Le date
Giovedì 12 maggio, ore 21 Milano, Teatro Dal Verme
Venerdì 13 maggio, ore 21 Cardano al Campo, Chiesa di San Pietro
Sabato, 14 maggio, ore 17 Milano, Teatro Dal Verme
Direttore:
Paolo Arrivabeni
Soprano:
Sara Allegretta
Orchestra I Pomeriggi Musicali
Programma:
Richard Wagner (1813 – 1883)
Idillio di Sigfrido
Wesendonk Lieder
Der Engel
Stehe Still
Im Treibhaus
Schmerzen
Träume
Franz Schubert (1797 – 1828)
Sinfonia in Re maggiore n. 3 D 200
Adagio maestoso. Allegro con brio
Allegretto
Menuetto: Vivace-Trio
Presto vivace
Il concerto:
a cura di Alice Bertolini
Cherchez la femme. Due figure femminili si celano dietro le partiture dell‘Idillio di Sigfrido e dei Wesendonk Lieder. Come è noto, Richard Wagner ha scatenato un acceso dibattito culturale di portata europea a cavallo tra Otto e Novecento, sia per i suoi drammi musicali, che oggi non esiteremmo a definire kolossal, sia per la sterminata produzione di saggi e dichiarazioni di poetica.
La facciata del mito, al centro di un vero e proprio “caso Wagner”, si staglia all’orizzonte con la grandiosità della tetralogia dei Nibelunghi, i provocatori scritti sulla “musica dell’avvenire”, la costruzione di un tempio dell’arte quale il teatro di Bayreuth. Questi due lavori cameristici, invece, svelano il versante in ombra, quello privato, legato alle relazioni sentimentali, perfino alla vita domestica del compositore.
Un Wagner en pantoufles è l’autore dell’Idillio di Sigfrido: una “Sinfonia” in omaggio a Cosima, sposata pochi mesi prima, nel 1870, e al loro primo figlio ancora neonato, Sigfrido. La prima esecuzione è un regalo di Natale per la moglie, con Richard che dirige la piccola orchestra sulle scale della villa di Tribschen, in Svizzera, e il giovane Nietzsche nel pubblico insieme a pochi amici intimi. La partitura non avrebbe nemmeno dovuto varcare il cancello di casa, ma Wagner fu praticamente costretto a pubblicarla qualche anno più tardi per far fronte a un debito.
La destinazione originaria del pezzo spiega la scelta decisamente atipica dell’organico, un gruppo da camera di appena tredici strumenti: flauto, oboe, due clarinetti, fagotto, due corni, tromba e archi. Ma la tecnica compositiva è quella wagneriana per eccellenza, basata sullo uso dei Leitmotive. Ben caratterizzati da precisi timbri e intervalli, i “motivi conduttori” evocano personaggi, situazioni, sentimenti: un formidabile espediente espressivo su cui si regge l’ambiziosa impalcatura dell’Anello del Nibelungo. Nella dimensione raccolta e rarefatta dell’Idillio l’importanza del Leitmotiv non è meno strategica. Il piccolo ensemble è chiamato a mettere in scena un dramma, la cui trama è composta di melodie, ritmi e accordi. Al centro della scena c’è Sigfrido, protagonista dell’omonimo dramma musicale, scritto qualche anno prima, che corrisponde alla seconda giornata della Tetralogia: dopo L’Oro del Reno (la vigilia) e La Valchiria, e prima del conclusivo Crepuscolo degli dei. In questa Sinfonia Sigfrido torna a essere l’eroe puro, abbandonato dalla madre Siglinde nella grotta del nano Mime: non è ancora alla ricerca dell’anello magico che porterà alla caduta degli dei e non ha ancora conosciuto l’amore fatale per la valchiria Brunilde. Il tema principale è dunque il “motivo della purezza” presentato nelle battute iniziali dal primo violino e poi ripreso in modo più marziale dall’oboe e dal violoncello. Questa melodia è il filo rosso che attraversa tutta la partitura intrecciandosi via via con i temi secondari: il “motivo dei Nibelunghi”, affidato al suono ribattuto dei fiati, e il “motivo del patto d’amore” intonato dai corni, oltre ai suggestivi richiami della natura: trilli e tremoli che trascorrono da uno strumento all’altro. Il risultato è una fitta trama contrappuntistica resa seducente dall’ininterrotto trascolorare timbrico e armonico.
I Wesendonk Lieder richiamano un’altra figura femminile protagonista della biografia wagneriana. Mathilde Wesendonk è amica e protettrice del musicista e per qualche anno i due vivono una scandalosa relazione extraconiugale, testimoniata da un fitto epistolario, ma anche dalla composizione di questo ciclo liederistico su testi della poetessa e drammaturga austriaca. I versi della Wesendonk ruotano intorno ai grandi temi dell’amore e della morte e, secondo la sensibilità romantica tipica dell’epoca, sono popolati di fugaci visioni notturne, rievocazioni nostalgiche di un passato perduto per sempre e compiacimenti crepuscolari. La fusione inscindibile tra Eros e Thanatos è al centro anche del capolavoro cui Wagner sta lavorando in questo periodo, il Tristano, e i cinque Lieder non solo echeggiano temi e motivi di quest’opera, ma ne riflettono l’atmosfera e la tensione espressiva, in particolare attraverso una scrittura fortemente cromatica. Composti tra l’autunno del 1857 e la primavera dell’anno successivo, in origine sono destinati a un accompagnamento pianistico. Lo stesso Wagner avrebbe poi orchestrato l’ultimo, Sogni, per farlo eseguire sotto la finestra dell’amata nel giorno del suo compleanno. La versione orchestrale degli altri canti risale al 1880 e si deve a uno dei primi celebri interpreti wagneriani, il compositore e direttore d’orchestra Felix Mottl.
Il ciclo si apre con l’immagine impalpabile dell’Angelo (Der Engel), evocata musicalmente fin dalle prime battute dai lievi arpeggi degli archi e da una melodia vocale di ampio respiro. Il modo minore della sezione centrale crea un clima pervaso di nostalgia e sofferenza, poi il canto si espande progressivamente nel registro acuto, quasi a suggerire la natura soprannaturale delle creature angeliche, mentre l’orchestra conclude il brano con un diminuendo sempre più rarefatto. In Stehe Still! (“Fermati!”) l’adesione musicale al significato poetico è ancora più marcata. L’iniziale concitazione del canto e dell’orchestra si riferisce ai versi che parlano del tempo che scorre incalzante e inesorabile. All’immagine dell’oblio, invece, corrisponde una brusca battuta d’arresto dell’orchestra, sospesa nel tempo per poi indugiare in progressioni cromatiche tristaneggianti. La tecnica tipica della “musica a programma” è evidente anche nella rarefazione sonora che accompagna i versi dedicati al silenzio. Im Treibhaus (“Nella serra”) reca il sottotitolo di “Studio per Tristano e Isotta”: dall’opera infatti sono ripresi il “motivo della solitudine” e il “motivo della disperazione di Tristano” (entrambi dal preludio al terzo atto). Il primo è affidato agli archi nelle battute introduttive, il secondo, anch’esso riconoscibile per il forte carattere cromatico, compare dopo l’ingresso del canto ed è affidato alla viola sola. Tutto il Lied è basato sull’intreccio e la variazione di questi due temi che assecondano le suggestioni testuali. L’esempio più trasparente della tecnica tipica della musica a programma è fornito dal quarto brano, Schmerzen (“Dolori”). Nella poesia la prima strofa descrive il tramonto del sole che si immerge nel mare, la seconda evoca invece l’alba gloriosa del giorno. In perfetta sintonia con la simmetria del testo, la musica prima disegna un motivo discendente e in decrescendo, poi dispiega il canto verso il registro acuto fino a culminare, in modo maggiore, in una sorta di squillo di fanfara. L’”inno alla notte”, nucleo tematico centrale del Tristano, è il motivo conduttore del Lied conclusivo, Sogni. Si tratta di un richiamo ripetuto dei fiati, che qui si presenta per la prima volta sullo sfondo di una statica figurazione degli archi, per poi ricomparire ogni volta che la voce enuncia la parola Träume (“sogni”). Nelle battute finali lo struggente tema del Tristano svanisce a poco a poco nel suono dell’orchestra in pianissimo e scivola nella notte, nel nulla: unico regno possibile dell’amore reso eterno dalla morte.
Ha soltanto 18 anni Schubert quando compone la sua terza Sinfonia. E’ il 1815, un anno di attività frenetica in cui vedono la luce oltre 140 Lieder, tra i quali capolavori come Erlkönig e Heidenröslein, la seconda Sinfonia, due Sonate per pianoforte e quattro opere, tra le quali va ricordata almeno Claudine von Villa Bella su un classico libretto di Goethe. La terza Sinfonia ha una gestazione un po’ travagliata: dopo aver messo mano alla partitura il 24 maggio, il compositore la abbandona a luglio, fermandosi alla battuta 47 del primo movimento. Ma il tempo delle “incompiute” deve ancora arrivare e l’11 luglio il giovane Franz ritorna sul brano e lo conclude in meno di dieci giorni. Rispetto alle due precedenti, questa Sinfonia in Re maggiore (D 200) mostra una decisa maturazione artistica, sia nel senso della coerenza formale, sia in direzione di una crescente originalità. Il respiro dell’opera è ampio e l’organicità è garantita dal costante riferimento a temi e stilemi della tradizione popolare di area tedesca. Non meno evidente in questa Sinfonia il riferimento, nella suddivisione formale e nel trattamento dei temi, al canone della sinfonia classica e in particolare ad Haydn. Siamo ancora lontani dalla grandiosità tragica e dai vertiginosi struggimenti delle ultime sinfonie schubertiane: qui prevalgono l’esuberanza giovanile e un clima di sereno ottimismo. Un’atmosfera di gioia e serenità che si respira fin dal primo movimento, un Allegro con brio (preceduto da un Adagio introduttivo) con due temi principali, esposti rispettivamente dall’oboe e dal clarinetto, di chiara ispirazione popolare. Ampia e segnata da forti contrasti drammatici la sezione di sviluppo, che si caratterizza per l’improvvisa alternanza di piano e forte e da un intensivo utilizzo di crescendi e sforzandi. Il successivo Allegretto in Sol maggiore è costruito secondo la classica struttura tripartita ABA e la sezione centrale ricorda i Lieder, con il clarinetto che intona un tema cantabile ripreso dagli altri fiati. Il Menuetto ammicca alle forme di danza popolari e in particolare il trio, affidato a oboe e fagotto, richiama la forma del Ländler, la celebre danza austriaca, simile al valzer, a lungo sopravissuta nella tradizione tirolese. Il finale, Presto vivace, è invece una scatenata tarantella, vero e proprio omaggio all’Italia. E’ interessante ricordare che soltanto l’anno successivo Schubert avrebbe conosciuto la musica di Rossini assistendo alla prima rappresentazione viennese del Tancredi. Un incontro che lo avrebbe lasciato tutt’altro che indifferente, come dimostrano le due Ouvertures in stile italiano, successive di pochi mesi. Eppure l’ombra di Rossini sembra allungarsi già sul Finale di questa Sinfonia, percorso da una vivacissima progressione in crescendo che si arresta soltanto con i quattro trionfali accordi conclusivi.