Autori vari - I Pomeriggi Musicali - Teatro Dal Verme

Le date

Sala Grande
giovedì 10 marzo 2005
Ore: 21:00
sabato 12 marzo 2005
Ore: 17:00

Giovedì 10 marzo, ore 21 Teatro Dal Verme
Venerdì 11 marzo, ore 21 Teatro Cagnoni – Vigevano
Sabato 12 marzo, ore 17 Teatro dal Verme

Direttore:
Salvador Brotons
Pianoforte:
Roberto Cominati
Orchestra:
Orchestra I Pomeriggi Musicali

Programma:

Ricard Lamote de Grignon
[Barcellona, 1899 – 1962]
Tres Sonates del Pare Soler
Sonata in Sol minore: Allegro giocoso
Sonata in Re minore: Allegretto cantabile
Sonata in Re maggiore: Allegro con garbo

Richard Strauss
[Monaco, 1864 – Garmisch-Partenkirchen, 1949]
Burleske in Re minore per pianoforte e orchestra

Salvador Brotons
[Barcellona, 1959]:
“Preludio, interludio e finale”op.49 dall’opera «Reverend Everyman»

Zoltán Kodály
[Kecsemét, 1882 – Budapest, 1967]:
Galántai táncok [Danze di Galánta]

Il Concerto:
di Paolo Castagnone
« Affinché la musica sia espressione del popolo, occorre che riunisca in sé tutto ciò che la nazione possiede » [Felipe Pedrell]

Barcellona conobbe nella seconda metà del XIX secolo un fermento culturale che incise profondamente sul futuro musicale della Spagna. Il merito principale di questa rinascenza è attribuito al musicologo e studioso del canto popolare Felipe Pedrell [1841 – 1922], considerato il fondatore della musica iberica contemporanea in virtù della sua capacità di riaprire quel colloquio con la tradizione, che è una delle condizioni essenziali perché un popolo possa ritrovare in se stesso le ragioni più profonde della sua unicità. «Il carattere di una musica veramente nazionale – soleva affermare – non si trova soltanto nella canzone popolare e nell’istinto delle epoche primitive, ma nel genio e nei capolavori dei grandi secoli». Parole d’estrema chiarezza, che furono ben comprese dai numerosi allievi.

E’ proprio in questo clima che venne formandosi un musicista come Ricard Lamote de Grignon. Nato a Barcellona al volgere del secolo, si formò inizialmente con il padre Juan, un direttore d’orchestra di fama internazionale. Completati i propri studi musicali nella capitale catalana, intraprese a sua volta una brillante carriera direttoriale. Avviata ben presto anche l’attività compositiva, manifestò una notevole duttilità ed ecletticità, che lo portò a scrivere più di venti colonne sonore per il cinema e a collaborare assiduamente con la radio di Stato. Tra i numerosi lavori sinfonici, balletti e opere teatrali del suo catalogo, si segnalano le “Tres Sonates del Pare Soler”, composte nel 1949 ed eseguite per la prima volta con notevole successo il 24 marzo 1957 dall’Orchestra Municipale di Barcellona sotto la direzione dell’autore.

Questa composizione orchestrale, memore degli insegnamenti di Pedrell, vuole essere un omaggio al musicista catalano Antonio Soler [1729 – 1783], uno dei maggiori artisti spagnoli del Settecento. Entrato nell’ordine di san Gerolamo, fra il 1752 e il 1757 si perfezionò col grande compositore napoletano Domenico Scarlatti, ma dimostrò la capacità di non diventarne un banale emulo. In seguito a quest’esperienza con uno dei massimi clavicembalisti dell’epoca, dedicò la maggior parte delle sue energie creative al repertorio sonatistico, mettendo in luce un discorso armonico caratterizzato da frequenti e improvvise modulazioni, che ne arricchiscono e ravvivano il procedere. Nella decisione di Ricard Lamote de Grignon di elaborare una raffinata ed elegante veste orchestrale per tre delle sue originalissime sonate per strumento a tastiera, giocò probabilmente un ruolo di primo piano la perfetta aderenza di Soler alle tradizioni musicali del proprio Paese.

« Da mio padre imparai a far bene musica » [Richard Strauss]

Franz Strauss [1822-1905], fu uno dei più eminenti strumentisti della sua epoca: primo corno dell’Hoforchester di Monaco e insegnante nella locale Accademia, mise in luce un virtuosismo di prim’ordine. In alcune pagine autobiografiche il figlio Richard ne ricorda il carattere indipendente e fiero, i gusti musicali orientali verso il passato, fondati su Schubert, von Weber, Spohr, ma sopratutto i classici viennesi: il suo amore per la tradizione era così estremo che per lui già il finale della Settima sinfonia di Beethoven non era più “musica pura”. Quando Richard iniziò gli studi di composizione fu inevitabilmente influenzato dalle nette preferenze estetiche del padre, i cui modelli più recenti risalivano a Mendelssohn, particolarmente amato per la sua capacità di fondere felicemente le forme musicali classiche con le intenzioni espressive romantiche. Pertanto la sua copiosa produzione giovanile mostra una conoscenza approfondita del linguaggio classico-romantico.

Nel 1885 una serie di circostanze influì in maniera decisiva sugli orientamenti successivi, a cominciare dall’invito del grande direttore e pianista Hans von Bülow, buon amico di Franz Strauss, a coadiuvarlo nella guida dell’orchestra di Meiningen: si trattava di un notevole riconoscimento, poiché nella cittadina della Turingia si concentrava un fronte importante della musica tedesca, quello più conservatore. Il primo violino era però un fervente wagneriano e grazie a quest’incontro Strauss aggiornò la propria educazione musicale, assimilando molto rapidamente quanto di nuovo era avvenuto nella musica europea, da Berlioz e Liszt a Wagner.

Proprio in questo momento di svolta venne concepita la partitura della Burleske, una fantasia in re minore per pianoforte e orchestra, che già rivela l’indiscutibile originalità della futura arte straussiana. Il brano non è il tipico “concerto” solistico, ma una pagina formalmente più libera: sostanzialmente un vasto primo movimento di sonata, concluso da una sorprendente e bellissima coda che sembra quasi volerne dissolvere la potenza sonora. Vi cominciano anche ad apparire certe caratteristiche forzature, spinte a volte al limite del grottesco – quali un tema esposto dai soli timpani o una citazione deformata della Walkiria wagneriana – e s’inizia a manifestare quella maestria nell’orchestrazione, che sarà uno dei sostegni più validi nella carriera del compositore di Monaco.

Per le convenzioni musicali del tempo il lavoro doveva presentare non poche novità, a cominciare dall’impressionante perizia tecnica richiesta al solista, che spinse il dedicatario dell’opera, ossia von Bülow stesso, a dichiarare il lavoro ineseguibile. Come sempre accade in tali casi, bisogna attendere che un grande esecutore s’innamori della partitura e ne faccia un proprio cavallo di battaglia. Fu così che la prima esecuzione avvenne nel 1890 su una versione appositamente approntata per uno dei grandi virtuosi dell’epoca, Eugène d’Albert. Nelle sue mani Burleske poté risuonare in tutta la sua trionfante vitalità e mettere in luce uno dei tratti essenziali della personalità straussiana: la sua dirompente oscillazione fra tradizione e modernità.

« La música es un arte que habla al corazón, a los sentimientos » [Salvador Brotons]

«Provengo da una famiglia di musicisti. Mio padre e mio nonno furono flautisti e ciò mi è stato di grande vantaggio, poiché ho imparato subito la necessità di una disciplina nello studio. Per esempio venni fatto subito avvicinare al pianoforte, che è uno strumento imprescindibile per la formazione di un compositore». Ciò può forse spiegare la facilità di scrittura di Brotons, la cui prolificità è riconducibile anche all’esperienza americana, «dove – a differenza della Spagna – ho potuto fare moltissima pratica, dirigendo l’Orchestra dell’Università e numerosi complessi di fiati, ma soprattutto ho avuto l’opportunità di eseguire immediatamente le mie opere». Proprio dal proficuo rapporto lavorativo che fin d’allora si è instaurato con gli Stati Uniti, nasce “Preludio, interludio e finale” op.49, una rielaborazione puramente strumentale dell’opera «Reverend Everyman», scritta nel 1989 su richiesta della Florida State University.

La partitura – estremamente ricca sul piano delle indicazioni agogiche e dinamiche – ben esprime ciò che per Brotons è la finalità della musica, ovvero coinvolgere l’ascoltatore in «un itinerario immaginario, che passa per diversi mondi sonori, per legarsi a un destino finale». Il linguaggio impiegato prende le mosse da una visione personale della tradizione: «Ho studiato molti modelli, ma cerco di perseguire uno stile personale, che mi definisca autonomamente. Mi hanno certamente influenzato il carattere ludico e battagliero al tempo stesso di Beethoven, la grandiosità nella strumentazione di Wagner, le raffinate melodie pucciniane. Tra la musica del XX secolo prediligo Prokofiev, Shostakovich, Bartók, Hindemith, Stravinsky». Di quest’ultimi è ben presente il forte dinamismo ritmico, evidente nel percussivo e umorale “Interludio” e nei ricorrenti cambi metrici che caratterizzano l’intera composizione. Spicca invece l’assenza di riferimenti ad autori della dodecafonia e del serialismo, «che hanno creato una rottura col pubblico, perché scrissero per la mente, non per il cuore».

La descrizione del proprio metodo compositivo – non lontana dalle affermazioni di molti autori del passato – conferma una tendenza a rielaborare la tradizione, più che a stravolgerla. «Il mio comporre parte dal silenzio, un silenzio che è molto difficile trovare nel mondo moderno: ecco perché scrivo spesso di notte. Conquistata questa dimensione di concentrazione, mi domando cosa voglio dire e inizio a scegliere un certo materiale di base; partendo da qui incomincio a svilupparlo, a equilibrarlo, a dargli coerenza e significato».

« Chi misura ciò che ascolta col metro della tradizione non sarà mai ingannato da falsi idoli » [Zoltán Kodály]

Le Galántai táncok [Danze di Galánta] sono tra i lavori più celebri di Kodály e costituiscono un perfetto esempio del suo ideale estetico: incorniciare il «nuovo» nel «vecchio», nell’instancabile tentativo di realizzare una sintesi tra folklore e forme derivate dalla tradizione musicale europea, dal gregoriano alla polifonia fiamminga, da Bach ai tardoromantici. Fermamente convinto che «ogni arte ha una duplice faccia e quanto più le sue radici affondano nei secoli passati, tanto più si irradia in un futuro lontano», il maestro ungherese impegnò le proprie forze per dare al suo popolo una cultura musicale facilmente accessibile, creando un linguaggio che alla cantabilità accoppia un innato senso delle proporzioni e una raffinata sensibilità armonica.

In tal senso non sorprende che quando nel 1933 gli venne commissionato dalla Società Filarmonica di Budapest un brano per festeggiare l’ottantesimo anniversario della propria fondazione, Kodály decise di attingere al ricco patrimonio musicale di Galánta, un villaggio posto sulla strada che da Vienna conduce a Budapest, nel quale la famiglia del compositore visse tra il 1884 e il 1891. I canti e le danze di quella popolazione – magiara, tedesca e slovacca – influirono decisamente nella sua formazione e sulle future scelte musicali. Fu qui che il giovane musicista entrò per la prima volta in contatto con le “sonorità orchestrali” di un noto complesso musicale tzigano, che aveva conservate intatte alcune melodie popolari, in particolare i Verbunkos (dal tedesco Werbung = «arruolamento»), antiche danze dell’esercito ussaro, che avevano lo scopo di convincere i giovani contadini ungheresi ad arruolarsi nell’esercito imperiale. Si componevano di diverse sezioni d’andamento lento (lassu) o veloce (friss) e tutte le loro caratteristiche ritmico-melodiche (sincopazione, ritmi puntati, terzine, carattere improvvisativo), sono presenti nel materiale tematico di carattere contrastante che, senza soluzione di continuità, percorre un brano dalla scrittura orchestrale assai ricca, spesso impreziosita da un virtuosismo strumentale tipicamente zingaresco.

Salvador Brotons
Nato a Barcellona da una famiglia di musicisti, studia flauto con suo padre e poi al Conservatorio di Barcellona, laureandosi in flauto, composizione e direzione d’orchestra. Fra i suoi insegnanti ricordiamo Antonio Ros Marbá (direzione), Xavier Montsalvatge (composizione) e Manuel Oltra (strumentazione). Nel 1985, grazie ad una borsa di studio, si trasferisce negli Stati Uniti dove prende il dottorato in Musica nell’Università Statale della Florida. Dal 1977 al 1985 è solista di flauto dell’Orchestra del Gran Teatro del Liceu di Barcellona e, dal 1981 a 1985, membro dell’Orchestra Città di Barcellona. Come compositore scrive più di 80 opere orchestrali e cameristiche e riceve quindici Premi: molte delle sue opere sono pubblicate in numerosi CD e distribuite in Europa e negli Stati Uniti. In qualità di Direttore, dal 1986 al 1987 è il Direttore Assistente dell’Orchestra Sinfonica della “Florida State University”, dal ’90 al ‘93 Direttore Titolare della “Oregon Sinfonietta”, dall’89 al ‘91 della “Mittleman Jewish Community Orchestra”, e dall’87 al ’97 dell’Orchestra della “Portland State University”, università dove ha insegnato anche Contrappunto, Direzione d’orchestra, Litteratura e Storia della musica. In Spagna, è stato Direttore Titolare dell’Orchestra Sinfonica delle Isole Baleari Città di Palma e dell’Orchestra Sinfonica del Vallés. Negli Stati Uniti, dal 1991, è anche Direttore Titolare della Vancouver Symphony Orchestra (Stato di Washington) al fronte della quale ha ricevuto il Premio “Arts Council” concesso dal Clark County e dalla città di Vancouver. Dirige numerose orchestre in Cecoslovacchia (Radio Praga), Germania (Orchestra Sinfonica di Wuppertal), Sud-Africa (Orchestra Sinfonica Nazionale), Israele (Raanana Symphonette), Belgio (Orchestre des Guides), Uruguay (Filarmonica di Montevideo), Venezuela (Orchestra Simon Bolivar), e negli Stati Uniti (Blue Lake Festival Orchestra, la Columbia Symphony, York Symphony Orchestra, Tallahassee Symphony, Seattle Philharmonic Orchestra), oltre a la maggior parte delle Orchestre spagnole. Dal 2001, è Professore di Direzione d’Orchestra e Composizione nel Conservatorio Superiore di Catalunya. Nel 2002 riceve il “Florida State University Alumni Award” per la sua carriera.

Roberto Cominati
Nato a Napoli nel 1969, ha iniziato giovanissimo lo studio del pianoforte e all’età di 8 anni è stato ammesso per meriti speciali al Conservatorio S. Pietro a Majella di Napoli.
Ha intrapreso prestissimo l’attività pianistica, partecipando tra il 1976 ed il 1982 ai più importanti concorsi pianistici nazionali e ottenendo ovunque il massimo riconoscimento.

Nel 1984 ha studiato con Aldo Ciccolini presso l’Accademia Superiore di Musica di Biella e nel 1989 è entrato all’Accademia Pianistica “Incontri col Maestro” di Imola, studiando sotto la guida di Franco Scala.

Nel 1991 ha vinto il 1º Premio al Concorso Internazionale “Alfredo Casella” di Napoli e nel 1993 gli viene assegnato il 1º Premio al Concorso Internazionale “Ferruccio Busoni” di Bolzano, riconoscimento che lo impone immediatamente all’attenzione della critica e delle maggiori Istituzioni concertistiche europee. Nel 1999 ha ottenuto il Prix Jacques Stehman del pubblico della RTBF e della TV5 France, nell’ambito del Premio Reine Elisabeth di Bruxelles.Ospite delle più importanti Società concertistiche italiane, quali il Teatro alla Scala di Milano, il Teatro Comunale di Bologna, l’Accademia di Santa Cecilia di Roma, ed europee quali il Teatro Châtelet di Parigi, l’Orchestra di Lille, oltre che in Giappone e in Australia, ha collaborato con famosi direttori, tra cui Leon Fleisher, Daniel Harding, Eliahu Inbal, David Robertson. Tra gli impegni delle ultime stagioni ricordiamo il ritorno a Berlino con i Berliner Symphoniker, una nuova serie di recital in Olanda e Belgio, la seconda tournèe in Giappone e in Australia, il debutto Washington nel dicembre 2004 e il ritorno a Torino con l’Orchestra Sinfonica della RAI, con i Concerti di Franck e Ravel diretti da Lazarev.