Schott proponendone la pubblicazione insieme ad altri due quartetti, tre opere, una Messa ed una sinfonia, e dopo qualche tempo si vide recapitare indietro l’intero pacco di manoscritti, rifiutati dalla casa editrice perché a loro avviso il denaro richiesto dal compositore era troppo alto, peraltro con la preghiera di inviare “qualcosa di meno difficile ed in tonalità più semplici”.
La didascalia “La Morte e la Fanciulla” non deve essere intesa come programmatica dell’intero brano, ma questa denominazione nasce dal fatto che il famoso secondo movimento in realtà consiste in cinque variazioni sul tema dell’omonimo Lied per voce e pianoforte composto dallo stesso Schubert nove anni prima (lo stesso procedimento valido per il quintetto “La Trota”). Il testo del Lied, un breve poema di Matthias Claudius, consiste in un dialogo in cui una Fanciulla scaccia la Morte che sopraggiunge, e a quest’ultima la Morte risponde: “Non sono cattiva, dolcemente dormirai tra le mie braccia”. Nonostante il tema di questo Lied venga citato solo nell’Andante, non c’è dubbio che i toni generali di questo brano siano gravi, oscillanti tra la disperazione, l’abbattimento, l’abbandono e la malinconia, con brevi e fugaci sprazzi di positiva speranza.
L’atmosfera tragica è stabilita sin dalle prime misure dell’Allegro con un forte e perentorio gesto di tutti gli archi, con lo stesso ritmo, in un fortissimo di carattere affatto cameristico. Questa figurazione minacciosa contiene in sé già la cifra espressiva del primo movimento, rasserenata da un secondo tema, ai violini, di carattere cantabile ma comunque non tranquillo, dall’interno minato nella sua essenza instabile. L’intero svolgimento dell’Allegro consiste in una vera e propria battaglia tra questi due elementi tematici, ritmico e cantabile, una guerra allo sfinimento in cui i due caratteri stessi perderanno la loro fisionomia, si scambieranno i ruoli sino ad un’esausta vittoria della cellula motivica di apertura, ai bassi, nel piano.
Il tema del Lied che dà vita alle cinque variazioni dell’Andante con moto è una melodia molto semplice, disegnata da tutti gli archi su un identico ritmo di una nota lunga seguita da due brevi (in metrica, un dattilo). Non vi è un sentimento prevalente, la tensione deriva tutta dal movimento omoritmico della figurazione e a seconda delle armonie, si passa in poche note dalla tristezza ad una certa timida gagliardia, mai comunque preponderante. La prima variazione è tutta affidata ai violini primi, su un sottile accompagnamento dei secondi violini e delle viole, basato su pizzicati dei bassi che ricordano il ritmo del tema. La seconda variazione vede invece protagonisti i violoncelli, impegnati nella melodia del tema (leggermente variato), sormontati da un raffinatissimo contrappunto delle altre sezioni degli archi. La terza variazione vede invece modi eroici alternati a brevi momenti lirici mossi dalla stessa pulsazione (ma ora accelerata) del tema principale. La quarta variazione è uno dei pochi momenti sereni di tutto il Quartetto, e mentre violini secondi, viole e bassi “giocano” col tema, i primi violini viaggiano nella regione acuta con fioriture e figurazioni di abbellimento. La serenità appena conquistata si spegne con la quinta variazione, il discorso musicale si infiamma fino ad una Coda, pacata, quasi positiva anche se informata da reminiscenze del triste tema principale.
Lo Scherzo è uno dei migliori Scherzi di Schubert, un movimento rapido di grande e feroce energia, dominato da una pulsazione ritmica sincopata che lo caratterizza. Il Trio che vi è incastonato all’interno è invece più disteso, ma la melodia su cui si basa appare sempre accompagnata da cellule ritmiche piuttosto vivaci, a tradire una certa nuova “permeabilità” interna tra le due sezioni di questa forma.
Il Presto finale è un vero brano virtuosistico, tanto nella stesura originale quanto in quella orchestrale. E’ una danza macabra concitata ed inarrestabile, e ancora alla sua apertura vediamo tutti gli archi unisoni e allo stesso ritmo. La forma rimanda ad Haydn per la geniale mistura tra forma-sonata e rondò: i vari episodi si susseguono in maniera imprevedibile, e sembra che la forza ritmica si imponga sempre più su ogni altra variabile. E’ infatti essa a prendere le redini della trama sino ad un Prestissimo conclusivo che termina il Quartetto nella stessa tonalità d’apertura.
Il 4 agosto 1782, nella Cattedrale di S. Stefano in Vienna, Mozart sposò la cantante Constanze Weber, soprano di un certo talento. Non fu prima dell’indomani delle nozze che il compositore ricevette da Salisburgo la lettera che conteneva, pur riluttante, l’assenso alle nozze da parte di Leopold, suo padre. In effetti, nessun membro della famiglia di Mozart aveva preso parte alla cerimonia nuziale, e né Leopold né l’adorata sorella Nannerl avevano mai incontrato prima la sposa. Wolfgang scrisse loro assicurandoli che presto avrebbe condotto Constanze a Salisburgo ma prima a causa del tempo avverso, poi per impegni di insegnamento e concerti, fu impossibile per Wolfgang Amadeus recarsi in visita presso la sua famiglia. Fu infine una gravidanza a rimandare ancora il viaggio, e qualche mese dopo la nascita del primo figlio, chiamato Leopold in omaggio al nonno, i due sposi poterono mettersi in marcia verso Salisburgo lasciando il neonato alle cure di una balia. Sulla strada del ritorno a Vienna, Wolfgang e Constanze si fermarono nella città di Linz in visita presso il Conte Johann Joseph Anton Thun, un vecchio amico di famiglia Mozart ed un acceso sostenitore del compositore sin dalla sua infanzia. Mozart non aveva musiche con sé e l’improvviso annuncio del Conte riguardo ad un’esibizione di Wolfgang di lì a quattro giorni fu la causa della nascita della Sinfonia “Linz” stasera eseguita.
Come spiegare la composizione di una Sinfonia tanto ben riuscita, come la n.36, tenendo conto di un tempo di composizione tanto contenuto? Sì, il genio, ma è difficile spiegare anche quello se si considera che il solo lavoro di copiatura della partitura richiederebbe almeno un paio di giorni, per non parlare poi delle parti separate dei singoli strumenti. Mozart probabilmente componeva nella testa, non creava a partire da uno schizzo e poi elaborandolo, egli “pensava” una partitura nei minimi dettagli di strumentazione ed il suo atto creativo non deve essere visto nel momento della consegna dei suoni alla carta ma, in un certo senso, è da immaginare come una costante ideazione di materiale musicale congiunta ad un’elaborazione formale in cui contenerlo. E quindi, se Mozart non aveva con sé alcuna nuova o vecchia composizione con cui omaggiare il Conte in occasione del concerto, era possibile che avesse qualcosa di nuovo ed inedito nella testa, e che adattò all’orchestra di corte (che non aveva flauti ma conteneva trombe). Si limitò a scrivere!
Quel che sorprende ogni ascoltatore di questa Sinfonia è però la freschezza e l’estrema solidità formale che la caratterizzano. La “fretta” compositiva non è avvertibile in un nessun modo, né dal punto di vista dell’orchestrazione, né riguardo ai temi che informano il brano, né ancora sotto il profilo delle scelte formali di riferimento. E’ noto che Mozart non fu un rivoluzionario, egli possedeva alcuni modelli a cui riferirsi, principalmente le composizioni di Haydn, e questa Sinfonia è l’ennesima testimonianza dell’opera di un compositore che donava vita ad ogni struttura preesistente solo grazie al suo genio.
L’Adagio introduttivo, per la prima volta in apertura ad una sinfonia di Mozart (sullo sperimentato modello haydniano), si apre su solenni accordi a piena orchestra, ai quali il suono caratteristico delle trombe accoppiate ai timpani conferisce un certo sapore militare e marziale. A questa prima ambientazione segue un breve episodio più melodico, oscurato da armonie cromatiche complesse e cupe, che porta rapidamente all’Allegro spiritoso, aperto dal primo tema, in piano, affidato ai primi violini accompagnati dagli archi e ripetuto subito da tutta l’orchestra nel forte. Come spesso accade in Mozart, la conduzione del discorso musicale si svolge su toni leggeri, a volte perfino ironici, ma la dinamica emozionale è tutt’altro che monocorde, riservando agli “affetti” più ombrosi solo incisi piccoli, ma assai significativi.
Questo vale anche per il successivo Poco Adagio, in fa maggiore, giocato su colori leggeri, con rare accensioni emozionali. Notevoli in questo movimento alcuni accenni ad una scrittura sinfonica che ricorda più il Mozart teatrale che quello della musica assoluta, non programmatica. In effetti, l’introduzione di questo movimento potrebbe funzionare benissimo per aprire un’aria d’opera, così come l’episodio centrale, affidato dapprima ai bassi col fagotto, poi ai violini, potrebbe ricordare l’ingresso di un nuovo personaggio in un concertato.
Il Minuetto, nella tonalità d’impianto, è un esempio assolutamente tradizionale di questo tipo di danza, disimpegnata e mossa internamente dalla consueta alternanza con un Trio ancora più semplice, basato sugli strumenti a fiato più che sugli archi.
Il Finale della Sinfonia è un Presto del miglior Mozart quanto a freschezza di idee e genuinità di ispirazione. Si tratta di una pagina di carattere piuttosto virtuosistico, in particolare per gli archi (doveva essere un’Orchestra di prim’ordine, quella del Conte!), ed il colore complessivo è vivace e spiritoso come in un’opera buffa. Vi è una certa ricerca dell’effetto, ma dalla scrittura traspare una competenza molto profonda, in particolare nel contrappunto: il finale abbonda di episodi imitativi, ogni singola sezione conosce momenti di protagonismo, anche le viole, o i secondi violini, o i violoncelli e i bassi. E’ un finale corale, ogni strumento contribuisce alla conduzione del discorso musicale, come nel significato originale e nell’etimologia della parola “Sinfonia”.
Bruno Giuranna
Nato a Milano da una famiglia di musicisti, ha compiuto gli studi musicali a Roma. E’ stato uno dei fondatori del complesso “I Musici” ed ha svolto una notevole attività come membro del Trio Italiano d’Archi. Ha iniziato la carriera solistica presentando in prima esecuzione assoluta, con la direzione di Herbert von Karajan, la Musica da Concerto per viola e orchestra d’archi composta per lui da G. F. Ghedini. Da allora ha suonato con orchestre come la Filarmonica di Berlino, del Concertgebow di Amsterdam, del Teatro alla Scala di Milano e con direttori come Claudio Abbado, Sir John Barbirolli, Sergiu Celibidache, Carlo Maria Giulini e Riccardo Muti. Titolare della cattedra internazionale di viola presso la Royal Academy of Music di Londra negli anni 1995-96, ha anche insegnato alla Hochschule der Künste di Berlino. Dal 1983 al 1992 è stato direttore artistico dell’Orchestra da Camera di Padova e del Veneto e durante questo periodo ha diretto l’Orchestra in numerose tournée in Europa e Sud America. Come direttore ha vinto il Grand Prix du Disque dell’Accademia Charles Cros di Parigi per la registrazione, con David Geringas, dei Concerti per violoncello di Boccherini. Attualmente è Principal Guest Conductor della Irish Chamber Orchestra. Nel 1998 ha inaugurato la Stagione dell’Orchestra I Pomeriggi Musicali di Milano, con un programma beethoveniano.