Le date
Sala Grande del Teatro Dal Verme di Milano
Giovedì 14 novembre, ore 21
Sabato 16 novembre, ore 17
Direttore:
Aldo Ceccato
Soprano:
Zdena Kloubovà
Orchestra:
Orchestra i Pomeriggi Musicali
Franz Schubert (1797-1828)
Virgilio Mortari (1902-1993)
Divertimento all’ungherese
Andante
Marcia-Trio (Andante con moto)
Allegretto
Franz Schubert (1797-1828)
Johannes Brahms (1833-1897)
Quattro Lieder
Memnon
Geheimes
An Schwager Kronos
Franz Schubert (1797-1828)
Sinfonia n.1 in re maggiore D.82
Adagio — Allegro vivace
Andante
Allegro (Minuetto-Trio)
Allegro vivace
Il Concerto
a cura di Andrea Dicht
Il Divertimento all’ungherese di Mortari è una composizione di rara esecuzione, tanto in Italia quanto all’estero, e come ogni altra composizione di questo nostro musicista, merita ogni attenzione ed una considerazione molto alta. Virgilio Mortari è una di quelle figure della nostra storia della musica che non sono definibili come epigoni, caposcuola o accesi avanguardisti. Profondo studioso e revisore di Galuppi, Pergolesi, ma anche di Mozart e di altri grandi maestri del passato, egli seppe distillarne l’arte della composizione, creando così una sua estetica personalissima, tutta improntata a quella chiarezza e semplicità che al suo tempo si rifacevano alla figura di Alfredo Casella. Mortari fu una figura centrale nella musica italiana, e la sua attività di insegnante solido e preparato fu di esempio per molte generazioni. La sua importanza, però, non si esaurisce con la didattica: abbiamo oggi un insieme di sue composizioni che meriterebbero più attenzione ed un serio studio critico, anche se almeno il suo Trattato di Orchestrazione (scritto con Casella) è oggi ancora un punto di riferimento per i compositori italiani. Le sue doti di orchestratore furono indubbie, ed il Divertimento oggi eseguito ne è una prova inoppugnabile. Se è vero che la musica di Schubert non ha davvero bisogno di particolari “interventi” esterni, con l’aiuto di Mortari essa viene a rinascere sotto vesti tanto colorate quanto fedeli e ossequiose all’originale contenuto musicale. Si chiama Divertimento perché e in realtà nulla più che un insieme di temi e brevi sviluppi tratti da Schubert, ed il suo sapore ungherese si rifà a quella maniera tutta viennese di ricalcare modelli provenienti dalle regioni orientali più remote dell’allora duplice monarchia austro-ungarica. In effetti non va dimenticato che l’Austria di oggi è un concetto ben differente da quello di due secoli fa, e che già in quell’epoca nell’impero erano ben presenti quei fattori disgreganti e destabilizzanti che avrebbero condotto all’inevitabile crollo dell’inizio del Novecento. Per Schubert, però, Ungheria significa innanzi tutto un modo di pensare, un atteggiamento tra il malinconico e l’ironico, e queste sono categorie di pensiero affatto lontane da quelle di Mortari, un profondo osservatore dell’animo umano che guarda all’innocenza del fanciullo con occhi nostalgici e profondo rispetto intellettuale.
Il brano è del 1951 e si compone di tre episodi fondamentali, al loro interno suddivisi in brevi ritornelli secondo l’uso dell’epoca di Schubert per le danze. Sappiamo che Schubert era un grande improvvisatore al pianoforte, di ogni tipo di danze, dal Valzer al Ländler a qualunque danza tedesca, e sappiamo anche che quelle pubblicate sono solo una minima parte della sua produzione. Schubert aveva l’abitudine di fermare su carta quelle che riteneva le sue migliori improvvisazioni, dopo le febbrili serate con gli amici, ma di certo la sua creatività deve aver prodotto molto di più di quanto immaginiamo. Il Divertimento di Mortari può essere ascoltato in questo modo, immaginando di essere ospite di una di quelle nottate, in un appartamento di Vienna, lasciandosi cullare da un’inventiva melodica inesauribile ma godendo al tempo stesso di una strumentazione ricchissima e mai scontata.
Il corpus dei Lieder di Schubert per voce sola è immenso: sono più di seicento i brani di questo tipo composti tra il 1811 ed il 1828 (anno della sua morte), e circa 140 quelli creati nel solo 1815, l’anno cruciale per il successo “sociale” di questo genere musicale. Brahms, compositore romantico e viennese al pari di Schubert, mai avrà la possibilità di incontrarlo personalmente (per ragioni anagrafiche: Schubert muore nel 1828 e Brahms nasce nel 1833), ma ne sarà un grande ammiratore ed infaticabile propugnatore della sua opera. Questo suo profondo interesse per la produzione di Schubert si condenserà, tra l’altro, nella strumentazione per orchestra sinfonica, di sette suoi lavori originalmente concepiti per un accompagnamento pianistico. Oltre ai quattro eseguiti stasera, Brahms trascrisse nel 1873 Greisengesang, su testo di Rückert, ma mai pubblicato, nello stesso anno Ellens zweiter Gesang, su testo di Storck ma basato su un lavoro di Sir Walter Scott, arrangiato per soprano, coro femminile, quattro corni e due fagotti, e nel 1862 lo splendido Nachtstück di Mayrhofer, strumentato per voce, arpa o pianoforte, e piccola orchestra, ma del quale rimangono solo frammenti. I quattro Lieder selezionati nel 1862 da Brahms e stasera in programma non sono tra i più noti all’interno della produzione di Schubert ma ognuno di essi ci permette di valutare alcune componenti fondamentali che agiscono in un insieme ordinato ma estremamente eterogeneo quale quello dei suoi Lieder per voce sola con accompagnamento di pianoforte.
Memnon, in re bemolle maggiore, fu composto nel marzo 1817 su un testo del suo amico e sodale Johann Mayrhofer. Pubblicato dalla viennese Cappi&Diabelli nel 1821, il brano descrive la melancolia e il lamento pieno di desiderio del principe etiope Memnos, figlio di Eos, l’alba. Ai più Johann Mayrohofer può risultare sconosciuto come poeta, e se si pensa che i testi musicati da Schubert provengono da stelle quali Goethe, Schiller, Schlegel, Grillparzer, Metastasio ed altri, la scelta dell’oscuro Mayrhofer risulterà alquanto bizzarra. Questo poeta, però, è stato una figura centrale, nella vita quanto nell’arte di Schubert: essi si conobbero intorno al 1815-16, grazie ad amicizie comuni, ed il poeta subito entrò a far parte di quel sodalizio artistico che sempre circondò la figura del compositore, stimolandolo e permettendo anche una certa diffusione della sua produzione così fertile. Mayrhofer era un poeta serio, profondo e preparato, e rifiutava quella nuova moda di un’arte “religioso-patriottica” professata a Vienna sin dal 1808 dal famoso Friedrich Schlegel. La sua era una produzione intimistica, poco propensa a facili effetti, e tanto era lontano da un vero successo, quanto dovette accettare un triste incarico presso l’Ufficio Statale della Censura per sopravvivere. Gli anni che passò al fianco di Schubert furono i migliori, essi addirittura vissero nella stessa stanza per un paio d’anni e la morte dell’amico musicista, unita alle piccolezze del suo incarico burocratico, lo condussero in breve tempo al suicidio.
Geheimes (Segreto) è invece un Lied su testo di Wolfgang von Goethe, composto nel marzo 1821 e pubblicato ancora da Cappi&Diabelli nel 1822. Questo brano fu dedicato Franz von Schober, ancora intimo amico tanto di Schubert quanto di Mayrhofer, e anch’esso figura centrale nella vita del compositore: trovatosi quest’ultimo senza soldi alla fine dei suoi studi presso l’opprimente Convitto Comunale, Schubert fu ospitato dalla madre di Schober nella loro augusta residenza e lì poté anche anche far tesoro della disponibilità di un ottimo pianoforte. E’ anche a questa fortuita evenienza che dobbiamo in quegli anni (1816 e 1817) la creazione di almeno sei Sonate per pianoforte, oltre a tre Sonatine per violino e pianoforte. Per avere un’idea dell’entusiasmo e dell’intimità che legava i vari membri della cerchia schubertiana, ricordiamo che anche Schober, affatto un letterato nel senso moderno del termine, fu autore di testi poetici musicati da Schubert!
L’ultimo dei Lieder orchestrati da Brahms è An Schwager Kronos (Al postiglione Cronos), ancora su parole di Goethe; esso fa parte, come Memnos, dei circa centosessanta Lieder composti nei prodigiosi anni 1816-1817 sul pianoforte della famiglia Schober. La dedica, allo stesso Goethe, è significativa e rimanda alla nascita di Schubert come compositore professionista e ai suoi primi tentativi di farsi conoscere. Nel 1817 Schubert cercava prima di tutto un editore che credesse nelle sue doti e accettasse di pubblicarlo nonostante la sua giovane età. La mira degli editori viennesi, però, era tutta concentrata sugli ultimi lavori di Beethoven e per Schubert non c’erano possibilità di mercato. Decise, quindi, di ordinare i propri lavori vocali per poeta e cominciò quindi da un quaderno di Lieder da Goethe, ricopiando in bella grafia 16 suoi Lieder. Lo inviò allo stesso poeta per cercarne un’approvazione personale ma egli, dall’alto del suo proverbiale “olimpico distacco”, restituì il tutto senza degnarlo di una risposta. Come per l’Egmont di Beethoven, un musicista doveva ancora una volta scontrarsi contro il profondo disinteresse del poeta verso il fatto musicale, mancanza di interesse leggibile facilmente anche come disprezzo. Goethe non sopportava che la “purezza” dei suoi versi e delle sue parole potesse essere anche minimamente intaccata da suoni, e di certo non amava dover condividere il successo di una sua opera letteraria con chicchessia. Da buon figlio dell’Illuminismo egli preferiva Mozart ad ogni altro compositore, e con certezza sappiamo che la richiesta di un patrocinio da parte di Schubert si affiancava a quella di molti altri musicisti, dal poeta rifiutati in blocco. Molti anni dopo questo episodio e dopo la morte di Schubert (Goethe vivrà sino al 1832), il poeta mostrerà una certa ammirazione per il musicista scomparso, ed esattamente quando la nota soprano Wilhelmine Schröder Devrient eseguirà al suo cospetto il famoso Erlkönig (brano comunque inserito nel quaderno manoscritto che gli aveva inviato molto tempo addietro).
Vere protagoniste di questa Stagione dei Pomeriggi Musicali sono, però, le Sinfonie di Schubert, delle quali stasera sarà eseguita la n.1 in re maggiore, D.82. Prima esperienza nell’elevato stile della sinfonia, questo brano fu completato il 28 ottobre 1813 e dedicato al direttore di quell’amato e odiato Convitto di Stato del quale il sedicenne Schubert era ospite e studente. La prima esecuzione non avvenne in un auditorium o in una sala da concerto vera e propria bensì all’interno dello stesso Convitto, e la Sinfonia fu eseguita dall’orchestra degli stessi studenti (per i quali era stata probabilmente scritta). Un inizio così in sordina non ci deve però disporre all’ascolto di un brano giovanile o immaturo: l’adolescente Schubert conosce già molto bene i modelli di Mozart, Haydn e Beethoven, e sin da questa sua prima prova sinfonica mostra una capacità di analisi ed assorbimento prodigiose, unite ad un’indipendenza di giudizio davvero sorprendente per la sua età. In effetti, le integrali sinfoniche di Schubert e di Beethoven non soggiacciono alle stesse logiche di sviluppo interno e di precisazione dei modelli di partenza. Nonostante i debiti facilmente riconoscibili, anche a livello dei temi presentati, questa Prima Sinfonia colpisce per la maturità dell’ingegno del suo creatore: la strada maestra che conduce alla Sinfonia “Grande” (iniziata solo dodici anni più tardi) è tutta nel senso di un ampliamento della forma e di un superamento delle sue leggi, ma già questa Prima impone un modello ben definito e ponderato. Come in quasi tutte le sinfonie successive, anche questa si apre con un’Introduzione, di carattere solenne ma contenuta nelle dimensioni, un sipario verso la forma-sonata non dissimile, almeno nelle intenzioni, da quello dei grandi sinfonisti romantici delle generazioni successive (primo fra tutti, Anton Bruckner). Ad essa segue senza sosta un Allegro vivace tutto giocato sulla leggerezza e sulla velocità, condotto su due temi principali molto semplici ma equilibrati: sin dall’inizio appare chiara la predilezione di Schubert per un’orchestrazione trasparente e mai preponderante sul contenuto melodico. E’ un primo movimento perfetto, dalla pulsazione ritmica inarrestabile ma per nulla angosciante, un inno al buon umore e alla spensieratezza di un adolescente. Lo sviluppo, sezione centrale dell’Allegro, gioca su brevi incisi melodici desunti dai temi, così come la norma insegna, ma il conflitto dialettico tra di essi si risolve nella vitalità del ritmo e nella condotta del tempo generale: non ci sono intenzioni profonde, la musica “viaggia” su binari certi ed il panorama non manca mai di interesse. Vale la pena di notare, prima della ripresa dei temi principali, una riesposizione concisa ma efficace dell’Introduzione lenta, anche se stavolta non recante l’indicazione di tempo Adagio.
Nel seguente Andante troviamo invece il miglior Schubert, a dispetto di qualunque calcolo anagrafico. L’atmosfera è quella intimistica di tanti suoi tempi lenti che verranno, e se il tema d’inizio è sereno ma già in qualche modo ultraterreno, ad esso si oppongono momenti ben più tesi e forti: non può non venire alla memoria qualche Adagio di Mozart, a prima vista innocente ma in grado di schiudere baratri di improvvisa disperazione, nonostante qualsiasi piana condotta del discorso musicale. Lo svolgimento è contenuto e lontano dalle “divine lunghezze” di cui parlerà Schumann più tardi a proposito di Schubert, ma l’ambientazione è già quella delle sinfonie della maturità.
Il Minuetto (Allegro) è assolutamente armonico nella forma e nella leggera conduzione dei temi, ed è costruito tutto sul semplice motivo iniziale dei violini all’unisono con flauto ed oboe. L’andamento complessivo ci riporta alle atmosfere di apertura della Sinfonia, quelle meno pensose, ed il piccolo Trio che vi è incastonato è un tranquillo Ländler non dissimile da certi temi che abbiamo ascoltato all’inizio della serata nel Divertimento.
Vero capolavoro della Sinfonia è, però, il Finale, un Allegro vivace inarrestabile che si ascolta tutto d’un fiato e che lascia l’orchestra esausta per il virtuosismo strumentale che vi è richiesto. Dal sapore inconfondibilmente mozartiano, questo movimento strizza senza dubbio l’occhio a certe atmosfere da opera buffa, ma forse più ad un concertato finale che ad una sinfonia d’opera. Vi sono pochi protagonisti e la materia musicale rimbalza da uno all’altro senza sosta, amplificando ogni volta di più il potenziale ritmico del tema iniziale dei violini. L’orchestra si riempie di personaggi ed ognuno vuol dire la sua, sul contrappunto di un incessante moto di crome rapide sparse qua e là, a volte in tutti i bassi, altre alle sole viole o ai secondi violini. Si creano piccoli episodi che si concentrano su qualche singolo aspetto del tema di apertura, e ad arie marziali succedono atmosfere più giocose, sempre sulla scorta di un’ironia di fondo. Questo era lo Schubert sedicenne dell’Imperial Regio Convitto, e non ci meraviglia che il dedicatario di questa Sinfonia, il direttore della scuola Innocenz Lang, “uomo molto serio e triste”, abbia incoraggiato in ogni momento gli studi musicali del suo geniale allievo.
Zdena Kloubovà
Soprano
Si diploma in canto presso la Scuola d’Arte di Praga e intraprende una brillante carriera che nel giro di pochi hanni la vede prima solista all’Opera di Stato e poi al Teatro Nazionale di Praga. Ha un vasto repertorio da soprano di coloratura e si è esibita con successo in diversi teatri d’opera nell’ambito di tournée in Danimarca, Belgio, Stati Uniti, Russia, Giappone, Israele. Frequenti le sue collaborazioni con ensemble da camera (Virtuosi di Praga, Orchestra da Camera di Praga) e con orchestre sinfoniche dirette da Maestri quali Serge Baudo, Aldo Ceccato, Sir Charles Mackerras. Vincitrice di numerosi concorsi nazionali e internazionali, negli ultimi anni ha dedicato la sua attenzione alla musica da camera (Schubert, Mahler, Martinu, Dvorak,) e al repertorio di cantate e oratori (Bach, Mozart). Ha inciso per la Panton, Clarton e Supraphon.