Le date
Sabato 11 gennaio, ore 17
Sala Grande del Teatro Dal Verme di Milano
Direttore:.
Alain Lombard
Pianoforte:
Kun Woo Paik
Orchestra:
Orchestra della Svizzera Italiana
Programma:
Sergej Prokof’ev (1891 – 1953)
Sinfonia n. 1 in Re maggiore op. 25 “Classica”
Allegro
Larghetto
Gavotta
Finale
Concerto n. 3 per pianoforte e orchestra in Do maggiore op. 26
Allegro
Andantino con variazioni
Allegro ma non troppo
Dmitri Sostakovic (1906 – 1975)
Sinfonia n. 1 in Fa maggiore op. 10
Allegretto. Allegro non troppo
Allegro
Lento. Largo
Allegro molto. Adagio.
Largo. Presto
Il Concerto:
Sinfonia n. 1 in Re maggiore op. 25 “Classica”
Il venticinquenne Prokof’ev che cominciò a lavorare nel 1916 alla sua Sinfonia in Re maggiore era già un compositore ed un virtuoso di pianoforte conosciuto dai pubblici di Parigi, Londra e Milano; ma che in patria soffriva dell’opposizione di una parte consistente del mondo musicale, dalla quale era considerato alla stregua di un barbaro iconoclasta. Per rabbonire questi suoi oppositori o almeno per prendersene elegantemente gioco, pensò di “scrivere una sinfonia nello stile di Haydn ( … ). Se Haydn fosse vivo oggi ( … ) conserverebbe la sua maniera di scrivere, ma senza rinunciare ad appropriarsi di qualche idea nuova. Volevo scrivere proprio una sinfonia di questo genere: una sinfonia in stile classico. ” La intitolò Sinfonia classica, in primo luogo per la sua estrema semplicità, ma anche per stuzzicare i filistei. La prima esecuzione, tenutasi il 21 aprile 1918 in una Pietroburgo ormai bolscevica, fu un trionfo e il primo Commissario del Popolo all’istruzione Anatolij Lunacarskij, un raffinato intellettuale di formazione europea, andò a sollecitare la sua collaborazione per la costruzione della nuova musica sovietica, ma il diffidente artista declinò l’invito e preferì una sorta di semivolontario esilio durato fino al 1932. Va rilevato che lo stesso atteggiamento di ironica pseudo-condiscendenza di Prokof’ev nei confronti delle censure estetiche a sfondo ideologico (quello che lo storico Alexander Werth definisce: “il principio dell’eccovi-serviti-e-andate-al-diavolo”,) starà alla base nel 1949 della pubblicazione della neoromantica Sesta sinfonia, che la stampa sovietica saluterà come un esempio della salutare influenza del partito sul linguaggio dei compositore.
Forse nemmeno Haydn avrebbe trovato da ridire sulla concisa ma ben sviluppata forma-sonata dell’Allegro con brio, sul mondano Larghetto cantabile monotematico o sul precipitoso finale “alla breve”; ma i critici pietroburghesi di Prokof’ev qualche sospetto di presa in giro avrebbero pur dovuto nutrirlo di fronte a quella Gavotta non troppo allegra con la sovrana e ciclica sornioneria del suo pendolo ritmico dagli attacchi lievemente rallentati…
Carlo Vitali
Concerto n. 3 per pianoforte e orchestra
in Do maggiore op. 26
Il Novecento sembra caratterizzarsi per lo scontro ineluttabile tra avanguardisti e neoclassici (sugli spalti, a guardare con scarso interesse, gli altri; quelli che come Ginastera o Copland non si riconoscevano in alcuna delle due schiere). Uno scontro davvero singolare, dove i ruoli di progressista e di conservatore sono stati attribuiti a posteriori; peraltro confondendo gli uni con gli altri. L’avanguardia – è stato costretto ad ammetterlo persino un irriducibile come Sanguinetti – tende rapidamente a trasformarsi in accademia, divenendo così prodotto buono per i musei. Al contrario: classici, neo-classici, etnici, misti con jazz, misti col popolare e così via finiscono per muoversi con maggiore libertà, guardando al passato senza troppi pregiudizi né ambasce. E’ quanto accadde a Prokof’ev. La sua arte ci appare oggi splendente di un vigore tanto spontaneo quanto vivacissimo. Per sua stessa ammissione il punto di partenza è la non mai rinnegata tonalità, ed il modello è Haydn. Un modello che, come proprio l’esperienza artistica di Prokof’ev ci dimostra, era in grado di generare un percorso musicale autonomo e indipendente pur nell’evidenza della propria matrice. Del resto, parlando del proprio stile, il compositore russo ne evidenzia quattro elementi costitutivi che appaiono palesi nel suo Concerto n. 3 per pianoforte e orchestra. “Il primo – egli scrive – è classico, e ha origini nella mia prima infanzia, quando ascoltavo mia madre eseguire le sonate di Beethoven”. Poi chiosa significativamente: “Assume un aspetto neoclassico nelle mie sonate o nei miei concerti, oppure imita lo stile classico del XVIII secolo”. Questo non implica il restare ancorati ad un linguaggio dichiaratamente “antico”. Al contrario, sempre Prokof’ev ci chiarisce che il secondo degli elementi caratterizzanti il suo stile è appunto la ricerca d’innovazioni, la quale, passando dall’elaborazione “di un linguaggio armonico individuale, si tramuta […] in un mezzo per esprimere forti emozioni”. C’è poi la componente ritmica, e a tal proposito il compositore russo cita esplicitamente la Toccata di Schumann, maturata dalla doppia influenza del classicismo viennese e dell’evoluzione romantica di certi stilemi. Infine: “il quarto elemento è lirico”. Anche in questo caso il commento è fondamentale. Sostiene Prokof’ev: “Dato che al mio lirismo è stato negato per lungo tempo un riconoscimento, non ha potuto che crescere lentamente, ma col tempo ho posto sempre più attenzione nei confronti dell’espressività lirica”. Del grottesco, che molti gli attribuivano come carattere dominante, in realtà vorrebbe liberarsi. È una variazione degli altri, sostiene. Lo vorrebbe sostituire con le parole “scherzo”, “celia”, “riso”. Insomma, è un fattore secondario che va rivalutato nel mondo dell’espressività. Tutto ciò si ritrova agevolmente nei tre movimenti che costituiscono il Concerto n. 3, nato nel 1921. Destinandolo a se stesso ed al proprio torrenziale virtuosismo, Prokof’ev rinverdisce la tradizione del compositore virtuoso, dell’interprete che siede volentieri alla tastiera ed ama esibirsi davanti al pubblico. Anzi, l’esibizione è parte integrante del lavoro di comporre. Debbono ancora venire i tempi in cui i compositori alzeranno steccati e mura a difesa di un’arte che non ne avrebbe gran bisogno. Da qui la vertiginosa spontaneità di Prokof’ev, gestita però con la consapevolezza del classico: di chi sa che deve insieme stupire e commuovere, ma senza ipocrisia. Brillantezza e lirismo, efficacia ritmica e potenza espressiva, solidità architettonica e sicurezza nell’orchestrare. Un Prokof’ev proiettato verso quel futuro cui poi guarderanno in molti quando saranno svanite le ombre e le sbornie dell’avanguardia.
Fabrizio Festa
Sinfonia n. 1 in Fa maggiore op. 10
Se si ascoltasse senza alcuna premessa (e non la si conoscesse già) la prima sinfonia composta da Sostakovic potrebbe sembrare in qualche passo pletorica, e talora anche furbetta: ma difficilmente si potrebbe non ammetterne l’abbondanza e la varietà d’ispirazione, la ricchezza di mezzi compositivi, di mestiere. Fu il suo saggio per ottenere il diploma di composizione a San Pietroburgo, ventenne, nel 1926: e questa, terminato l’ascolto, è notizia che potrebbe spiazzare più d’uno. Si tratta di un esordio fra i più brillanti nella storia della musica. In un batter d’occhio la partitura sarebbe stata diretta da Bruno Walter, Stokowski, Klemperer, Toscanini. E cominciò a far presagire che cosa Sostakovic avrebbe fatto ascoltare negli anni venturi. Nella Sinfonia n. 1 si legge evidente, non solo in filigrana, lo Sostakovic imminente. Eclettismo, anzitutto: per inclinazioni di stile, per scelte d’orchestrazione, per motti che rinviano così da vicino ad altri pietroburghesi (Rimskij, o lo Stravinskij che si scorge nel primo movimento dietro il valzer un po’ sbilenco del flauto). E c’è l’ironia, ci sono l’umorismo e l’umoralità di Sostakovic, il suo gusto per la commedia. Anche quel senso dello “spazio”, di una narrazione talora “topografica” che fa venire alla mente (non c’entra affatto, ma alle associazioni d’idee non si comanda) certo Ives americano: per esempio nello Scherzo collocato al secondo movimento, con celli e bassi che si muovono nel sottosuolo e i legni a recitare ruoli spettrali capaci di richiamare nelle lentezze del terzo movimento, anche per il modalismo e per alcune ricorrenze intervallari, certi guizzi miniaturistici dei Quadri da un’esposizione. L’orchestra è utilizzata con accortezza stupefacente per un novellino: uno degli atout lo fornisce l’insistito dialogo tra le sezioni, giacché molto di rado il grande organico si muove in assieme. Nel secondo e nel quarto movimento, compare in organico (d’après Pétrouchka) il pianoforte, i cui tre accordi isolati, poi riassorbiti entro il tessuto orchestrale, costituiscono una sorta di climax drammatico nello Scherzo. Qualche sapore di scuola affiora qua e là, per consolare i comuni mortali, dall’ampio Finale, incapace di sfuggire appieno ad un lieve didascalismo nel contrasto tra brillantezza “positiva” e piega melanconica.
Roberto Verti
Alain Lombard
Direttore d’orchestra
Partecipa nel 1966 al Concorso Dimitrij Mitropulos aggiudicandosi la medaglia d’oro. Diventa quindi l’assistente di Herbert von Karajan a Salisburgo e, in seguito, di Leonard Bernstein a New York. Diventa Direttore Musicale dell’Orchestra di Miami e nello stesso periodo assume la carica di Direttore Stabile al Metropolitan di New York. Non rinuncia a un’intensa attività di direzione di altre importanti orchestre quali la New York Philarmonic, la Philadelphia Orchestra, la Chicago Symphony, la Boston Symphony, la London Symphony Orchestra, i Berliner Philharmoniker e le Orchestre e Paris. Dal 1972 al 1983 diventa Direttore Stabile dell’Orchestra Filarmonica di Strasburgo e dal 1974 al 1980 assume la Direzione Artistica dell’Opéra du Rhin. Nel 1979 diventa Primo Direttore Ospite dell’Orchestra della Residenza dell’Aja, mentre dal 1981 al 1983 assume la direzione dell’Opéra di Parigi. Nel 1988 è stato chiamato alla direzione dell’Opéra di Bordeaux, dove è rimasto fino alla fine del 1995, dirigendo ogni anno circa 200 spettacoli fra opere e concerti. Ha registrato numerosi dischi che hanno ottenuto prestigiosi riconoscimenti internazionali. Dal 1999 è direttore stabile dell’Orchestra della Svizzera italiana.
Kun Woo Paik.
Pianista
Nato in Corea, esegue all’età di dieci anni il Concerto di Grieg con l’Orchestra Nazionale della Corea. Successivamente si trasferisce a New York per studiare con Rosina Lhevinne alla Juilliard School. Vince numerosi concorsi, tra i quali il prestigioso Busoni, e inizia una brillante carriera che lo porta, tra l’altro, alla Carnegie Hall e al Lincoln Center di New York, alla Wigmore Hall di Londra. Ospite dei maggiori festival (Berlino, Zurigo, Aix-en-Provence, Ravinia) si è esibito con numerose orchestre tra le quali si ricordano le collaborazioni con l’Orchestra Filarmonica di San Pietroburgo, Londra, Monaco, con l’Orchestra Nazionale di Francia, la BBC Symphony Orchestra . Nel 1993 ha ricevuto il Diapason d’Or e il Grand Prix de la Nouvelle Academie du Disque per la registrazione dei cinque concerti per pianoforte e orchestra di Prokov’ev. Ha inciso l’integrale dell’opera pianistica di Ravel e di Mussorgskij
Orchestra della Svizzera Italiana
Fondata a Lugano (Svizzera) nel 1935 come Orchestra della Radiotelevisione della Svizzera Italiana, diventa ufficialmente Orchestra della Svizzera Italiana nel 1991. Il suo primo direttore è stato Leopoldo Casella, che vi rimase legato fino al ’68, ma al quale, nel ’38, gli subentrò Otmar Nussio che mantenne l’incarico fino al 1968. Con Nussio l’Orchestra accentuò la sua apertura internazionale con un forte impulso verso la musica contemporanea. Dal 1969 al 1990 subentrò Marc Andreae col quale il complesso ha avuto una regolare produzione di musica contemporanea.
Tra le personalità illustri che sono salite sul podio, ricordiamo Pietro Mascagni nel 1938, Arthur Honneger nel 1947 e nello stesso anno Richard Strauss, Altri compositori che diressero le loro opere furono Ermanno Wolf-Ferrari, Darius Milhaud, Paul Hindemith, Frank Martin, Luciano Berio, Hans Werner Henze, Igor Stravinskij. L’orchestra ha avuto un ruolo determinante nella creazione e nella crescita delle Settimane Musicali di Ascona, dei Concerti di Lugano e della Primavera Concertistica di Lugano. Fra i tanti illustri direttori che si sono alternati sul podio, ricordiamo Igor Markevitch, Sergiu Celibidache, Wolfgang Sawallisch, Riccardo Chailly.