Le date
Giovedì 18 marzo, ore 21
Sabato 20 marzo, ore 17
Sala Grande del Teatro Dal Verme
Direttore:
Roberto Benzi
Violino:
Boris Belkin
Orchestra:
Orchestra I Pomeriggi Musicali
Programma:
Sergej Prokov’ev (1891-1953)
Ouverture su temi ebraici
Un poco allegro
Arthur Honneger (1892 – 1955)
Pastorale d’été
Sinfonia n. 2 per orchestra d’archi e tromba
Molto moderato – Allegro
Adagio mesto
Vivace, non troppo – Presto
tromba solista Sergio Casesi)
Sergej Prokov’ev
Concerto per violino e orchestra n. 2 in Sol minore, op.63
Allegro moderato
Andante assai -Allegretto – Andante assai
Allegro, ben marcato
Il Concerto
Nei manuali di storia della musica del Novecento, Honegger e Prokofiev sono due compositori che vengono studiati in capitoli in genere assai distanti tra loro: il primo, come membro del Gruppo dei Sei, viene presentato nelle pagine successive all’impressionismo francese; il secondo, invece, è di norma inserito all’interno della scuola russa in un mare magnum che va dai Cinque russi a Sostakovich. Anagraficamente, però, i due musicisti protagonisti del concerto di stasera sono pressoché coincidenti, e anche le loro biografie e poetiche presentano inaspettati punti di contatto.
Prokofiev fu un compositore molto noto sin da quando era in vita: conosciamo le sue difficoltà col regime post-rivoluzionario, le vicissitudini di un’esistenza creativa che dovette misurarsi con problemi ideologici difficilmente aggirabili, l’ombra di Stalin che oscurava e dettava legge su ogni ambito dello scibile, e così via. Prokofiev fu, però, anche uno dei primi musicisti a poter lasciare per un periodo piuttosto lungo la sua terra; il 20 aprile 1918 gli fu concesso un visto d’uscita dal nuovo governo sovietico “in ragione della sua salute cagionevole e per le sue necessità artistiche”. Questo atto burocratico così importante per la storia della musica gli consentì di girare l’Europa e gli Stati Uniti e fece sì che potesse stabilirsi dal 1923 al 1933 in Francia, a Parigi, proprio laddove era attivo Honegger ed il cenacolo di Sei musicisti al quale apparteneva. Di certo i Sei conoscevano bene la musica di Prokofiev, anche se negli anni ’20 egli era ancora poco noto ma ben tenuto d’occhio nel mondo musicale, ma fu di certo molto importante anche il fatto che il russo ebbe in questo modo la possibilità di vivere dall’interno la densa vita musicale francese e, grazie al ruolo preminente che Parigi rivestiva in Europa, anche la produzione straniera contemporanea. Entrambi i brani di Prokofiev in programma stasera sono da mettere in relazione col soggiorno in Europa del compositore.
Il concerto odierno si apre con un pezzo poco noto ma significativo all’interno della sua opera: l’Ouverture su temi ebraici, nella sua versione per orchestra sinfonica. Quest’ultima precisazione è necessaria perché di questo brano esistono due versioni. L’originale è per pianoforte, clarinetto e quartetto d’archi, una formazione ben poco usuale ma identica a quella dell’Ensemble Zimro, un insieme di musicisti russi stabilitisi in America che commissionarono a Prokofiev questo brano nel 1918, mentre egli girava in tournée nei vari Stati dell’Unione. Il brano, di piacevole ascolto, è di ottima fattura e rispecchia quell’oggettività e quella capacità di scrivere musica in condizioni di organico imposto che lo avvicina ad altre figure di spicco come Stravinskij o Hindemith. Si tratta semplicemente di un pastiche di temi che Prokofiev trasse da una raccolta antologica di canti della tradizione ebraica, scelta operata solo sotto il profilo estetico, con la pura intenzione di raccogliere materiale per il confezionamento di un brano di carattere e connotato sotto il segno di un folklore ben diffuso in Russia ed esportato dall’Ensemble Zimro e da tutti i musicisti che riuscirono ad uscire dal vincolo sovietico. La strumentazione per orchestra sinfonica (lo stesso organico della Sinfonia Classica) è del 1934.
Anche la Pastorale d’été è un piccolo brano d’occasione, senza grandi pretese ma ugualmente godibile da un punto di vista eufonico. E’ di sicuro il brano di Honegger più orientato verso Debussy, sia per alcune caratteristiche della strumentazione, sia per il tipo di ispirazione che conduce lo svolgimento del materiale musicale. Si tratta di un breve poema sinfonico, conciso (poco più di sette minuti) ma al suo interno diviso in tre brevi sezioni; la musica si rifà ad un poema di Rimbaud, “J’ai embrassé l’aube d’été” [“Ho abbracciato l’alba dell’estate”] anche se il collegamento col testo si limita ad un’allusione generica verso i suoi contenuti senza alcuna intenzione descrittiva o esemplificativa.
D’altronde la personalità e la poetica di Honegger erano ben lontane da possibilità programmatiche nella sua musica. Dotato di un carattere difficile, incline a depressioni molto profonde, Honegger viveva il proprio rapporto con la musica in termini a dir poco conflittuali. A fronte di una capacità creativa ed analitica molto sviluppate, egli era però anche un uomo che negli anni Cinquanta affermò che “Il mestiere di compositore ha la particolarità d’essere l’attività principale di un uomo che si impegna con tutte le sue forze a produrre una merce della quale nessuno può far uso”. Se si pensa che Honegger compose senza sosta per tutta la sua vita, che creò cinque splendide sinfonie oltre a molta musica da camera, a musica per film, etc., questa considerazione così nichilista e in un certo senso ironica merita di essere rivista. La sua Seconda Sinfonia cominciò a prendere forma durante le ore più buie della Seconda Guerra Mondiale. Parigi era caduta il 13 giugno 1940, gli americani non avevano ancora un’idea di cosa avesse potuto significare l’invasione tedesca della Francia, la Germania e la Russia andavano ancora bellamente a braccetto e in quel periodo più di un artista si sentì sopraffatto dal dubbio in merito alla propria professione, un dubbio generale proprio sul concetto di “liceità” della creazione artistica in un momento in cui la barbarie stava prendendo il sopravvento nell’Europa intera. Honegger, pur sentendo viva questa indecisione e tutti gli interrogativi che ne conseguivano, riuscì comunque, dopo ben cinque anni di schizzi ed idee accantonate, a dar seguito ad una commissione che gli era giunta da Paul Sacher, che voleva un brano nuovo per il decennale della sua Orchestra da Camera di Basilea, nel 1936.
Fu così che all’inizio del 1941 Honegger cominciò a comporre la Sinfonia che diventerà uno dei brani più eseguiti della sua opera complessiva. Scrisse nel 1943: “Durante l’inverno del 1941 l’Adagio cominciò a prendere gradualmente forma; poiché io comincio sempre la composizione di un lavoro sinfonico dalla sezione centrale del trittico; infatti è difficile per me concepire una sinfonia in un’altra forma che quella in tre movimenti”. E’ una considerazione importante, che svela un lato fondamentale dell’arte di Honegger. La musica non è più ispirazione tout court ma è un’attività artigianale in un senso affatto dissimile da quello che abbiamo rilevato per Prokofiev nel paragone con Hindemith e Stravinskij. Inoltre c’è un implicito riferimento alla forma più classica e canonica della sinfonia, i tre movimenti che si susseguono nel ritmo veloce-lento-veloce, una dinamica complessiva che, a metà dello scorso secolo, aveva evidentemente la capacità di destare interesse in un compositore per altri versi affatto arcaico.
Scrive ancora: “I mie principali obbiettivi in questa Sinfonia sono gli stessi di tutte le altre mie sinfonie finora compost
- Condensazione della forma, omissione della ripresa così come di norma nella sinfonia classica, in cui lascia sempre un’impressione di lungaggine.
- Ricerca di temi sufficientemente caratterizzati da catturare l’attenzione dell’ascoltatore e permettergli di seguire il corso dell’intera “storia”.
- Non ho cercato programmi o concetti filosofici quanto letterari. Se questo lavoro accende qualche emozione, la ragione è che questa ha avuto il sopravvento in me in maniera perfettamente naturale. Poiché io esprimo i miei pensieri attraverso la musica senza esserne del tutto conscio”.
Sotto queste indicazioni dello stesso compositore si può ascoltare questa Sinfonia con una consapevolezza ben grande. La lucidità di queste affermazioni, una certa crudezza nei loro contenuti, esprimono in maniera eloquente la personalità di Honegger. Con la stessa semplicità egli ci informa sul ruolo della tromba solista: essa interviene solo nel terzo movimento ma il suo intervento non ha una funzione strutturale e non deriva da un’esigenza timbrica inevitabile. Chiude il finale un corale nel quale i primi violini intonano un’importante melodia che rischia di venir confusa dalle armonie sottostanti. Per questa ragione Honegger optò per un solista, la tromba in questo caso, ma poteva trattarsi anche di un oboe o di un clarinetto, che “colora” la melodia dei violini con la stessa naturalezza con la quale un organista cambia un registro sul suo strumento.
Il Concerto n.2 di Prokofiev per violino e orchestra rappresenta un punto di svolta nella sua carriera. Ad un orecchio infastidito dalla durezza di molta musica del ventesimo secolo, questo Concerto difficilmente suonerà moderno. Esso abbonda di belle melodie, armonie consonanti, un colore orchestrale sensuale, una forma chiara e maniere invitanti che lo hanno reso molto popolare e non solo in Russia. I critici sovietici furono inclini ad attribuire questo felice stato delle cose al fatto che questo brano fu uno dei primi che Prokofiev compose quando decise volontariamente di tornare in Unione Sovietica e di stabilirvisi permanentemente. E ciò può essere corretto. Egli tornò nel 1933, dopo quindici anni in Europa, e questo Concerto, cominciato quando si apprestò a lavorare sul balletto “Romeo e Giulietta”, fu completato nel 1935.
“Realismo sovietico” è un concetto o una definizione molto diffusa, ancora oggi, in Russia, e per un occidentale può essere molto difficile comprenderne il significato, in particolare in merito alla musica puramente strumentale. Ebbene, questo Concerto ne è uno degli esempi più convincenti, ma allo stesso tempo esso si inserisce perfettamente anche in una prospettiva internazionale, e quindi poco assimilabile all’ideologia dominante in Russia in quegli anni. Gli anni ’30 videro un cambio di stile in compositori poco comunicanti tra loro: parliamo di Sostakovich, ma anche di Copland, di Hindemith e di Bartók. Qualche critico ha usato il termine di neoclassicismo, ma si tratta di un’etichetta riduttiva nella misura in cui lo possono essere quelle di neo-barocchismo, neo-rinascimento, etc. In questo senso, il Secondo Concerto di Prokofiev è definibile come neo-romantico e, al di là di paragoni assai difficili da sostenere, i modi ed un certo modo di far procedere il flusso delle idee musicali ricordano Mendelssohn più di quanto si immagini. E’ un Concerto dai modi urbani, gentili ma pieni di emozione, e anche la composizione dell’orchestra rivela intenti poco terroristici: agli archi usuali si aggiungono legni e ottoni dell’orchestra classica, più qualche percussione.
In ogni caso, anche questo lavoro di Prokofiev risente della sua lunga permanenza europea: esso gli fu commissionato da un gruppo di ammiratori parigini di un violinista francese, Robert Soëtans, e la composizione, almeno nelle sue linee generali, si svolse durante un periodo nomade dovuto ad impegni concertistici. Il tema principale del primo movimento fu ideato a Parigi, il primo tema del secondo tempo fu scritto a Voronezh mentre l’orchestrazione fu completata a Baku, nell’Azerbaijan. La prima esecuzione avvenne a Madrid, nel dicembre 1935 con il dedicatario come solista e l’Orchestra Sinfonica di Madrid diretta da Enrique Arbos.
Roberto Benzi –Direttore d’Orchestra
Nato a Marsiglia (Francia) da genitori italiani, manifesta giovanissimo la sua predisposizione musicale. Si trasferisce a Parigi dove, sotto la guida di illustri insegnanti, sviluppa e consolida la sua passione. Dal 1947 riceve lezioni di direzione d’orchestra da André Cluytens, e debutta già nel 1948. Inizia quindi una carriera che lo porta verso una precoce celebrità e a girare, nel ’49 e nel ’52, due film musicali che gli saranno consacrati: “Prélude à la Gloire” e “L’Appel du destin“. Dirige la sua prima opera lirica nel ’54 e l’Opéra di Parigi lo chiama nel 1959/60 per dirigere numerose rappresentazioni della Carmen di Bizet. Dall’inizio della sua carriera è stato invitato da un numero enorme d’orchestre, teatri e festival; fra i più importanti ricordiamo le orchestre di Colonia e di Lamoureux, l’Orchestre National de France, l’Orchestre de Paris, la London Symphony Orchestra, la London Philharmonic, la Royal Philharmonic, la Philharmonia Orchestra, la Philarmonia di Stoccolma, l’Orchestre de la Suisse Romande e quella di Zurigo, l’Accademia di S. Cecilia di Roma, la Concertgeboworkest di Amsterdam, i Wiener Symphoniker, i Gürzenich di Colonia, la N.D.R. di Amburgo, la Dresdner Staatskapelle, il Gewandhaus di Lipsia, la Filarmonica di Leningrado, l’Orchestra di Stato dell’U.R.S.S., la Filarmonica di Mosca, quella di Israele, le Orchestre di Cleveland, Philadelphia, la Pittsburg Symphony e la Montreal Symphony. Ha diretto produzioni liriche nei seguenti teatri: Opéra e Opéra Comique di Parigi, Metropolitan Opera di New York, teatro Nazionale di Praga, Teatro Reale della Monnaie a Bruxelles, Grand Théâtre di Ginevra, Teatro Verdi di Trieste e Opera Nazionale di Sofia. E’ stato fondatore e Direttore dell’Orchestra di Bordeaux-Aquitaine dal ’73 al ’78. Nel 1996 diventa Direttore Permanente e Sovrintendente Artistico del Nationaal Jeugdorkest di Amsterdam e nel 1998 Direttore Generale e Consigliere Artistico del Gelders Orchest (Arnhem Philharmonic).
Boris Belkin – Violinista
Studia violino al Conservatorio di Mosca con Yankeievitz e Andrievsky. Nel 1973 vince il Primo Premio del Concorso Nazionale per Violinisti dell’Unione Sovietica, al seguito del quale si trasferisce in occidente, dove inizia una brillante carriera. In pochi anni si esibisce con le più note orchestre internazionali tra le quali le Filarmoniche di Cleveland, Berlino, Israele, Los Angeles, Detroit, Pittsburgh, Montreal, l’Orchestra Nazionale di Francia e il Conzertgebouw. Ha collaborato con direttori di fama fra i quali Ahronovitch, Ashkenazy, Benzi, Bernstein, Chung, Dohnanyi, Dutoit, Haitink, Herbig, Maazel, Mehta, Muti, Ozawa, Sanderling, Termirkanov. E’ apparso in diversi “special” televisivi con la New York Philharmonic diretta da Leonard Bernstein e il Conzertgebouw diretto da Bernard Haitink. Negli ultimi tre anni Belkin ha tenuto numerose tournée negli Stati Uniti e in Europa. Partecipa regolarmente al Festival Missali in Giappone. Di recente si è esibito con Isaac Stern nei Concerti per due violini di Bach e di Vivaldi. Nel settembre 2000 ha inaugurato la stagione della Filarmonica di San Pietroburgo diretta da Temirkanov. Ricchissima la sua discografia. Tiene regolarmente master classe presso la Accademia Chigiana di Siena.