Autori vari - I Pomeriggi Musicali - Teatro Dal Verme

Le date

Sala Grande
giovedì 27 novembre 2003
Ore: 21:00
sabato 29 novembre 2003
Ore: 17:00

Sala Grande del Teatro Dal Verme
Giovedì 27 novembre, ore 21
Sabato 29 novembre, ore 17

Direttore:
Ralf Weikert
Pianoforte:
Laura de Fusco
Orchestra:
Orchestra I Pomeriggi Musicali

Programma:
Wolfgang Amadeus Mozart [Salisburgo, 1756 – Vienna, 1791]
“Der Schauspieldirektor” (L’impresario teatrale), commedia con musica in un atto, K. 486 : Ouverture

Felix Mendelssohn-Bartholdy [Amburgo, 1809 – Lipsia, 1847]
Concerto in Re minore per pianoforte e orchestra op.40
Allegro appassionato
Adagio molto sostenuto
Presto scherzando

Wolfgang Amadeus Mozart [Salisburgo, 1756 – Vienna, 1791]
Sinfonia in Sol minore K. 550
Molto allegro
Andante
Menuetto – Trio – Menuetto
Allegro assai

Il Concerto
a cura di Paolo Castagnone
” Si ha l’impressione che si cerchi di distruggere l’opera tedesca. Ci fosse un solo patriota dotato della necessaria autorità, tutto prenderebbe un altro andamento ! ” [da una lettera di Mozart]
Il 14 dicembre 1784 fu un giorno importante per il ventiseienne Amadeus. Dopo una lunga e intima riflessione egli decise infatti di diventare membro della loggia massonica viennese Zur Wohltätigkeit [Alla beneficenza], che prometteva di riflettere su quelle complesse domande etiche e spirituali dell’animo mozartiano, alle quali la Chiesa – troppo impegnata a difendere il proprio ruolo politico e sociale – non riusciva a rispondere. La massoneria, ispirandosi a una tradizione derivante dalle corporazioni medievali e dai riti iniziatici dell’antico Egitto, propugnò infatti quegli ideali illuministici della tolleranza e della fratellanza universale, tanto cari al compositore fin dalla sua giovinezza.

Una delle conseguenze più evidenti dell’affiliazione all’Ordine fu il tentativo sempre più consapevole da parte del musicista salisburghese di far nascere un teatro musicale tedesco, in virtù di un filantropismo tipicamente massonico nei riguardi dei ceti popolari. Tuttavia i momenti non erano ancora propizi e, a parte il mozartiano Ratto dal serraglio, non esistevano altre premesse artistiche importanti per lo sviluppo della commedia popolare con musica, il cosiddetto Singspiel, cosicché lo stesso imperatore – dopo un’iniziale entusiasmo – accantonò l’idea e dispose la riorganizzazione del teatro musicale italiano. Perciò quando inaspettatamente, nei primi mesi del 1786, Mozart ricevette la commissione per una breve Komödie mit Musik, interruppe volentieri la composizione delle Nozze di Figaro e si affrettò ad approntare – spinto anche da impellenti necessità economiche – la nuova partitura. Der Schauspieldirektor (L’impresario teatrale) K. 486 è un piccolo lavoro formato unicamente da un’Ouverture, due arie, un terzetto e un finale, inframmezzati da parti recitate. Il soggetto, tipico del teatro settecentesco, si sofferma sulle disavventure in cui incappa un impresario quando decide di scritturare due nuovi cantanti.

La prima esecuzione del Singspiel mozartiano ebbe luogo il 7 febbraio 1786 insieme con un’operina di Salieri, Prima la musica poi le parole, nel teatrino della residenza imperiale di Schönbrunn, in occasione della visita del principe Albert di Sassonia-Tescheen, governatore dei Paesi Bassi austriaci nonché cognato dell’imperatore. Il pubblico – probabilmente distratto dall’evento mondano – non decretò un particolare successo. Da allora questo piccolo lavoro teatrale è tornato assai raramente sulle scene, mentre la sua brillante Ouverture ha sempre ottenuto in sede concertistica una buona accoglienza : è una pagina breve, ma singolarmente raffinata e brillante, di sapiente elaborazione orchestrale e magistrale scrittura.

“Questo benessere, questa pace, questa grazia spirituale ovunque…” [Robert Schumann in un articolo su Mendelssohn]

Dotato di un talento precocissimo – senz’altro paragonabile a quello di Mozart – il piccolo Felix visse in un ambiente che favorì la propria formazione culturale. I Mendelssohn erano infatti una delle famiglie più facoltose di Berlino e i suoi studi musicali furono accuratissimi : per la composizione il padre lo affidò alle attente cure di Carl Zelter, mentre per il pianoforte venne seguito dapprima dalla madre – che era un’ottima pianista – e in seguito da Ignaz Moscheles, tra i più colti e raffinati virtuosi del momento. Pertanto è assai significativo che egli orientasse ben presto le sue energie creative proprio sullo strumento “materno”.

La produzione pianistica di Mendelssohn presenta infatti delle caratteristiche assolutamente originali. A tale riguardo occorre ricordare che all’inizio del XIX secolo esistevano due scuole di pensiero : l’una – rappresentata da un allievo di Mozart, Johann Hummel – ricercava la chiarezza della tessitura, la fluidità tecnica e lo sviluppo della cosiddetta “cantabilità”. L’altra – cui appartenne sicuramente Beethoven – si concentrava sulla pienezza di una sonorità quasi orchestrale. Felix fu un pianista abilissimo ma, con una scelta totalmente consapevole, rinunciò fin dal principio alle seduzioni del virtuosismo. Si orientò quindi verso una scrittura che è sostanzialmente legata alle esperienze mozartiane, elegante e sensibile, priva di veemenza o eccessivi passaggi di bravura. La sua tecnica strumentale è di una purezza quasi aristocratica : ardito ed efficace nei brani a solo, non rinuncia alle proprie caratteristiche aristocratiche tanto nella musica d’insieme quanto nei due Concerti, entrambi ispirati al Konzertstück in Fa minore di Carl Maria von Weber, la cui raffinatissima e brillante elaborazione pianistica si pose a modello del primo stile romantico.

Dal punto di vista formale il Concerto in re minore op.40 è piuttosto indipendente dalla tradizione, a cominciare dall’esposizione affidata subito al solista, anziché all’orchestra. Tutto l’Allegro appassionato iniziale si basa su due elementi generatori – uno di tipo ritmico, l’altro di tipo melodico – che costituiscono in gran parte i temi principali. La parte centrale non presenta certamente la complessità degli sviluppi beethoveniani : si svolge, invece, semplice e piana. Del resto per Mendelssohn i concerti pianistici del genio di Bonn costituirono un confine invalicabile, che lo costrinse a tracciare altre rotte in cerca di nuove terre. E’ tuttavia notevole la fusione delle due idee motiviche in un episodio a canone che prepara la ripresa, caratterizzata da un bellissimo cambio di luminosità, creato dal passaggio del secondo tema dalla tonalità minore a quella maggiore.

Dalle atmosfere del primo movimento riemerge la voce del pianoforte, cui è affidato un “recitativo cantabile” che introduce un Adagio molto sostenuto in cui eleganti e dolcissimi disegni melodici arabescano il tema. Il Presto conclusivo, brillantissimo come tutti i finali di Mendelssohn, si compone di due idee principali, che si alternano nel vivacissimo dialogo tra solista e orchestra. Qui emerge la maestria strumentale del musicista amburghese, che tratta l’orchestra con molta sobrietà, affinché il timbro cristallino del pianoforte non si perda fra i giochi scintillanti degli strumentini e la calda passionalità degli archi.

” Che sentimento meraviglioso è il raggiungere alfine il proprio scopo ” [da una lettera di Mozart a Puchberg]

Le ultime tre sinfonie di Mozart – terminate a poche settimane di distanza l’una dall’altra nell’estate del 1788 – sono a tutti gli effetti opere complementari. La serenità della Sinfonia n.39, la drammaticità Sturm und Drang della n. 40 e il divino equilibrio della Jupiter, sembrano voler esprimere tutte insieme la poliedricità della sua arte. Questa rinnovata chiarezza di scrittura coincide paradossalmente con un periodo di malattia, miseria e lutto (il 29 giugno di quell’anno morì sua figlia). Per far fronte ai debiti sempre più gravi Mozart si rivolge ripetutamente al caro amico Puchberg. I toni delle lettere sono drammatici : “La mia condizione è tale da costringermi assolutamente a chiedere denaro in prestito. Ma Dio mio, a chi mi potrei rivolgere ? In chi posso sperare ? Se non mi aiuterete in questa situazione, perderò il credito e l’onore”.

La Sinfonia n. 40 in Sol minore, non a caso conosciuta come la Terrificante, appare animata da una meditazione profonda sul dolore : un dolore profondo e solo apparentemente senza speranza. Infatti Mozart non si rassegnò mai al proprio destino e si batté fino all’ultimo per far trionfare ciò che gli stava più a cuore, la musica. Quanto all’immagine stereotipata del genio dalla divina scorrevolezza compositiva, è importante sapere che anche la K.550 – come la maggior parte dei suoi capolavori – ha registrato importanti ripensamenti, testimoniati da vari abbozzi poi abbandonati.

Il primo movimento, Molto allegro, attacca subito con un’idea che potrebbe benissimo far parte di un’opera buffa, tanta è la sua grazia leggera e danzante. Ma la tonalità minore e il fremente accompagnamento della viole introducono una presenza triste e inquietante nel vortice sonoro, rivelando il lato oscuro e pessimistico del suo animo. E’ questa una delle caratteristiche più tipiche dell’arte mozartiana : trasformare d’improvviso, come per magia, il comico in tragico. Anche il secondo tema subisce lo stesso destino : inizialmente gentile e grazioso, si incupisce con una frase cromatica discendente dal forte spessore simbolico. Tale formula, infatti, ricorre in tutta la musica settecentesca per rappresentare situazioni di dolore o morte ed ha qui un’importanza strutturale, poiché la sua presenza sinistra aleggia in tutti i movimenti della Sinfonia.

L’Andante è interamente dominato da una figurazione ritmica di chiara reminiscenza barocca. E’ un recupero consapevole di antichi stilemi che ci trasportano in un profondo clima di mestizia : basti citare il singhiozzare sommesso di una melodia che trasfigura in uno stile inconfondibilmente mozartiano l’antica retorica della melancholia.

Il Menuetto è ben lontano, per il suo rude e severo contrappunto, dalla grazia gioiosa dell’omonima danza settecentesca e incornicia un Trio il cui carattere popolareggiante e sereno, sottolineato dagli interventi soavi dei legni, crea piuttosto un’impressione di straniamento che di contrasto. Tuttavia, il culmine drammatico della sinfonia più controversa e profetica del Settecento è l’Allegro assai conclusivo. Al primo tema – la cui aggressività verrà ricordata da Beethoven nello Scherzo della Quinta – se ne contrappone un secondo che, con le sue acciaccature beffarde e l’onnipresente cromatismo discendente, introduce una nota di amara ironia. Lo Sviluppo inizia con un demoniaco unisono di tutta l’orchestra e si rivela subito estremamente complesso, caratterizzato da modulazioni improvvise e lancinanti dissonanze. La tensione non ha la possibilità di allentarsi e il discorso musicale rimane soggiogato dalla cupa tragicità della tonalità minore fino all’ultimo respiro.

Ralf Weikert
Nato a St. Florian (Austria), inizia a studiare musica presso il Bruckner-Konservatorium di Linz. Completa i suoi studi all’Università di Musica a Vienna con il famoso Prof. Hans Swarowsky. Nel 1965 vince il Primo Premio al Nicolai-Malko-Competition di Copenaghen. L’anno successivo viene insignito con il “Mozart Interpretation Prize” dal Ministero della Cultura Austriaco. Nel 1975 gli viene consegnato il “Dr. Karl Böhm Award” dallo stesso direttore. Dal 1977 Direttore Musicale del Teatro dell’Opera di Bonn, nel 1981 diventa Direttore Principale della Mozarteum Orchestra di Salzburg. Debutta alla Staatsoper di Vienna nel 1974, nel 1975 all’Opera di Stato di Amburgo e due anni dopo con i Berliner Philharmoniker. Sempre nel 1979 debutta alla Staatsoper di Monaco di Baviera seguito dal debutto al Metropolitan Opera di New York e, in pochi anni, al San Francisco Opera. Dal 1971 è regolarmente ospite al Festival di Salisburgo, al Festival di Aix-en-Provence, al Festival di Bregenz e, dal 1987, all’Arena di Verona. E’ inoltre stato direttore ospite in molte importante orhcetre fra le quali la Vienna Philharmonic, la Berlin Philharmonic, la Vienna Symphony, la Vienna Radio Symphony Orchestra, l’Orchestre Philharmonique de Radio France, la English Chamber Orchestra, la Academy of St. Martin’s in the Fields, la NHK Orchestra Tokyo, l’Oslo Philharmonic, la Berliner Symphoniker, l’Orchestra Sinfonica della Radio di Berlino, la Staatskapelle, la NDR Symphony Orchestra Hamburg. Ha diretto opere e concerti nelle più importanti sedi in Austria, Germania , Italia, Francia, Spagna, Portogallo, Olanda, Svizzera, Grecia, Scandinavia, USA, America Latina e Giappone. Dal 1983 al 1992 è Direttore Musicale dell’Opera di Zurigo.

Laura De Fusco
Nata a Castellammare di Stabia, inizia giovanissima lo studio del pianoforte con Vincenzo Vitale. A quattordici anni vince la Rassegna Nazionale Giovani Pianisti indetta dall’Unione Musicale di Torino e a diciannove anni il Primo Premio Assoluto al Concorso Internazionale Pozzoli di Seregno. Inizia così una carriera che in brevissimo tempo la porta sui palcoscenici delle maggiori istituzioni italiane, dall’Accademia di Santa Cecilia alla Scala di Milano. Come solista vanta collaborazioni con direttori quali Zubin Meta, Riccardo Muti, Riccardo Chailly, Eliahu Inbal, Rudolf Baumgartner, Peter Maag, Aldo Ceccato e con orchestre quali Detroit Symphony, Orchestra Sinfonica di Mosca, Orchestra del Teatro Colon di Buenos Aires, Orchestra Nacional d’Espana, NDR Rundfunk di Hannover, Filarmonica della Radio Olandese di Amsterdam. Tra i festival ricordiamo tra i più recenti, la partecipazioni al Tivoli Festival di Copenaghen, al Carinthischer Sommer Festival di Villach (Austria) e al Chamber Music Festival di Marlboro (Stati Uniti). Suona in duo con il violoncellista Franco Rossi e con il violinista Gabriele Pieranunzi. E’ docente di Pianoforte al Conservatorio San Pietro a Majella di Napoli