Autori vari - I Pomeriggi Musicali - Teatro Dal Verme

Le date

Sala Grande
sabato 30 novembre 2002
Ore: 17:00
giovedì 05 dicembre 2002
Ore: 21:00

Sabato 30 novembre, ore 17
Sala Grande del Teatro Dal Verme di Milano
Martedì 3 dicembre, ore 21
Teatro Cagnoni – Vigevano
Mercoledì 4 dicembre ore 21
Teatro G. Pasta – Saronno
Giovedì 5 dicembre ore 21
Sala Grande del Teatro Dal Verme di Milano

Direttore:
Andrea Pestalozza
Violino:
Alessandro Braga
Oboe:
Paolo Mandelli
Orchestra:
Orchestra I Pomeriggi Musicali

Bruno Maderna
Music of Gaity
William Byrd: Gipsies Round
Anonimo: Can Shee
Giles Farnaby: Rosasolis
Peter Philips: Galiarda Passamezzo
Giles Farnaby: His Humour

Johann Sebastian Bach
Concerto in Re minore per oboe, violino, archi e basso continuo BWV 1060
Allegro-Adagio-Allegro

Wolfgang Amadeus Mozart
Serenata in Re maggiore n. 9 K 320 “Posthorn Serenade”
Adagio maestoso — Allegro con spirito
Menuetto — Allegretto
Concertante: Andante grazioso
Rondeau: Allegro ma non troppo
Andantino
Menuetto — Trio I e Trio II
Finale: Presto

Il Concerto:
a cura di Alice Bertolini
Music of gaity di Bruno Maderna è, come suggerisce il titolo, un inno alla giocondità e, insieme, alla musica inglese del Rinascimento e del primo Barocco. Perché, come commentava Massimo Mila: “Questo campione della più spericolata avanguardia era un innamorato di musica antica”. Tutti sanno che il compositore veneziano (1920-1973) è tra i primi italiani ad avvicinare la rigorosa scrittura serialista weberniana ed è autore di partiture estrose e visionarie come la Serenata per 11 strumenti o Musica su due dimensioni. Nuovi linguaggi, elettronica, ricerche timbriche: la sua breve quanto intensa parabola creativa è diventata un punto di riferimento per molti colleghi più giovani, a cominciare da Luigi Nono e Luciano Berio. Ma c’è un versante molto diverso nella sua produzione, che attende forse di essere del tutto svelato e che testimonia la grande passione di Maderna per gli autori del passato: le trascrizioni. Dall’Orfeo di Monteverdi ai mottetti di Gabrieli, dalle frottole quattrocentesche ai concerti di Vivaldi, non è di poco conto l’impegno del compositore per liberare dalla polvere gli archivi della musica antica. Scritto nel 1969, Music of gaity è un importante documento del “grande piacere” di ritornare su partiture ingiustamente finite nell’oblio. Si tratta di una versione per orchestra da camera, con violino e oboe solisti, di alcuni brani tratti dal Fitzwilliam Virginal Book, un’importante raccolta di musica per strumenti a tastiera dell’età elisabettiana, che mescola canzoni, danze popolari, madrigali italiani e francesi, danze di corte, arie d’opera e persino arie di messe. Per la sua suite Maderna ne sceglie cinque, alternando ritmi giocosi e malinconici: “Gipsies Round” del grande autore inglese William Byrd, “Can Shee” di un anonimo che potrebbe essere il dublinese John Dowland, e poi “Rosasolis” e “His Humour” del virginalista Giles Farnaby, separate da una “Galiarda Passamezzo” dello sconosciuto Peter Philips. A meno di non considerare la trascrizione di per sé come una atto provocatorio, è difficile riconoscere in questa operazione un intento ideologico di qualunque genere. Il garbo lieve e la sobrietà strumentale che percorrono la partitura sembrano piuttosto dare voce a un’autentica nostalgia per un mondo lontano di felicità perdute.

C’è di che essere orgogliosi sapendo che alcuni capolavori di Bach sono nati pensando all’Italia. I concerti del compositore tedesco — purtroppo ce ne resta soltanto una quindicina — non fanno nulla infatti per nascondere i debiti contratti con la grande scuola strumentale di autori come Vivaldi, Alessandro e Benedetto Marcello, ma anche Torelli e Albinoni. Sin dall’inizio del Settecento si era creato molto interesse in Germania intorno al genere importato dal nostro Paese, che aveva fissato precisi canoni, ben riconoscibili, ad esempio, nei lavori vivaldiani: suddivisione in due tempi veloci e uno centrale lento; forma a ritornello, con l’alternanza di sezioni tematiche e parti modulanti più libere. Naturalmente gli autori tedeschi declinarono in modo personale questo schema di base, arricchendolo delle componenti polifoniche tipiche della propria tradizione musicale. E questa commistione linguistica raggiunge gli esiti più sorprendenti proprio nei concerti di Bach, dove la cantabilità e la plasticità tematica di matrice italiana sono innestate su un ricco e mobilissimo tessuto contrappuntistico.

Da questo punto di vista il caso del Concerto BWV 1060 è emblematico. Non sarà inutile peraltro ricordare che quella che ascoltiamo oggi è una delle due versioni ricostruite in tempi moderni a partire da un originale per due cembali, archi e continuo, che risale agli anni di Lipsia. Il tipo di scrittura ha fatto presumere che si trattasse di una rielaborazione di un precedente lavoro per due strumenti soprani: due violini, o, come oggi si è più portati a credere, oboe e violino.

La forma “a ritornello” caratterizza sia il primo, sia il terzo tempo, Allegro, dove un tema ritmicamente propulsivo viene presentato con grande evidenza nelle battute iniziali e le sue ripetizioni si alternano con episodi solistici liberi, non meno rilevanti e incisivi. Il movimento centrale, Adagio, è invece costruito come una vera e propria fuga, con tanto di esposizione, divertimenti e stretti. Ma il rigore della struttura non oscura, anzi esalta e arricchisce l’aperta cantabilità del soggetto tematico, presentato dal suono dolce e suadente dell’oboe, la cui lunga arcata melodica, dispiegata lungo l’arco di due battute da 12/8, ricorda da vicino le evocazioni malinconiche delle “siciliane”. Una geniale combinazione di stili che ancora oggi non cessa di stupire e affascinare.

Alla cornetta da postiglione è dedicata la Serenata K 320 di Mozart. Sarebbe interessante indagare le ragioni per cui il Posthorn, in uso sin dal XVI secolo, affascinò importanti compositori del Settecento. Per citare gli esempi più noti, il fatidico segnale fu usato da Bach nel Capriccio sopra la lontananza del suo fratello dilettissimo BWV 992, da Händel nelle sinfonie di Semele e Belshazzar, da Vivaldi nel Concerto per violino, archi e cembalo P.350 e da Haydn nel Sinfonia in Re maggiore op. 31. Lo stesso Mozart tornerà a evocarlo nell’ultima delle Danze tedesche per orchestra K. 605/3. E ancora nell’Ottocento il motivo del postiglione si ritrova nello Scherzo della Nona Sinfonia di Beethoven, nella Trompeten-Ouvertüre di Mendelssohn, sino ad arrivare alla Terza Sinfonia di Mahler del 1896. Un fil rouge, dunque, che attraversa due secoli di grande musica.

Nel caso di questa celebre Serenata il suono del piccolo strumento d’ottone regala un timbro affatto particolare al secondo Trio e viene esaltato dalla presenza di flauti, flautino, oboi, corno, fagotti e trombe. Non va dimenticato che proprio i fiati furono i primi protagonisti delle musiche notturne nate per animare le serate all’aria aperta, mentre gli archi vennero aggiunti in seguito, quando dai cortili e dalle piazze ci si spostò nelle sale da concerto. La K320 fu scritta da Mozart a 23 anni a Salisburgo, al rientro dal lungo viaggio a Mannheim e a Parigi. La sua ambiziosa scrittura orchestrale, inusuale in una forma destinata al puro divertissement, prova che il compositore non aveva conosciuto invano la grande scuola sinfonica delle due città europee. In particolare colpisce la ricchezza dei contrasti tematici, ritmici e dinamici che caratterizzano i sette episodi, creando un effetto di continua mobilità. E non è forse un caso che l’opera preceda solo di qualche settimana la stesura di una delle massime vette della produzione mozartiana, la Sinfonia concertante K364, capolavoro assoluto di coesione formale e varietà espressiva. Gli studiosi non sono riusciti a scoprire per quale festività sia stata commissionata la Posthorn-Serenade, ma poco importa. Sin dalle battute iniziali la musica di Mozart invita a guardare ben oltre la cornice mondana della pura e semplice Nachtmusik.

Andrea Pestalozza
Direttore d’orchestra
Inizia i suoi studi musicali dedicandosi alle percussioni e successivamente, avendo individuato nel mondo del Romanticismo e del Novecento il centro dei suoi interessi, si dedica al pianoforte e alla direzione d’orchestra e d’ensemble. Ha studiato con Franco Campioni, Martha del Vecchio e Piero Bellugi. Decisivi per la sua formazione musicale sono stati gli incontri con Salvatore Sciarrino e Gyorgy Kurtag. Ha collaborato con illustri musicisti quali Cathy Barberian, Rocco Filippini, Peter Keller, Marco Rizzi, Luisa Castellani, Zoltan Pesko, Gabriele Ferro. Ha tenuto recital pianistici e concerti come direttore a Parigi (Orchestre National de France), Berlino (Festwochen), Londra, Roma (Orchestra Regionale del Lazio e Nuove Consonanza), Milano (Orchestra della RAI, Teatro Studio, Orchestra I Pomeriggi Musicali), Firenze (Maggio Musicale Fiorentino, ORT), Palermo (Orchestra Sinfonica Siciliana), Venezia (Teatro la Fenice, Biennale). Ha fondato l’Ensemble Orfeo.

Alessandro Braga
Violinista
Studia violino al Conservatorio “G. Verdi” di Milano e si diploma nel 1989 sotto la guida di Felice Cusano. Si perfeziona con Moja Jokanovich presso l’Accademia Internazionale di Musica di Novara dove ottiene il diploma con menzione speciale e, in seguito, con Marie-Annick Nicolas a Lione. Giovanissimo vincitore di concorsi nazionali, si è presto dedicato all’attività cameristica, spaziando dal repertorio per duo e trio con pianoforte fino al repertorio per ottetto d’archi. Con diverse formazioni ha effettuato registrazioni per Radiotre Rai e ha tenuto numerosi concerti per l’Olmutz Ensemble. Collabora inoltre con importanti compagini cameristiche quali, tra le altre, Harmonia Ensemble e l’Orchestra da camera Stradivari diretta da Daniele Gatti. Si esibisce nelle più importanti sale italiane e partecipa alle maggiori stagioni concertistiche estere (Barcellona, Budapest, Gyor, Istanbul, Lucerna, Osaka, Praga, Tokyo). Già vincitore nel 1995 del concorso per il ruolo di Concertino dei primi violini e Spalla dei secondi nell’orchestra I Pomeriggi Musicali, nel 2000 vince il concorso per Primo violino di spalla presso la stessa orchestra, ruolo che attualmente ricopre.

Paolo Mandelli
Oboe
Nato a Rovato nel 1969, studia a Brescia dove si diploma con il massimo dei voti. Ha partecipato ad importanti rassegne musicali quali la Biennale di Venezia e il Festival Musicale di Ravello. Ha collaborato inoltre con l’Orchestra Stabile di Bergamo, I Pomeriggi Musicali, l’Orchestra Regionale Toscana, l’Orchestra Haydn di Bolzano, l’Orchestra da Camera di Mantova, l’Academy of St. Martin in the Field, e l’Orchestra del Festival Pianistico Internazionale di Brescia e Bergamo. Nel ruolo di Primo Oboe è stato diretto da Aldo Ceccato, Riccardo Chailly, Riccardo Muti, George Pretre, Sir Neville Marriner e Carlo Maria Giulini. In qualità di solista ha tenuto numerosi concerti con l’Orchestra del l’Orchestra del Festival Pianistico Internazionale di Brescia e Bergamo, con I Pomeriggi Musicali, con l’Orchestra Giovanile Italiana, ecc. Attualmente è Primo Oboe dell’Orchestra Sinfonica di Milano “G. Verdi”.