Le date
Giovedì 14 aprile ore 21 Teatro Dal Verme
Venerdì 15 aprile ore 21 Aloisianum di Gallarate
Sabato 16 aprile, ore 17 Teatro Dal Verme
Direttore:
Andrea Pestalozza
Violoncello:
Umberto Clerici
Fisarmonica:
Ivano Battiston
Orchestra:
Orchestra I Pomeriggi Musicali
Programma:
Toshio Hosokawa (Hiroshima 1955)
“In die Tiefe der Zeit”, per violoncello, fisarmonica e archi (1994)
Gioachino Rossini (Pesaro 1792 – Passy, Parigi 1868)
“Une Larme” per violoncello e archi
Luigi Boccherini (Lucca 1743 – Madrid 1805)
Concerto per violoncello e archi in Si bemolle maggiore
Allegro moderato Andante grazioso Rondò allegro
Georges Bizet (Parigi 1838 – Bougival, Parigi 1875)
Sinfonia in Do maggiore
Allegro
Andante
Scherzo
Finale
Il Concerto:
a cura di Carla Moreni
Toshio Hosokawa, o anzi, meglio, per rispettare la tradizione, Hosokawa Toshio, appatiene a quella nuova generazione di compositori giapponesi, capeggiata da Takemitsu Tru, affermatasi con pari successo in patria e in occidente. Anello di congiunzione tra due mondi culturalmente lontani, Hosokawa prende da entrambi, a entrambi parla. La sua musica viene premiata in Giappone e a Berlino, le partiture mediano sensibilità e gesti che fanno parte di due linguaggi, miracolosamente tenuti in equilibrio e intrecciati in dialogo.
Hosokawa è compositore ben conosciuto anche in Italia. Citare il nome della sua città di nascita, vuol dire raccontare una metà della sua storia.
Hiroshima: anche per chi sia venuto al mondo nel 1955 – come Hosokawa – è un marchio che ti segna, non si può cancellare. Nelle interviste che il musicista ha rilasciato, nel corso della carriera, con pudore non viene quasi mai raccontato il carico di dolore indelebile che gli eredi di questa città portano con sé.
Ma lo strazio, la profondità di questa ferita, parlano sa soli, sempre, nelle sue musiche.
Anche in quelle non espressamente destinate a ricordare la tragedia della bomba atomica, come sono le pagine dello “Hiroshima Requiem” (1989), per voci, coro orchestra e nastro magnetico.
Anche in questo esteso brano oggi in programma, “In die Tiefe der Zeit” (“Nel profondo del tempo”, 1994), il compositore giapponese lascia affiorare, nel teso protagonismo di violoncello e fisarmonica, lacerti di sofferenza, stridori, asprezze di suoni tenuti fino allo spasimo, che in certo modo il tessuto degli archi, raccolti in formazione da camera, contengono e confortano, o per lo meno dilatano in un conflitto meno scoperto. La versione successiva di “In die Tiefe der Zeit, datata quattro anni dopo, e riservata ai due soli solisti (se ne possono confrontare due diverse versioni discografiche, una con i due dedicatari del pezzo, Julius Berger e Stefan Hussong, incisa per la Wergo, l’altra con Thomas Demenga e Teodoro Anzellotti, per ECM) risulta nelle sonorità assai più tagliente e tragica. Concepita senza soluzione di continuità, ma con diversi cambiamenti di unità di tempo, la partitura scorre per fasce timbriche orizzontali, spesso omogenee, ma continuamente increspate nella dinamica, che con effetto ondulatorio si apre dai “pppp” (“a stento udibili”) ai “pp, ai “mezzoforte”. Non ci sono silenzi in queste fasce dal carattere sospeso, onirico, segnate dal ricorrere di talune figurazioni ritmiche. L’impressione all’ascolto resta quella di un grande lago disteso, silente, scoperto in fondo a chissà quale baratro del tempo. “La musica è una calligrafia esercitata nello spazio e nel tempo”, scrive di sé Hosokawa: calligrafo (anche nella stessa forma minuta delle note, le sue musiche sono pubblicate da Schott), e nel contempo violento come sa essere nel profondo sempre la cultura giapponese, in tutte le forme d’arte. Hosokawa, che ha studiato a Tokio e a Berlino (composizione con il noto Isang Yun), si è poi perfezionato a Friburgo con Klaus Huber e Brian Ferneyhough. Premiato in importanti concorsi (Bucchi in Italia, Arion Music Prize a Tokio, a Berlino premio per i cento anni della Filarmonica), dispone di un vasto repertorio per orchestra e solisti, musica da camera e musica da film, ma conta anche pagine per strumenti della tradizione giapponese.
Nel volume nono dei “Péchés de vieillesse”, al fascicolo numero 10, è segnato “Une Larme, Thème et Variations” per violoncello e pianoforte. Il brano appartiene a quella segreta e volutamente defilata produzione ultima del compositore pesarese, ritiratosi dalle scene e dai trionfi operistici dopo il “Guglielmo Tell”. Dal silenzio del suo osservatorio privilegiato di Parigi (dove anche tacendo Rossini restava il musicista di riferimento per tutti) o dalla campagna di Passy, uscivano queste piccole chiose, “peccati di vecchiaia”, appunto, che sancivano la distanza ormai incolmabile tra un mondo della musica che non gli apparteneva più.
Pezzo di bravura, prediletto dagli interpreti e dal pubblico. Boccherini fu uno straordinario virtuoso di violoncello, al quale fornì un ricco catalogo di pagine nuove e ispirate. Dodici sono i Concerti per violoncello elencati ufficialmente da Gérard, dove il “Concerto in Si bemolle” (tra i più noti) figura al numero 9.
Fu composto nel 1771 e pubblicato per la prima volta da Artaria, nel 1785. Le date sono da intendersi come indicative, perché la produzione di Boccherini non godette che tardivamente (1969) di una redazione ufficiale.
Boccherini, già affermatosi a soli tredici anni come valente strumentista (allievo prima del padre poi dell’abate Vannucci), migrò nel 1757 a Vienna, membro dell’orchestra del Teatro Imperiale. Il “Concerto in si bemolle” appartiene al fecondo periodo madrileno del compositore, dove Boccherini trionfò (nonostante le ostilità di Gaetano Brunetti) con una fioritura di musica strumentale per archi, prediletti alla corte di Don Carlos, futuro Carlo IV. Brillio virtuosistico ed eleganza melodica si congiungono in questo Concerto, cinto da due Allegri che spronano le capacità del solista, chiamato al centro a malinconie e tenerezze rococò.
Il piccolo gioiello della “Sinfonia in Do maggiore”, primo e unico titolo sinfonico del famoso compositore della “Carmen”, rimase sconosciuto per quasi ottant’anni. Bizet aveva scritto questa scanzonata e frizzante pagina con penna leggera e sapientissima. Aveva diciassette anni, era il 1855. Non ci aveva dato peso, la considerava poco più che un saggio scolastico. E l’opera languì dimenticata fino al 1935, nella biblioteca del Conservatorio di Parigi, quando Felix Weingartner la scoprì, dirigendone la prima esecuzione, trionfale, a Basilea. I tempi della Sinfonia sono quattro gioielli, lavorati dalla mano alata e fresca del genio, che strizza l’occhio a Rossini e alla musica italiana nell’Allegro iniziale, canta con l’oboe nell’Andante, gioca con la musica popolare nel Minuetto e Trio dello Scherzo, e per finire si lancia in un moto perpetuo mozzafiato nell’Allegro vivacissimo finale, chiuso con spumeggiante vitalità.
Andrea Pestalozza
Direttore d’orchestra
Inizia i suoi studi musicali dedicandosi alle percussioni e successivamente, avendo individuato nel mondo del Romanticismo e del Novecento il centro dei suoi interessi, si dedica al pianoforte e alla direzione d’orchestra e d’ensemble. Ha studiato con Franco Campioni, Martha del Vecchio e Piero Bellugi. Decisivi per la sua formazione musicale sono stati gli incontri con Salvatore Sciarrino e Gyorgy Kurtag. Ha collaborato con illustri musicisti quali Cathy Barberian, Rocco Filippini, Peter Keller, Marco Rizzi, Luisa Castellani, Zoltan Pesko, Gabriele Ferro. Ha tenuto recital pianistici e concerti come direttore a Parigi (Orchestre National de France), Berlino (Festwochen), Londra, Roma (Orchestra Regionale del Lazio e Nuove Consonanza), Milano (Orchestra della RAI)