Le date
Giovedì 19 febbraio, ore 21
Sabato 21 febbraio, ore 17
Teatro Dal Verme — Sala Grande
Direttore:
Aldo Ceccato
Pianoforte:
Aldo Ciccolini
Orchestra:
Orchestra I Pomeriggi Musicali
Programma:
Stefano Martinotti (1965)
Artemisia e Florestano sulle quattro note del Carnaval di Schumann
(prima assoluta, commissione I Pomeriggi Musicali)
Robert Schumann (1810 —1856)
Concerto in La minore op.54 per pianoforte e orchestra
Allegro affettuoso
Intermezzo: Andantino grazioso
Allegro vivace
*****
Robert Schumann
Sinfonia n.1 in Si bemolle maggiore op.38 “Primavera” (rev. Mahler)
Andante un poco maestoso — Allegro molto vivace
Larghetto
Scherzo: Molto vivace — Trio I — Trio II
Allegro animato e grazioso
Il Concerto:
a cura di Andrea Dicht
Apre questo primo appuntamento con l’integrale delle Sinfonie di Schumann un brano di Stefano Martinotti, ispirato dal Carnaval op.9 dello stesso compositore tedesco. Il Carnaval è una raccolta di pezzi per pianoforte solo, scritta nell’inverno 1834-35, un’opera nel suo complesso definibile come “aforistica”, dagli intenti evocativi e quasi teatrali nel suo presentare una serie di personaggi scaturiti dalla fantasia di Schumann e riferibili ai suoi collaboratori ed amici ai tempi dell’attività della Neue Zeitschrift für Musik, la rivista musicale fondata e diretta dal compositore. Questi personaggi erano riuniti in una fantastica Lega di Davide (Davidsbund) e tra di essi si contavano Florestan (Schumann stesso, e nome di fantasia col quale firmò decine di articoli), il suo “doppio” e complementare Eusebius, Cilia (Clara Wieck, la futura moglie di Schumann ma all’epoca ancora solo la figlia del suo padrone di casa), Serpentin (Carl Blank), Fritz Friedrich (il pittore sordo Johann Peter Lyser) tra i molti. L’idea della Lega di Davide, ovvero di questa cerchia di intenditori lipsiensi riuniti intorno alla redazione della rivista, è da mettere in relazione al movimento giovanile coevo della “Giovane Europa”, una sorta di suo frutto culturale e politico, mossa dalla convinzione che arte e società fossero da intendersi come due facce inscindibili di una stessa medaglia, con una profonda fede nel potere educativo ed informativo della parola stampata, in grado di esprimere giudizi critici col fine ultimo di promuovere l’analisi critica ed orientare le masse. Ai nostri occhi questo intento può sembrare molto giovanilistico se non quasi puerile, ma negli anni ’30 dell’Ottocento si trattava di una forza culturale molto sentita, in particolare tra i giovani più istruiti (pochi, in effetti), ed essa va letta anche come risposta a quell’isolamento creativo dell’artista che stava inquinando ed esacerbando una temperie romantica che ancora doveva dare i suoi frutti migliori.
Al di là, però, di queste considerazioni storiche, il Carnaval di Schumann ci interessa perché imperniato su quattro note che occhieggiano nel testo e vi furono da lui comprese con l’intento di un omaggio. Esse sono La, Mi bemolle, Do, Si (secondo l’uso tedesco, A-Es-C-H), ovvero il nome della città natale di Ernestine von Fricken, allora fidanzata di Schumann e anch’ella appartenente alla Lega di David. Queste quattro note, però, con l’aggiunta di un fa (F) che indica lo stesso Florestano-Schumann-Martinotti, da semplici “sfingi” che guardano il lettore dello spartito del Carnaval diventano un accordo germinale sul quale è costruita la composizione di Martinotti. Artemisia e Florestano sono due personaggi che rappresentano le polarità entro le quali si esprime l’animo di Stefano Martinotti. Secondo le sue stesse parole: “In termini più junghiani e psicologici potrebbero semplicemente denominarsi puer aeternum e senex”, una bambina che vuole diventare grande, ambisce ad un proprio diritto alla vita, cercando di sfuggire ad un anziano Florestano che cerca di tenerla a bada, come può, tentando di esercitare il proprio dovere paterno. Il brano, della durata di circa sei minuti, rappresenta lo scontro tra queste due figure, senza infruttuosi tentativi di conciliazione tra i due personaggi, evocando così uno scontro tra generazioni ma anche tra caratteri coesistenti in ogni personalità.
Amore e confronto intellettuale sono due coordinate attraverso le quali possiamo inscrivere dialetticamente il rapporto tra Clara Wieck e Robert Schumann. Un grande sodalizio umano e artistico, dove arte e sentimento si sono intrecciati per tutto il periodo della loro convivenza, ed il Concerto per pianoforte e orchestra op.54 è di questa unione uno dei frutti migliori, di certo il più puro ed incorruttibile dal tempo. Sia il Concerto che la Sinfonia stasera in programma, vedono la loro genesi in un anno cruciale della breve parabola creativa di Robert Schumann, l’anno 1841. Studiando la sua biografia, si nota che il compositore, in particolare all’inizio della sua attività, sembra aver preso in considerazione i vari ambiti espressivi e formali singolarmente. Il 1839 lo aveva visto alle prese con la musica da camera, con un tentativo di quartetto d’archi, l’anno successivo era stato quello dedicato ai Lieder, e così via. Il 1841 fu l’anno sinfonico e, a differenza degli altri, conobbe prodotti duraturi anche se in quel periodo vennero solo concepiti o abbozzati.
Il Concerto op.54 fu uno di questi, perché in effetti in quel lasso di tempo egli ebbe modo di scrivere “soltanto” una Fantasia in la minore per pianoforte e orchestra, un brano che verrà poi rielaborato per diventare il primo movimento del Concerto in esame. Schumann, nel 1841, tentò inutilmente di far accettare agli editori un brano così nuovo e fuori dagli schemi come la Fantasia, e dopo una esecuzione a scopo di studio presso il Gewandhaus di Lipsia, egli decise di ricomporre profondamente il materiale che la costituiva, aggiungendo alla Fantasia un Finale di pari importanza, e componendo ex-novo un Intermezzo che congiungesse le due parti. Se oggi percepiamo questo concerto come tale, ciò è dovuto a questa ennesima cecità del mercato, che non avrebbe mai accettato un brano per pianoforte e orchestra in una forma diversa dal tradizionale concerto. Se però ci accostiamo ad esso analiticamente, nella partitura si scorgono molteplici tracce della sua origine. Schumann intese sin dall’inizio questa musica come qualcosa che si muovesse sul filo del rasoio, costantemente sul confine tra la musica sinfonica, quella da camera e lo stile concertante (ovvero con solista). In effetti l’interazione tra solista e orchestra è in questo concerto particolarmente accentuata e testimonia un intenzione sì concertante, ma altrettanto sinfonica sia nel gesto musicale che nei contenuti espressivi generali. Era proprio ciò che Clara cercava, un brano che mettesse in luce le proprie doti pianistiche (fu una delle prime virtuose donne del pianoforte, e suonò il Concerto di Robert per tutta l’Europa) e nel quale potesse riconoscersi anche come Musa ispiratrice, collegando così in maniera univoca il proprio nome a quello del marito. La forma del Concerto per pianoforte e orchestra aveva però già conosciuto questa metamorfosi sinfonica attraverso i Concerti di Beethoven, un progressivo collegamento delle due parti, il solista ed il coro sinfonico, ai fini di una sempre più profonda interazione nello svolgimento del materiale melodico. L’apporto di Schumann alla forma si muove invece proprio sul contenuto tematico, ed in questo senso tradisce palesemente l’idea della Fantasia: il materiale del brano, pur splendido e fresco, è ridotto a poche idee melodiche, e al di là della forma-sonata del primo movimento e della forma rondò dell’ultimo, l’intero Concerto consiste in una costante elaborazione del materiale iniziale, in particolare del primo tema, esposto dall’orchestra subito dopo la drammatica introduzione iniziale, e subito ripreso dal pianoforte. Le tecniche attraverso le quali Schumann rielabora il materiale sono le più diverse e le più complesse, e vanno dal mutamento della linea della frase, all’amplificazione degli intervalli, alla parafrasi retorica del contenuto. Lo svolgimento del Concerto è episodico pur se inscritto in una forma complessivamente tradizionale, ma di certo una situazione eccezionale quale quella di un compositore che scrive per sua moglie non poteva non celare lati nascosti e non immediatamente percepibili. E’ il caso della citazione quasi letterale di una frase musicale tratta dall’opera Fidelio di Beethoven, esattamente dalla scena di Florestano (sì, proprio lui!) all’inizio del secondo atto. L’allusione è chiara e riferita a quell’amor coniugale che costituisce l’essenza dell’opera di Beethoven, un amore tanto bramato da Schumann e nel quale entrambi i coniugi si riconoscono completamente in quegli anni. Allo stesso tempo questa frase musicale è leggibile come citazione di un Notturno per pianoforte solo che la stessa Clara aveva composto anni addietro e che Schumann aveva già parafrasato in una delle sue Novellette op.21 come Stimme aus der Ferne (Voce da lontano). In questo dialogo ideale tra Florestano e Voce da lontano (=Clara), sulle parole beethoveniane In des Lebens Frühlingstagen (Nei giorni della primavera della vita), è da leggere tutto il Concerto, un brano che nasce per essere amato anche solo per il fatto di rappresentare in maniera totale e sempre molto raffinata un’unione sentimentale e musicale che è stata centrale all’interno del Romanticismo musicale tedesco.
Le opere di Schumann che videro la loro creazione o anche solo il loro concepimento nel 1841 furono cinque: l’Ouverture, Scherzo e Finale op.52 per orchestra, la Fantasia per pianoforte e orchestra di cui abbiamo già parlato, la prima versione della Sinfonia in re minore (che verrà profondamente rielaborata e pubblicata nel 1853 come n.4), una Sinfonia in do minore rimasta allo stadio embrionale, ed infine la Sinfonia Primavera op. 38 che completa la nostra serata schumanniana.
Deve essere stato un periodo davvero febbrile per Schumann il gennaio 1841, se nel suo diario scrive: 23/1. Cominciata la Sinfonia Primavera; 24/1. Completati l’Adagio e lo Scherzo della Sinfonia; 25/1. Fuoco sinfonico — notti insonni — sull’ultimo movimento; 26/1. Urrà! Finita la Sinfonia! E’ difficile crederlo ma è proprio così, la Sinfonia fu stesa nei suoi dettagli formali e tematici in soli quattro giorni, e per il 20 febbraio di quello stesso anno la partitura orchestrale era completa. Naturalmente Schumann desiderava un’esecuzione immediata di questo suo lavoro concepito con tanta intensità e partecipazione, presentò il proprio manoscritto a Mendelssohn il 6 marzo successivo, il quale lo apprezzò integralmente ed il pezzo fu eseguito per la prima volta il 31 marzo presso il Gewandhaus, nel concerto finale della stagione tenuto da Clara e diretto dallo stesso Mendelssohn, in favore del fondo pensionistico dei musicisti del Gewandhaus. Fu un successo strepitoso che permise a Schumann di vendere senza problemi il lavoro all’editore Breitkopf & Härtel il 16 agosto 1841, e per il 10 novembre le parti orchestrali erano già disponibili in stampa. Per la partitura occorrerà attendere il gennaio 1853. La Sinfonia conobbe moltissime esecuzioni negli anni ’40 dell’’800, e la sua fama sarà eclissata solo dalle successive sinfonie dello stesso autore.
La denominazione “Primavera”, come abbiamo visto, è di mano dello stesso Schumann ed è confermata anche dalle pagine del suo diario. La dicitura Frühlingssymphonie (Sinfonia Primavera) appare anche sull’intestazione della prima pagina degli schizzi, ma sulla cartella che li contiene interamente, in un risvolto sono indicati nomi anche per i singoli movimenti. Li elenchiamo anche se Schumann, più tardi, li soppresse insieme al titolo di Primavera. Essi erano: I mov. Frühlingsbeginn (Inizio della primavera), II mov. Abend (Sera, ma nel manoscritto era un Idylle), III mov. Frohe Gespielen (Felici compagni di gioco), IV mov. Voller Frühling (Piena primavera).
La Sinfonia si apre in maniera particolare: due trombe e due corni disegnano nel silenzio ma a piena voce un motto, poi ripreso e svolto da tutta l’orchestra, che avrà una spiegazione solo durante l’esecuzione della Sinfonia. Non è un motto fine a se stesso, ma si tratta di un’idea tematica che contiene germinalmente molti degli spunti melodici successivi, in maniera appunto condensata ma ugualmente percepibile (anche se spesso con processi subliminali). Questo permise a Schumann di perseguire in questo suo primo lavoro sinfonico un’unità complessiva basata non sulla ripresa di temi nei vari movimenti, un procedimento che non amava affatto, ma sul fatto che essi nascono e si basano a partire da un materiale che li precede e che l’ascoltatore assorbe con l’attenzione che si presta ad un gesto forte come quello iniziale.
Se l’impianto generale della Sinfonia è piuttosto tradizionale, in essa si annidano comunque segni che tradiscono l’intenzione del compositore di valicare i suoi confini nella direzione che Beethoven e Schubert (allora ancora poco noto) avevano indicato. Ad esempio, l’introduzione di un nuovo tema nello sviluppo, la sezione centrale del primo movimento, è un procedimento per la prima volta percorso da Beethoven nell’Eroica. Una nuova importanza viene affidata alla Coda dell’Allegro, non più solo un episodio con funzione di commiato bensì un momento di ricapitolazione delle idee che fornisce addirittura la possibilità per l’enunciazione di qualche nuova idea (sempre, beninteso, in relazione col materiale comune). Il Larghetto, a sua volta, è informato da un tema di 23 misure ricavato fondamentalmente dalle sue prime due misure, un tema che si trova così conferito di una propulsione che ne confonde la simmetria, grazie anche ad un accompagnamento che evita accuratamente qualsiasi legame col tempo ternario nel quale è redatto. Il tema principale torna tre volte ma sempre inframmezzato da episodi contrastanti che ne determinano un nuovo interesse ad ogni ricomparsa, donando così all’intero movimento un fluire costante ma mai prevedibile.
Sul concludersi del Larghetto, un intervento dei tromboni disegna un breve tratto melodico che costituirà il germe del tema del successivo Scherzo, legato al movimento precedente senza pause. E’ uno Scherzo complesso, che comprende due Trii anziché uno solo e dona così a questo brano, in genere il momento meno impegnativo della forma sinfonica, un peso ben maggiore che negli esempi del passato. Come negli altri tempi di questo lavoro, anche i temi dello Scherzo sono in qualche modo riferibili al materiale enunciato in precedenza, ed una Coda tutta giocata su mezze voci e pause che ne spengono ogni vitalità ritmica conclude un movimento forse tra i meglio riusciti di Schumann e che lo apparenta molto da vicino alla forma che aveva dato ad alcune sue Novellette per pianoforte degli anni precedenti.
Il Finale è un movimento molto esteso che prende vita da sia da suoni del motto iniziale della Sinfonia che da un movimento accordale ascendente dell’intera orchestra presenta proprio in apertura del brano. E’ un materiale anche questo che acquista forma e enunciazione completa solo durante lo svolgimento del Finale, e non nei luoghi classici deputati della forma-sonata. La forma diventa un contenitore da riempire, una struttura in grado di accogliere mille difformità ed allo stesso tempo un linguaggio utile solo a rendere intelligibile un contenuto che le è fondamentalmente estraneo. Sarà facile per l’ascoltatore percepire come l’architettura complessiva di questo Finale come dell’intera Sinfonia sia episodica, costituita cioè da aree di carattere contrastante, la cui dinamica complessiva diventa la forza stessa della sintassi di Schumann. Diventa difficile a questo punto, e forse anche fuori luogo, analizzare la forma dei suoi lavori quando l’intento conclamato dell’autore è quello di servirsi del consueto per esprimere il desueto, una caratteristica comune a molti compositori romantici ma in Schumann particolarmente sentita.
Aldo Ciccolini
Nato a Napoli, studia nella sua città e inizia una carriera come enfant prodige che lo porta a Parigi dove, nel 1949, vince il Concorso Long-Thibaud. In quel Paese nasce la sua passione per il repertorio francese, di cui diventa un importante esponente. Per primo esegue l’integrale di Satie, di Ravel e poi di Debussy. Ha lavorato con numerosi celebri direttori, fra i quali ricordiamo Furtwängler, Ansermet, Cluytens, Mitropoulos, Maazel, Kleiber, Prêtre, Ceccato, Gavazzeni, Màrlinon, Monteux, Plasson . In particolare ricordiamo la sua collaborazione col soprano Elisabeth Schwarzkopf. Al suo attivo ha quasi cento incisioni discografiche, molte delle quali dedicate a composizioni meno conosciute. Ricordiamo l’integrale dei Concerti per pianoforte e orchestra di Beethoven incisi dal vivo con Aldo Ceccato e l’Orchestra I Pomeriggi Musicali. Nel 1971 diviene cittadino francese e dal ’72 insegna al Conservatorio Nazionale Superiore di Parigi. Nel 1996 riceve la Medaglia d’Oro dal Presidente della Repubblica Italiana.