Autori vari - I Pomeriggi Musicali - Teatro Dal Verme

Le date

Sala Grande
sabato 13 marzo 2004
Ore: 17:00

Sabato 13 Marzo, ore 17
Teatro Dal Verme, Milano

Direttore:
Ion Marin
Violoncello:
Anne Gastinel
Orchestra:
Orchestra della Svizzera Italiana

Programma:
Wolfgang Amadeus Mozart (1756-1791)
Sinfonia n. 31 in Re maggiore K 297 “di Parigi”
Allegro assai
Andante
Allegro

Joseph Haydn (1732-1809)
Concerto per violoncello e orchestra in Do maggiore Hob. VIIb: n. 1
Moderato
Adagio
Allegro molto

Ludwig van Beethoven (1770-1827)
Sinfonia n. 2 in Re maggiore op. 36
Adagio molto. Allegro con brio
Larghetto
Scherzo. Allegro
Finale. Allegro molto

Il Concerto
Sinfonia K 297 “di Parigi”
Gli anni fra il 1774 e il 1779 rappresentarono per Mozart un’epoca di decisiva transizione. Dapprima la commissione monacense della Finta giardiniera, dalla quale egli doveva trarre la consapevolezza di un’ormai raggiunta maturità di compositore drammatico; poi, al ritorno, tre anni di operoso soggiorno nella tranquilla — fin troppo tranquilla — patria salisburghese: un centinaio di lavori in tutto. Ma l’ambiente gli appare provinciale senza rimedio e privo di veri sbocchi professionali. “Io inganno il tempo scrivendo musica da camera e da chiesa” egli scrive in una lettera — probabilmente ispirata dal padre Leopold — all’antico maestro bolognese, il francescano Giovanni Battista Martini (4 settembre 1776). Infine le dimissioni dal servizio di corte e la partenza per l’avventura parigina in compagnia della madre (settembre 1777). Da quel viaggio ricaverà per lo più motivi di delusione, e innanzitutto la certezza di non essere più spendibile come bambino prodigio. Ma sono anche gli anni durante i quali diventa irreversibile nella forma sinfonica la distinzione e la specializzazione fra l’ouverture operistica (essa pure detta ’sinfonia’) e l’omonimo genere orchestrale. Mentre l’una abbandona la tradizionale forma in tre movimenti (Allegro-Adagio-Allegro o Presto finale) riducendosi ad un tempo solo, per lo più bipartito e organizzato secondo le regole della forma-sonata, l’altro si espande da tre a quattro movimenti, con l’inserzione di un minuetto e relativo trio dopo l’Adagio. Capitali di questa piccola rivoluzione sono la Milano dei Sammartini, Chiesa, Lampugnani, e la Mannheim di Stamitz e Cannabich. Mozart, che nella metropoli lombarda aveva mosso agli inizi di quel decennio i suoi primi passi di operista, lungo la strada che lo conduce a Parigi conosce ora per esperienza diretta anche la scuola di Mannheim, a contatto della quale affina ulteriormente la sua maestria nel trattamento della grande forma orchestrale.Con la sinfonia 31 (in re maggiore, K 297), detta anche “di Parigi”, Mozart intendeva forse impressionare il pubblico dei Concerts Spirituels e il loro impresario Jean Le Gros che glie l’aveva commissionata. Ciò appare evidente sin dal primissimo attacco dell’Allegro assai, col perentorio accordo di tonica quattro volte ripetuto cui fa da coronamento un arpeggio rampante verso l’alto. Era il mitico coup d’archet, eseguito con impeccabile e travolgente sincronia, del quale le orchestre parigine andavano fiere come di un marchio di fabbrica. Si ripete infatti alla chiusa del movimento, sigillando simmetricamente un movimento fra i più accattivanti per la sua gestualità franca ed estroversa, per la ricchezza dei contrasti dinamici, per la collaborazione di tutte le sezioni orchestrali. Sono caratteristiche che si ritrovano ancora maggiormente potenziate nel focoso Allegro finale, dove la consueta spinta centrifuga si traduce in una forte accentuazione dello sbrigativo secondo tema. Gli uditori parigini, impresario in testa, reagirono con entusiasmo ai due movimenti esterni; rimasero invece perplessi di fronte alla fattura ricercata e meditativa dell’Andantino cantabile in 6/8, che trovarono eccessivamente lungo. Sicché il Maestro, desideroso di compiacere il gusto locale, lo sostituì senza indugio con un agile Andante di più tradizionale fattura, in tempo di 3/4.
Carlo Vitali

Concerto in Do maggiore per violoncello e orchestra
Scarse, occasionali, e in larga maggioranza giovanili furono le composizioni concertistiche di Franz Joseph Haydn, la maggior parte delle quali furono scritte entro la fine degli anni Sessanta del diciottesimo secolo. Lo stesso Haydn non le tenne probabilmente in particolare considerazione, se è vero che non le diede quasi mai alle stampe, neppure quando il suo nome, divenuto popolarissimo, sarebbe stato garanzia sufficiente perché qualunque editore ne accettasse la pubblicazione: e non è un caso che il manoscritto di uno dei concerti haydniani oggi più conosciuti ed eseguiti — il Concerto in do maggiore per violoncello e orchestra Hob. VIIb n. 1 — sia stato riscoperto solo in tempi relativamente recenti, al principio degli anni Sessanta del Novecento, dopo quasi due secoli di oblio.

Haydn scrisse i suoi concerti su commissione (è il caso dei concerti per due lire organizzate, destinati al re di Napoli Ferdinando IV), oppure per se stesso (i concerti per organo, risalenti all’epoca in cui egli suonava lo strumento nel convento degli Ospitalieri, a Vienna, negli anni Cinquanta), oppure per i musicisti della cappella degli Esterhazy, presso la quale era al servizio. La sua scarsa simpatia per questo genere musicale può essere variamente spiegata, ma non si andrà molto lontano dal vero affermando che il concerto solistico, per la sua stessa natura, per la sua intrinseca carica di gestualità, per la necessità di frasi musicali dal profilo melodico netto ed incisivo, presupponeva già allora un tipo di concezione musicale molto diversa da quella prediletta da Haydn: una concezione, quest’ultima, in cui non tanto il tema in sé (in genere scarsamente significativo), quanto il gioco sottile dell’elaborazione e dello sviluppo costituiva il vero centro d’interesse dell’opera.

Strumento predletto dai musicisti italiani, il violoncello impiegò molto tempo (nonostante il precedente eccelso delle Suites bachiane) a divenire veramente popolare in Austria e Germania. I primi a dedicargli opere concertistiche di un certo valore furono, tra i musicisti tedeschi, i Mannheimer della seconda generazione (Carl Stamitz, ad esempio), e solo dopo la metà del diciottesimo secolo esso cominciò ad essere impiegato con regolarità come strumento solistico. Franz Joseph Haydn scrisse almeno sei Concerti per violoncello; a noi, tuttavia, nei sono pervenuti soltanto due sicuramente autentici (in do maggiore Hob. VIIb n. 1 e in re maggiore Hob. VIIb n. 2).

Secondo alcuni studiosi haydniani, la data di composizione del Concerto in do maggiore Hob VIIb n. 1 andrebbe posta addirittura intorno agli anni 1761-62: destinatario ne fu probabilmente il violoncellista Joseph Weigl, attivo nell’orchestra di corte degli Esterhazy tra il 1761 e il 1769, un musicista che, a giudicare dalle difficoltà esecutive disseminate in tutta la composizione, doveva essere in possesso di una tecnica più che ragguardevole. Il Concerto presenta, accanto ad aspetti di indiscutibile modernità stilistica, anche alcuni tratti relativamente più arcaici. Il Moderato iniziale, che si apre su solenni e pomposi ritmi di marcia, presenta ad esempio una struttura abbastanza semplice, in cui la tecnica barocca del ritornello si fonde con la forma sonata. Di gusto assai più moderno è il sereno Adagio in fa maggiore, in cui lo strumento solista ha agio di mettere in mostra tutte le sue risorse di espressiva cantabilità. La forma sonata, così tipica del pensiero compositivo haydniano, ricompare poi anche nel movimento finale, Allegro molto, dalla più accentuata scansione virtuosistica, una sorta di frenetico moto perpetuo che si trasforma in autentica esibizione di bravura da parte del solista.
Danilo Prefumo

Sinfonia n. 2
Al suo pubblico viennese, quello stesso che gli agiografi posteriori (da Brahms a Romain Rolland) qualificheranno di superficiale, degenerato e filisteo, Beethoven era solito imporre tours de force pressoché terrificanti. Basti pensare che per il concerto del 5 aprile 1803 presso il Theater an der Wien, cui prese parte nella quadruplice veste di organizzatore, compositore unico, direttore d’orchestra e solista di pianoforte, egli aveva messo in cartellone, oltre alla replica della Prima sinfonia, la bellezza di tre opere nuove: la Seconda sinfonia in re maggiore, il Concerto n.3 per pianoforte e orchestra e l’oratorio Christus am Ölberge; progettava poi di coronare la serata con altri pezzi minori, ma ne fu dissuaso a furor di popolo esausto. Le cronache dell’epoca narrano di un successo più caloroso per la Prima sinfonia che non per la Seconda; e dire che in quest’ultima l’autore aveva profuso tutto un campionario di allettamenti: fanfare, marce turche e spunti di Nachtmusik, non senza molte reminiscenze di quello stile mozartiano che l’uditorio della capitale austriaca sembrava ormai idolatrare — ahimé con dieci anni di ritardo, almeno per il povero Mozart! Ancor peggio le cose andarono con le prime esecuzioni a Lipsia e a Berlino (in quest’ultima città la stampa parlò di “difficoltà suonate per tre quarti d’ora”), mentre l’unica voce levatasi a difesa, anzi a lode incondizionata, fu quella dei poeta Friedrich Rochlitz, il direttore della “Allgemeine Musikalische Zeitung”.

Un Adagio molto di 33 battute a tempo di marcia, interrotto da un drammatico inciso alla dominante, funge di introduzione all’Allegro con brio, dalla spiccata dialettica bitematica di forma-sonata. Secondo la testimonianza di Schindler, Beethoven voleva che questo tempo venisse eseguito “sempre con lo stesso movimento, e che questo non fosse tanto svelto da far perdere al brano la sua dignità”. Il Larghetto, qui inserito al posto del più usuale Adagio, è un cantabile di struggente affettuosità, improntato esso pure dalla tonalità di dominante (la maggiore). Schumann era del parere che vi risuonasse il canto degli angeli; noi potremmo intravvedervi una sorta di omaggio al romantico Naturgefühl che Beethoven ricercava nelle sue solitarie passeggiate estive tra i boschi di Heiligenstadt. In questa amena località a poca distanza da Vienna si svolse appunto il nucleo del lavoro compositivo sulla Seconda sinfonia, durante l’estate del 1802 e dunque in un periodo segnato dal tragico presentimento della sordità e da una profonda crisi esistenziale. Ma nulla di tanto dramma personale sembra trapelare in questa creazione beethoveniana, meno che mai negli ultimi due movimenti. Lo Scherzo, che nella Prima sinfonia era ancora Minuetto, fa infatti onore al suo nome con l’umoristica rozzezza delle sincopi e degli unisoni; l’Allegro molto conclusivo in forma di rondò alterna al ritmo serrato e gioioso, tutto teso alla conclusione, le periodiche riprese di quel clima corale che già caratterizzava l’Allegro con brio. La coda ben sviluppata sembra prolungare il piacere del moto ancora per qualche tempo, al di là di ogni necessità formale, in una giovanile esplosione di esuberanti energie.
Carlo Vitali

Ion Marin
Nato in Romania nel 1960, dopo essersi diplomato presso l’Istituto Musicale George Enescu e l’Accademia Musicale di Bucarest, completa la sua formazione al Mozarteum di Salisburgo, all’Accademia Chigiana di Siena e all’Accademia Internazionale di Nizza. All’età di ventun anni viene nominato direttore musicale dell’Orchestra Filarmonica della Transilvania, con cui effettua diverse tournées nei paesi dell’Europa Orientale.

Dopo avere lasciato la Romania nell’86, viene designato direttore in residence della Staatsoper di Vienna nel periodo della gestione di Claudio Abbado, dall’87 al ’91. Si distingue ben presto anche nella musica sinfonica, presentandosi sul podio delle più importanti orchestre in Europa, America del Nord e Giappone, quali la London Symphony Orchestra (con la quale debutta nel ’91), l’Israel Philharmonic, la Rotterdam Philharmonic, l’Orchestra dell’Accademia di Santa Cecilia di Roma, l’Orchestra del Gewandhaus di Lipsia, l’Orchestre National de France, la Montréal Symphony, l’English Chamber Orchestra, la Tokyo Philharmonic, i Filarmonici di Helsinki, la BBC National Orchestra, la Filarmonica Ceca e tante altre. Nel ’93 esordisce con la Philadelphia Orchestra ottenendo tali consensi da essere riconfermato per le stagioni successive. Collabora inoltre con solisti prestigiosi: Yo-Yo Ma, Viktoria Mullova, Gidon Kremer, Maria Joao Pires, Mikhail Pletnev, Yuri Bashmet, Alexis Weissenberg. Da ricordare poi le sue apparizioni al Rossini Opera Festival di Pesaro, alla Fenice di Venezia, alla Deutsche Oper di Berlino, all’Opera di San Francisco, all’Opéra-Bastille di Parigi, all’Opéra de Lyon, all’Opera di Dallas e di Houston, al Metropolitan di New York. Nel 1998 ha inaugurato il Nuovo Piccolo Teatro di Milano con “Così fan tutte”, l’ultima produzione di Giorgio Strehler.

Ion Marin ha inciso per la DGG le edizioni complete della Lucia di Lammermoor di Donizetti, del Signor Bruschino e della Semiramide di Rossini. Per la stessa casa discografica ha accompagnato il flautista Patrick Gallois nel Concerto di Khachaturian e nel Concierto pastoral di Rodrigo e il soprano Cheryl Studer in un’antologia di celebri arie sacre. Altre produzioni sono state realizzate per Philips, Sony e Decca con Cecilia Bartoli e Angela Gheorghiu. Nel 2001 è apparsa nel BBC Magazine una sua incisione della Quarta Sinfonia di Mahler. Alcune produzioni hanno ottenuto premi discografici.

Anne Gastinel
Nata in Francia nel 1971 da una famiglia di musicisti, ha iniziato lo studio del violoncello a quattro anni. A dieci ha dato il suo primo concerto teletrasmesso come solista e a quindici ha ottenuto il Primo Premio al Conservatorio di Lione.
Nel 1989 si è diplomata pure al Conservatorio di Parigi, vincendo, successivamente, il Concorso di Scheveningen e il Premio “Martinu” al Concorso di Praga.
Si è quindi esibita in concerto in oltre cinquanta città d’Europa. Anne Gastinel ha avuto la possibilità di perfezionarsi con maestri quali Yo-Yo Ma, Janos Starker e Paul Tortelier.
La sua carriera l’ha portata a suonare in tutta Europa, in Giappone, Stati Uniti d’America, Asia con direttori quali Kurt Sanderling, Emmanuel Krivine, Alain Lombard, Michel Plasson, Vladimir Spivakov, Semyon Bychkov, Yehudi Menuhin.
Anne Gastinel ha realizzato numerose incisioni con opere per violoncello e pianoforte di Rachmaninov, Strauss, Kodaly, Janacek e Liszt e con concerti per violoncello e orchestra di Saint-Saëns, Lalo, Haydn con Emmanuel Krivine e l’Orchestre National di Lyon e con Yury Bashmet e i Solisti di Mosca.
Queste incisioni sono state più volte premiate. Marta Casals Istomin nel 1997 le ha affidato per un anno il violoncello Goffriller che fu usato durante tutta la sua carriera da Pablo Casals.