Autori vari - I Pomeriggi Musicali - Teatro Dal Verme

Le date

Sala Grande
giovedì 13 novembre 2003
Ore: 21:00
sabato 15 novembre 2003
Ore: 17:00

Sala Grande del Teatro Dal Verme
Giovedì 13 novembre, ore 21
Sabato 15 novembre, ore 17

Direttore:
Matthias Bamert
Violino:
Benjamin Schmidt
Viola:
Daniel Raiskin
Orchestra:
Orchestra I Pomeriggi Musicali

Wolfgang Amadeus Mozart
[Salisburgo, 1756 – Vienna, 1791]
Divertimento in re maggiore K. 136 per orchestra d’archi
Allegro
Andante
Presto

Benjamin Edward Britten
[Lowestoft, 1913 – Aldeburgh, 1976]
Sinfonia concertante per violino e viola
Allegro ma non troppo
Rhapsody. Poco Lento
All’istesso tempo

Roberta Vacca
[L’Aquila, 1967]
Le stanze della Luna, racconto per orchestra in sei frammenti (prima esecuzione assoluta)

Franz Joseph Haydn
[Rohrau, 1732 – Vienna, 1809]
Sinfonia n. 82 in do maggiore Hob. I :82 “L’orso”
Vivace assai
Allegretto
Menuet – Trio – Menuet
Finale. Vivace

Il Concerto
a cura di Paolo Castagnone
” In nessun Paese sono stato tanto apprezzato come in Italia ” [da una lettera di Wolfgang al padre]
La formazione di Mozart è indissolubilmente legata ai suoi tre viaggi nella Penisola, durante i quali rappresentò tre opere, tenne concerti, ascoltò e compose molta musica, attingendo proficuamente alla tradizione e allo stile italiano. Non deve quindi meravigliare che il Divertimento in re maggiore K.136 per orchestra d’archi – composto a Salisburgo nei primi mesi del 1772, nel periodo che intercorre tra il secondo e il terzo viaggio in Italia – risenta di tutte le esperienze di quegli anni.

Significativamente la classificazione di questo lavoro non appare molto semplice, poiché fonde sapientemente lo spirito complessivo del Divertimento – del resto tale è la denominazione nel manoscritto autografo sebbene non sia nei canonici cinque movimenti – con la scrittura a quattro parti del quartetto e la forma tripartita della sinfonia d’opera italiana per soli archi. Il giovane Amadeus, appena sedicenne, riuscì così a esprimere tutta la propria dirompente originalità, assorbendo in uno stile personale diverse componenti del linguaggio strumentale del secondo ‘700. In tale quadro, sebbene la partitura del K. 136 manifesti ancora il tipico fraseggiare dello stile galante e faccia riferimento a tutti quegli autori italiani che Wolfgang aveva studiato e amato, totalmente mozartiane sono le nuove e individuali concezioni musicali. Così nell’iniziale Allegro incontriamo quel suo tipico impulso ritmico, che vive in perfetta simbiosi col dinamismo dei dialoghi strumentali e la grazia delle fioriture melodiche. La suadente cantabilità del successivo Andante ben esemplifica invece quel sottile gioco di variazioni sviluppate con mano d’artista, che nei movimenti lenti tocca vertici di commozione con i mezzi più semplici. Nel Presto conclusivo la maturità del compositore si manifesta nell’incisività degli interventi contrappuntistici, nella magistrale spontaneità con cui la materia musicale si dispone e nel senso immediato e sicuro della struttura, quasi fosse direttamente attinta da un regno di forme pure e perfette.

” Tutto è il risultato di un duro lavoro ” [Benjamin Britten]
La Sinfonia concertante per violino e viola, meglio conosciuta come Doppio concerto, è la più recente acquisizione in un corpus di opere giovanili che sono state riscoperte molti anni dopo la morte di Britten. L’autore stesso ritornò spesso su alcune di queste composizioni, revisionando il Quartetto per archi in Re e l’opera Paul Bunyan. Ciò non sorprende, poiché egli fu così incredibilmente prolifico fin da bambino – iniziò a comporre a soli cinque anni – che molti dei suoi lavori venivano accantonati in attesa di essere completati o rivisti.

Questo è in particolare il caso del suo secondo anno da studente presso il Royal College, nel 1932. In quel periodo iniziò a comporre il primo lavoro importante, la Sinfonietta op. 1, ma – a metà del lavoro – si arrestò improvvisamente per comporre il Doppio concerto per violino e viola. Sebbene la partitura segua lo stesso schema in tre movimenti della Sinfonietta, è certamente più ambiziosa nelle dimensioni. Ciò che non appare chiaro è cosa lo portò ad abbandonare anche questa composizione, ormai così definita in ogni dettaglio da permettere a Colin Matthews di curare l’attuale edizione senza tradire minimamente lo spirito del manoscritto autografo. L’ipotesi più probabile è che l’impressione negativa che esercitò su di lui l’esecuzione della propria Sinfonietta nell’autunno di quell’anno – “non ho mai sentito nulla di così terribilmente sconclusionato” fu il suo eccessivamente severo commento – dissuase il diciannovenne compositore dal completare il Concerto.

Il linguaggio della Sinfonia concertante è tipico della prima maturità di Britten, sebbene le scelte compositive non mostrino la stessa originalità della Sinfonietta, forse in conseguenza dei contrasti fra il suo insegnante di composizione al College, John Ireland, e il suo mentore Frank Bridge. Il primo movimento, dominato dal suggestivo richiamo del corno che apre la partitura, è brillante e virtuosistico. La sezione successiva inizia senza soluzione di continuità ed è caratterizzata da una scrittura rapsodica, con lunghi interventi solistici dei due protagonisti. Il Finale mette in luce un’inaudita originalità formale con una accattivante tarantella che viene inaspettatamente interrotta dal ritorno di elementi del tempo iniziale.

In un lavoro giovanile come questo emergono sempre dei modelli che, per ammissione dell’artista, sono diversi e privi di collegamenti : in primo luogo l’amato Purcell, quindi Bach, Mozart, Schubert, Verdi, Ciajkovskij, Mahler e Berg. Tuttavia, l’uso ricorrente di schemi ed elementi della tradizione non si esauriscono in una poetica di repêchages, ma sono subordinati a contenuti sociali e morali molto cari a un compositore che amava definirsi “artigiano della musica”. Punto fermo in Britten è la riaffermazione della tonalità affidata alla nitidezza delle linee e alla purezza delle forme, sebbene talvolta siano presenti armonie molto complesse, soprattutto là dove esse debbano svolgere una specifica funzione espressiva. Pertanto il suo geniale eclettismo non andò mai a discapito di quella chiarezza e solidità compositive che si possono cogliere senza difficoltà in tutti i suoi lavori.

“Io desidero e bramo ” [Saffo]
Le stanze della Luna sono – nelle parole dell’autrice stessa – un racconto per orchestra. Sebbene dietro la composizione del brano ci siano le suggestioni scaturite dalla lettura di alcuni frammenti di Saffo, la musica non corrisponde mai ad una descrizione letterale del testo, ma ne rappresenta la dimensione puramente onirica. La partitura è caratterizzata da diversi e repentini cambi di scena : come nel sogno le immagini si accavallano e si fondono così i timbri e gli impasti strumentali, con giustapposizioni, dissolvenze incrociate o brusche fratture.

“Le sei “stanze” – prosegue la musicista abruzzese – sono costruite su alcuni frammenti di Saffo da me liberamente “ri-composti” e costruiscono un percorso in cui la Luna è la regista dei pensieri notturni di chi si abbandona al fluttuare dei suoi repentini cambi di luce e vuole farsi guidare in un percorso di riflessi senza fissa dimora”.

Il riferimento all’elemento poetico non deve sorprendere in un’autrice che in questi anni ha spesso dialogato con la letteratura e che ha modo di affermare: “Dietro (o dentro) ogni mio brano c’è una “suggestione” d’altro genere. Ciò non è da intendere, alla maniera romantica, quale movente ispiratore, bensì come elemento portante – strutturale, ritmico o anche timbrico – che plasma la forma. Nella scrittura musicale mi sono spesso fatta guidare dalle mie letture, pertanto nelle mie composizioni utilizzo materiali musicali che fanno parte del mio “paesaggio sonoro” e che per me hanno un significato particolare. Segnatamente, ne Le stanze della Luna, il “riferimento” è di tipo letterario, è una “composizione” poetica ma non solo, è di “parole che rimandano ai suoni””

” Mi alzo di buon’ora, m’inginocchio e prego Dio che anche per oggi mi venga l’ispirazione ” [Franz Joseph Haydn]
Haydn riuscì ad affermare la propria fama in tutta Europa, pur non uscendo mai dall’Austria fino all’età di quasi sessant’anni. Da questo successo trasse però ben pochi vantaggi economici, perciò fu ben felice di ricevere una commissione dai musicofili della Loge Olympique di Parigi, che gli offrirono ben venticinque luigi d’oro per ogni sinfonia. L’artista, del resto, ripagò largamente i committenti, mettendosi al lavoro con l’entusiasmo di chi può comporre per una grande orchestra e concedersi il lusso di scrivere in modo tanto più virtuosistico e brillante, utilizzando una vasta gamma timbrica e affidando ai fiati un ruolo di primo piano. L’esito fu dei più felici : quando le sei Sinfonie parigine furono eseguite durante la stagione concertistica del 1787 il successo fu davvero enorme.

In particolare, la Sinfonia n. 82 in do maggiore è caratterizzata da quei gesti ampi e dimostrativi – basti citare l’arpeggio in fortissimo che apre il primo tema – che Haydn ritenne appropriati al pubblico francese. Il primo movimento, Vivace assai, ha un’esposizione piena di energia, di contrasti e d’inventiva : particolarmente sorprendente è l’impiego di una serie di accordi dissonanti che caratterizzano anche l’elaborato e dinamico sviluppo. Segue un Allegretto in luogo del normale tempo lento : è una serie di quelle doppie variazioni tipicamente haydniane, alternativamente su un tema in fa maggiore e uno in fa minore che parafrasa il primo, con un procedimento che sarà molto caro a Beethoven. Il terzo movimento, Menuet – Haydn adottò questo lemma in quasi tutte le Sinfonie parigine – è raffinato e brillante allo stesso tempo, ma è soprattutto il Trio a manifestare il suo tipico umorismo. Dopo una sezione in do maggiore caratterizzata da una scrittura raffinatissima con l’indicazione piano, una pausa carica di tensione sembra preparare la ripresa del tema principale. Inaspettatamente segue un episodio del tutto nuovo che spiazza le aspettative dell’ascoltatore.

La Sinfonia n. 82 deve il suo tradizionale soprannome, L’Ours, al tema principale del Finale, il cui basso – col suo ronzio a mo’ di cornamusa – pare che ricordasse ai parigini un orso danzante. In effetti l’originalissimo e divertente effetto sonoro ottenuto dall’unisono di violoncelli e contrabbassi con appoggiatura del si ripetuta ad ogni battuta, può far pensare a un grugnito, che con grande ironia insegue tutti gli altri temi nel corso del gioco compositivo. In realtà, quel che appare come una semplice trovata di gusto popolareggiante, svolge invece un’insostituibile funzione stabilizzatrice all’interno di un Finale che si avventura, nella sezione centrale, in notevoli elaborazioni tematiche.

Benjamin Schmid
Vincitore di numerosi concorsi internazionali tra cui il Carl Flasch International di Londra, debutta con Yehudi Menuin nel Doppio Concerto di Bach. Da allora si è esibito con la Chamber Orchestra of Europe, Orchestre de Paris, Orchestra Nazionale di Francia, Baltimore Symphony Orchestra, Symphony Orchestra Moscow e molte altre. Ha suonato al Salzburg Festival, al Konzerthaus e al Musikverein di Vienna, allo Schauspielhaus di Berlino e alla Salle Pleyel di Parigi. Dal 1996 al 1999 ha insegnato presso il Mozarteum di Salisburgo. Molto apprezzata è anche la sua intensa attività jazzistica. Numerose le incisioni per la Capriccio EMI, MDG. Suona uno Stradivari del 1707, messogli a disposizione dalla Banca Nazionale Austriaca.

Daniel Raiskin
Nasce a San Pietroburgo e a sei anni inizia lo studio del violino. Completa i suoi studi al Scuola di Musica Mussorgsky e al Conservatorio di Stato nelle classi di viola dei maestri Meerovich e Balabin. Si perfeziona a Friburgo (Germania) con Kim Kashkashian di cui diventa assistente. Il suo interesse per il repertorio violistico meno frequentato e, in particolare, per quello contemporaneo, lo porta a presentare in prima nazionale Moumed by the wind di Kancheli in Polonia, Estonia, Irlanda e Olanda e Rhapsody-Concerto di Martinu in Finlandia. Ha inciso in prima assoluta il Concerto per viola di Leo Smit con la Netherlands Chamber Orchestra diretta da Philippe Entremont. Si è esibito al Concertgebouw di Amsterdam, al Musikverein di Vienna, con la Berlin Philharmonie, e al Mozarteum di Salisburgo. Ha tenuto concerti con i Wiener Symphoniker, la St. Petersburg Philharmonic Orchestra, i Berlin Symphony Orchestra, la Netherlands Chamber Orchestra, la London Chamber Orchestra, la Israel Sinfonietta e la Geneva Chamber Orchestra. Nel 1995 è stato in tournée con il Mozarteum di Salisburgo. In duo con il violinista Benjamin Schmid ha eseguito il Doppio concerto per violino e viola e orchestra di Britten in Germania, Svizzera, Olanda, Finlandia, Austria e Portogallo

Matthias Bamert
Nato in Svizzera, è stato Direttore Musicale dell’Orchestra della Radio Svizzera a Basel dal’77 al ‘83, e a poi vissuto a Londra fino al 1987.
E’ Direttore Principale della West Australian Symphony Orchestra e Direttore Ospite Associato della Royal Philharmonic.

E’ stato Direttore Ospite principale della Scottish National Orchestra nonché Direttore del Lasgow Contemporary Music Festival Musica Nova dal ‘85 al ‘90, Direttore del Festival di Lucerna dal ‘92 al ’98.

E’ stato Direttore del Basel Musikmonat Festival of Contemporary Music nel 2001 dove ha anche collaborato alla costruzione della Contemporary Concert Hall.

Direttore Musicale dei London Mozart Players per sette anni, lavora regolarmente con la Philharmonia, la London Philharmonic, la Royal Philharmonic, la BBC Symphony Orchestra, la BBC Philharmonic, la City of Birmingham Symphony Orchestra e con la London Proms. Ogni anno si reca in tournée in Nord America (Los Angeles Philharmonic, Pittsburgh, Cleveland, Houston, Montreal). E’ inoltre ospirte regolare in Giappone (NHK Symphony in Tokyo), Australia (Sydney, Melbourne, Perth), Nuova Zelanda e Hong Kong. Fra le tante orchestre che ha diretto, ricordiamo: Orchestre de Paris, Salzburg Mozarteum Orchestra, Berlin Symphony, Leipzig Radio, Helsinki Philharmonic, St. Petersburg Philharmonic, Madrid RTVE, Barcellona Opera.

Nella sua carriera ha registrao più di 50 dischi.