Le date
Sala Grande del Teatro Dal Verme di Milano
Giovedì 7 novembre, ore 21
Sabato 9 novembre, ore 17
Direttore:
Marcello Panni
Violino:
Felice Cusano
Clarinetto:
Angelo Teora
Orchestra:
Orchestra I Pomeriggi Musicali
Programmma di Sala
Marcello Panni (1940)
Pavane pour G.S.
Bruno Bettinelli (1913)
Concerto per violino e orchestra
Introduzione – Allegro energico – Calmo – Finale
Johannes Brahms (1833 – 1897)
Serenata in Re Maggiore op. 11
Allegro molto
Scherzo (Allegro non troppo) – Trio (Poco più moto)
Adagio non troppo
Minuetto I – II
Scherzo (Allegro)
Rondo (Allegro)
Il Concerto
a cura di Enrico Parola
Ampia e assai variegata appare la produzione di Marcello Panni. Nato a Roma nel 1940, Panni ha iniziato in precocissima età gli studi musicali, approfondendo poi con Goffredo Petrassi gli studi di composizione inizialmente condotti con Franco Ferrara. La sua prima composizione, Empedokles Lied (su testo di Hordelin), fu composta nel 1965 per la Biennale di Venezia, mentre nel 1971 fondò l’Ensemble Teatro Musica, con cui ha presentato Klangfarbenspiel alla Piccola Scala di Milano e La partenza degli Argonauti (da Savinio) al Maggio Musicale Fiorentino. Compositore eclettico, nel cui catalogo si annoverano numerose composizione per ensemble cameristici e per orchestra (ad esempio il Veni Creator Spiritus per sei strumenti solisti scritto a Oakland nel 1980), nonché importanti opere vocali (accanto alle Canzonette a tre voci, del 1985, e Trenodia, del 1992, sono da ricordare le opere Hanjo, atto unico derivato da un No moderno di Yukio Mishima che il Maggio Musicale Fiorentino gli ha commissionato per la stagione del 1994, e Il giudizio di Paride, rappresentata la prima volta a Bonn nel 1996). E’ autore anche di musica elettronica. Accanto all’attività di compositore, si affiancano quella di revisore (la sua versione del Giasone di Cavalli è stata rappresentata a Genova nel 1972, mentre quella del Flaminio di Pergolesi nel 1982 a Napoli) e quella di direttore d’orchestra, che lo vede impegnato nei maggiori teatri d’opera italiani, europei e americani. La musica di Panni è stata accolta con grande entusiasmo da critica e pubblico: basti pensare al Prix Gabriel Fauré ottenuto a Besancon nel 1968, e soprattutto al successo che The Banquet (Talking about love), atto unico con prologo su libretto di Kenneth Koch, ha riscosso al Teatro Goldoni di Firenze. Questa sera viene presentata – in prima esecuzione assoluta – la versione per clarinetto, archi e percussione di Pavane pour G.S., così introdotta dallo stesso Panni: “Questa Pavane, in cui le lettere G.S. stanno per Giuseppe Sinopoli, ma anche per le note Sol e Mi bemolle è ispirata alla mestizia di quella di Ravel e di una poesia di Verlaine. Dedicata alla memoria dell’amico precocemente scomparso, Pavane pour G.S. è stato eseguito per la prima volta a Prato l’8 marzo 2002 dal Contempartensemble, diretto da Mauro Ceccanti, nella sua versione originale per soprano e strumenti”
Figura straordinaria, quella di Bruno Bettinelli, compositore milanese che ha segnato la vita musicale italiana del Novecento: tra i suoi allievi vanno menzionati Claudio Abbado, Riccardo Muti, Aldo Ceccato, Maurizio Pollini, Uto Ughi e Bruno Canino, solo per citarne alcuni, mentre la sua produzione annovera sette sinfonie, tre opere, e numerose pagine cameristiche, solistiche e corali. Quel che più colpisce nella sua attività di compositore è la capacità di seguire senza forzature, con spontaneità, il naturale impulso verso una costruzione e una concezione libera da rigidi canoni formali. I colori, gli agglomerati armonici mantengono però in lui, sempre, una loro coerenza interna, e mai scadono nella casualità di tanta coeva produzione. Bettinelli, infatti, si impone come una personalità unica, irriducibile alle correnti e alle tendenze che andavano contrassegnando le vicende musicali del Novecento italiano. Più volte ha mostrato una incompatibilità con le contemporanee correnti che segnavano la composizione in Italia, in cui Bettinelli vede un disorientamento, succeduto all’esaurirsi dello sperimentalismo e all’affermarsi di un certo qualunquismo. La sua opera, invece, si contraddistingue per il mantenimento di una concezione dialogica ben definita, di un criterio costruttivo chiaro e dialettico, in cui emerga una profonda e sincera partecipazione emotiva, ben visibile, ad esempio, nel pulsare ritmico e nella sottile tensione armonica che pervade le sue pagine. “La mia musica ha sempre un’articolazione discorsiva, e la pulsazione ritmica e l’inquietudine armonica sono i fattori costanti che da sempre caratterizzano la mia produzione – così Bettinelli stesso sintetizza la sua concezione compositiva – . Costituiscono un’ossatura che consente di portare avanti un discorso coerente, strutturato sulla base di un continuo variare degli elementi proposti all’inizio e, successivamente, scomposti, rielaborati per germinazione spontanea, rovesciati, riesposti nelle figurazioni cellulari più svariate che, derivate dalla speculazione contrappuntistica dei fiamminghi, costituiscono anche la complessa elaborazione della tecnica seriale ortodossa. Una tecnica che io, dopo alcuni esperimenti, ho abbandonato, perché troppo vincolante. Ho preferito quindi attenermi al solo totale cromatico, più libero e ricco di risultati altrettanto coerenti, ma, al tempo stesso, più coerente”. Bettinelli indica, con queste parole, l’origine del suo modo di comporre la musica: da una simile concezione deriva la classicità del costrutto, la chiara profilatura del fraseggio, la nettezza delle linee contrappuntistiche, l’energia ritmica e la fantasia strumentale, la capacità di evidenziare i legami con la storia, con la tradizione musicale, senza mai scadere in schematismi banalizzanti. Caratteristiche che hanno fatto del compositore milanese un punto di riferimento per i musicisti italiani della seconda metà del secolo scorso, e che si ritrovano nel Concerto per violino, composto nel 1983 e dedicato all’amico Felice Cusano, che lo interpretò per primo, accompagnato dall’Orchestra Sinfonica “Monteverdi” diretta da Pierluigi Urbini. Già il primo movimento ben evidenzia la volontà di non accettare schematicamente forme precostituite, ricercando piuttosto un flusso discorsivo più fluido e libero: manca la tradizionale esposizione dei temi, e alla suggestiva introduzione dell’orchestra, che crea sonorità magiche, di incantato mistero, segue l’intervento del solista, cui è affidata una linea discorsiva molto contenuta ed espressiva. Questa aumenta gradualmente, fino a raggiungere il proprio culmine nell’Allegro energico, in cui vengono esposti i veri e propri elementi tematici sviluppati liberamente secondo quella che Bettinelli definisce “la tecnica della variazione continua”. Si ritrova, in questa continua, ininterrotta elaborazione, quel procedere contrappuntistico che rappresenta uno degli elementi fondanti la concezione formale e discorsiva del compositore. Un’intensa contabilità permea invece il secondo movimento (Calmo), in cui il canto del solista si appoggia su un delicato sfondo orchestrale: i colori, tenui all’inizio, si ravvivano sempre più, fino a raggiungere il culmine nella sezione centrale, per poi diradarsi lentamente fino a spegnersi nelle battute finali. Più tradizionale appare il movimento conclusivo (Finale), con l’orchestra che espone, in un lungo episodio introduttivo, il tema principale, subito ripreso e sviluppato dal solista. E’ da notare come Bettinelli conduca questo sviluppo, in cui vengono fatti emergere i diversi elementi costitutivi del materiale tematico iniziale, attraverso un andamento rapsodico che realizza, una volta ancora, la “tecnica della variazione continua”. Tutti gli elementi messi in luce nei diversi episodi vengono ripresi e avvicinati, riuniti, nella complessa cadenza con cui si introduce la sezione finale. Proprio qui il solista può estrinsecare pienamente le sue doti tanto di potenza quanto di delicatezza sonora, attraverso una scelta di colori e soluzioni melodiche e armoniche di fascino soggiogante.
Il canto sereno del corno, dispiegandosi sui sommessi accordi degli archi, immerge fin dall’inizio la brahmsiana Serenata in Re Maggiore op.11 in un clima bucolico, di quiete campestre. In questi toni si riflettono gli scenari naturali e i sentimenti che caratterizzavano i soggiorni invernali di Johannes Brahms a Detmold, nel Worthersee. Johannes fu ospitato dal principe di Detmold per tre anni consecutivi, dal 1857 al 1859. Furono mesi particolarmente felici per il musicista amburghese, sia dal punto di vista degli affetti umani, sia dal punto di vista delle esperienze artistiche: lì dirigeva il coro e l’orchestra di corte, eseguendo musica da camera (era anche un valente pianista) e approfondendo lo studio della composizione, soprattutto del genere sinfonico. La sinfonia, infatti, rappresentava per Brahms la forma classica per eccellenza, punto di riferimento imprescindibile con cui confrontarsi, nel tenace tentativo di riaffermare l’attualità e la validità delle strutture canonizzatesi col classicismo viennese di Haydn, Mozart e Beethoven anche nel pieno della temperie romantica. Compito non facile; e infatti travagliati furono i primi approcci con la sinfonia (si pensi, ad esempio, all’abbozzo sinfonico che sarebbe poi divenuto il Concerto per pianoforte e orchestra in re minore). Brahms sentì così l’esigenza di compiere una sorta di tirocinio tecnico, di percorso propedeutico che gli permettesse di affrontare poi con successo la composizione di una sinfonia, cimentandosi nei diversi generi della musica orchestrale, tra cui, appunto, la serenata. La prima versione, terminata nell’estate precedente al primo soggiorno a Detmold, in quattro movimenti per ottetto di fiati, venne ampliata, sia nelle dimensioni (assumendo l’attuale struttura in sei tempi) sia nell’organico, dilatato fino a raggiungere l’organico definitivo di una grande orchestra sinfonica. E la concezione sinfonica è ben evidente nel piglio eroico che già Brahms staglia nel primo movimento: al canto del corno e alle quinte degli archi succede una pienezza sonora potente, maestosa, coincidente col primo “forte”, culmine dell’esposizione subito ripetuto dai fiati; lo sviluppo, poi, viene condotto attraverso un severo contrappunto. Le terzine e la melodia ampia e spiegata del secondo gruppo tematico così tipicamente, inconfondibilmente brahmsiani, sembrano preludere ai grandi temi sinfonici che caratterizzeranno le opere successive. Lo Scherzo successivo si apre con un tema che sarebbe stato sviluppato con diversi esiti nello scherzo del Secondo Concerto per pianoforte e orchestra: ma, invece del piglio eroico e degli scarti improvvisi tra le sezioni concitate e i momenti di maggior slancio lirico che improntano lo scherzo del Concerto, nella Serenata il movimento assume un atteggiamento più dolce (è riportata l’indicazione “sempre piano e dolce”), con un Trio che si sviluppa naturalmente dal materiale musicale inizialmente esposto e che ritorna, senza forzature, allo Scherzo. L’espressione un po’ vaga che lo pervade, e più in generale la sua gestualità, sembrano improntate a modelli beethoveniani. Lo stesso si può dire del secondo Scherzo: anzi, se il primo mantiene una sonorità ultimamente cameristica, il secondo si presenta come un vero e proprio movimento di sinfonia beethoveniana. A Mozart guardano invece i due Minuetti, discostandosi anch’essi, nel loro atteggiamento retrospettivo, dal carattere compositivo dei tre movimenti “principali”. In questi si iscrive il tenero Adagio, dove sui tremoli e gli arpeggi degli archi si dispiegano le melodie affidate ai legni, spesso condotte per terze, e concluse con un eloquente richiamo del corno. Si ha come l’impressione di una “ricerca del tempo perduto”, un tono malinconico in cui affiora, forse, il dubbio dell’inutilità del tentativo di ravvivare un genere ormai atrofizzato. Il luminoso Finale riafferma in modo spensierato lo spirito della serenata, e talvolta le sonorità adottate (gli squillanti effetti delle trombe) sembrano una sovrapposizione dall’esterno su un impianto diversamente concepito; tuttavia, soprattutto in alcuni passaggi della coda, è chiara l’intenzione sinfonica ricercata da Brahms. Il carattere spezzato, alterno, sempre in bilico tra la concezione della serenata classica e la volontà, il tentativo di trovare un modello sinfonico definitivo contribuiscono però, unitamente alla freschezza e alla serenità giovanile che pervade ogni movimento, proprio uno degli elementi che rendono così affascinante, suggestiva, questa splendida Serenata.
Marcello Panni
Direttore d’orchestra
Compositore e direttore d’orchestra, nasce a Roma nel 1940. Le sue composizioni sono eseguite, a partire dal ’64, a Roma, alla Biennale di Venezia, a Milano, al Maggio Musicale Fiorentino, a Londra, a Bonn, a New York. Fra l’80 e l’84 insegna Composizione al Mills College di Oakland (Stati Uniti). Come direttore d’orchestra è ospite delle principali istituzioni musicali italiane e presso i più prestigiosi teatri europei. Fra i tanti ricordiamo: l’Opéra di Parigi, la Staatsoper di Vienna, la Deutsche Oper di Berlino, l’Opernhaus di Zurigo, il Covent Garden di Londra, il Liceu di Barcellona, la Scala di Milano, l’Opera di Roma, il Teatro di Bilbao, le orchestre sinfoniche di Basilea, Montecarlo, Radio-France, RAI. Nel’88 debutta al Metropolitan di New York con L’elisir d’amore e vi ritorna nell’89 e nel ’92 con Rigoletto e Lucia di Lammermoor. Il suo interesse per la musica contemporanea lo ha spinto a dirigere diverse prime assolute di Berio, Busotti, Glass. Fra il 1994 e il 1997 è stato Direttore artistico de’ I Pomeriggi Musicali e, dal ’95, Direttore musicale dell’Opera di Bonn. Attualmente è Direttore musicale dell’Orchestra Filarmonica di Nizza.
Felice Cusano
Violinista
Ha studiato al Conservatorio S. Pietro a Majella di Napoli sotto la guida di Giovanni Leone e si è poi perfezionato a Monaco con Otto Buechner e Franz Beyer, e all’Accademia Chigiana di Siena con Franco Gulli. Nel 1972 è vincitore assoluto della Rassegna Nazionale “Auditorium-Giovani interpreti” organizzata dalla RAI. Per anni ha fatto parte di prestigiosi complessi quali il Sestetto Chigiano, i Virtuosi di Roma, i Solisti italiani con i quali si è esibito come solista nei teatri più importanti del mondo. Ha suonato con le orchestre italiane più prestigiose (Teatro alla Scala di Milano – RAI di Milano, Roma e Torino – Fenice di Venezia – Orchestra I Pomeriggi Musicali – Orchestra Haydn di Bolzano, e altri) riscuotendo ovunque consensi di critica e di pubblico. Eminenti musicisti del nostro tempo quali William Walton, Bruno Bettinelli (che gli ha dedicato il suo concerto per violino e orchestra) e Carlo Galante gli hanno espresso grande considerazione. Svolge intensa attività di musica da camera. La sua incisione dell’Ottetto e del Trio di Mendelssohn è stata recensita dalla nota rivista americana “Fanfare” come una delle migliori esistenti sul mercato. Ha effettuato registrazioni per la Erato, la RCA e la Dynamic. Ha inciso il Concerto per violino e orchestra di Carlo Galante e quello di Bruno Bettinelli. Tiene vari corsi di perfezionamento ed è stato per oltre vent’anni titolare di cattedra principale presso il Conservatorio “G. Verdi” di Milano. Attualmente insegna alla Scuola di Musica di Fiesole.
Angelo Teora
Clarinettista
Diplomato con il massimo dei voti al Conservatorio G. Verdi di Milano, ha in seguito ottenuto il diploma di merito e d’onore presso l’Accademia Chigiana e si è perfezionato ad Assisi con il M° Leister. Dal 1980 è primo clarinetto dell’Orchestra “I Pomeriggi Musicali” di Milano. Ha registrato per la Radio Svizzera Italiana, per la Radio Parigi, per la Radio Inglese e per la RAI. Sempre per la RAI ha eseguito un programma di musiche per clarinetto solo dedicate a lui da compositori italiani. Ha collaborato con l’Orchestra Filarmonica della Scala, con le Orchestre dei Teatri di Genova, Cagliari e Trieste. Come solista si è esibito con i Maestri Pradella, Gatti, Viotti, Severini e ha eseguito il Concerto per clarinetto e orchestra di Mozart sotto la direzione del Maestro Aldo Ceccato. E’ docente di clarinetto presso il Civico Istituto Musicale G. Donizetti di Bergamo e ha tenuto numerosi corsi di perfezionamento a Lanciano e Castelsardo.