Autori vari - I Pomeriggi Musicali - Teatro Dal Verme

Le date

Sala Grande
sabato 12 febbraio 2005
Ore: 17:00

Sabato 12 febbraio 2005, ore 17

Direttore:
Zsolt Hamar
Clarinetto:
Luca Lucchetta
Orchestra:
Orchestra di Padova e del Veneto

Programma:
Ludwig van Beethoven
(1770 – 1827)
Grande Fuga in Si bemolle maggiore op. 133 per due violini, viola e violoncello
(Revisione F. Weingartner)
Overture (Allegro, Meno mosso e moderato, Allegro),
Fuga

Carl Maria von Weber
(1786 – 1826)
Concerto n. 2 in Mi bemolle maggiore op. 74 per clarinetto e orchestra
Allegro – Romanza (Andante) – Alla polacca

Ludwig van Beethoven
(1770 – 1827)
Marcia Funebre dalle Musiche di scena per la tragedia “Leonora Prohaska
Andante, comodo

Franz Schubert
(1797 – 1828)
Sinfonia n. 4 in do minore D 417 “Tragica”
Adagio molto, Allegro vivace
Andante
Menuetto (Allegro vivace)
Trio – Allegro

Il Concerto:
a cura di Filippo Juvarra

LUDWIG VAN BEETHOVEN
Grande Fuga op. 133
La “Grande Fuga” fu composta fra il settembre e il dicembre 1825 come movimento finale del Quartetto per archi op. 130. Come tale fu eseguita il 21 marzo 1826 e solo successivamente, in seguito alle pressioni dell’editore Artaria, Beethoven si decise a staccarla dal Quartetto op. 130 e a scrivere un nuovo finale.
L’originario movimento conclusivo, una fuga di enormi dimensioni che è una sintesi geniale tra la vecchia forma (la fuga) e l’ideale drammatico della sonata, aveva suscitato sia negli esecutori che negli ascoltatori reazioni problematiche. Per il Quartetto Schuppanzigh, già durante le prove, “la fuga appare così difficile”… “Le terzine, in tutte le parti sono difficili… difficile l’assieme così come realizzare in tempo veloce i colpi d’arco previsti”. Divise furono invece le reazioni del pubblico: “incomprensibile, come il cinese” per alcuni (AmZ 28, 1826) mentre altri espressero la necessità di ascoltarla più spesso per poterla capire (Quaderni di conversazione con Beethoven, 1 aprile 1826). E’ comunque l’editore Artaria, che con l’aiuto di Holz, riesce nel difficile compito di convincere Beethoven a scrivere un nuovo finale a pubblicare la fuga separatamente.
L’edizione è del 1827; quella di Vienna (Artaria) è dedicata al Cardinale Arciduca Rodolfo d’Austria; nello stesso anno è pubblicata anche a Parigi da Schlesinger. Nell’agosto/settembre 1826 Beethoven ne aveva realizzato, come op. 134, una versione per pianoforte a 4 mani. Nel titolo la Grande Fuga è detta “tantòt libre, tantòt recherchée”.
Appartiene alla tradizione dei grandi direttori d’orchestra/compositori – a partire da Gustav Mahler – l’intenzione di portare nel mondo “sinfonico” pagine appartenenti alla musica da camera. Così Mahler fece con il Quartetto op. 95 di Beethoven (oltre che con “La morte e la fanciulla” di Schubert), D. Mitropoulos con l’op. 131 di Beethoven, A. Toscanini con il Settimino op. 20 e il Quartetto op. 135 fino ad arrivare ad oggi (Bernstein, Previn e recentissimamente Perahia con l’op. 127).
Felix Weingartner (1863-1942) fu compositore e grandissimo direttore: successore di Mahler all’Hofoper di Vienna e alla Filarmonica (1903-1927). A lui si deve (oltre ad una orchestrazione della Sonata op. 106 “Hammerklavier” per pianoforte di Beethoven) questa rielaborazione della Grande Fuga per orchestra d’archi. Una revisione che comporta l’aggiunta della parte di contrabbasso e un lavoro editoriale per l’esecuzione appunto con archi raddoppiati. E’ una versione che già fu incisa (78 giri) dalle orchestre da camera di A. Busch e di E. Fischer e che ha incontrato l’attenzione di direttori come W. Furtwaengler, O. Klemperer, H. Scherchen, E. Ansermet fino ad arrivare a N. Marriner.

CARL MARIA VON WEBER
Concerto n. 2 op. 74 per clarinetto e orchestra
Heinrich Josef Baermann – il dedicatario ed ispiratore delle composizioni per clarinetto di C.M. von Weber – nacque a Postdam il 14 febbraio 1784 e ricevette le sue prime lezioni di musica alla Hautboisten – Schule dell’orfanotrofio militare del luogo. Fu allievo del famoso clarinettista Berr. Nel 1798 entrò nella banda del secondo reggimento della guardia e lì attirò l’attenzione del principe Louis Ferdinand che lo volle sempre ai suoi intrattenimenti musicali e gli fece impartire un’ulteriore educazione musicale da Franz Tausch. Nel 1806 Baermann fu prigioniero dei francesi a Jena, da dove fuggì. Recatosi a Monaco con la lettera di raccomandazione del principe ereditario Ludwig di Baviera partecipò, a un concerto con la cappella di corte e qui venne impiegato come primo clarinetto.
Rivestì questo incarico fino a quando lo passò a suo figlio Carl, che per alcuni anni lavorò accanto al padre. H.J. Baermann morì a Monaco l’11 giugno 1847.
La fama di Baermann clarinettista non si deve tanto alla tecnica delle sue dita, quanto alla “perfetta uguaglianza del suono dall’acuto al grave e alle sue esecuzioni celestialimente piene di gusto”.
Senza dubbio anche il suo virtuosismo tecnico sarà stato significativo, ma non fu certamente l’elemento fondamentale del suo modo di suonare, cosicchè venne sempre lodato “l’artista completamente formato che si è preservato con fermezza da tutte le direzioni sbagliate e i moderni trastulli”.
Il riconoscimento più bello però gli fu tributato da Weber, che lo definì “un artista veramente grande e uomo splendido”.

Il rapporto fra Baermann e Weber:
Heinrich Baermann ebbe una importante carriera di strumentista ma soprattutto fu fonte di ispirazione per tre grandi artisti che composero per lui: Weber, Meyerbeer e Mendelssohn.
All’inizio del 1811 visitò Darmstadt dove nacque la sua amicizia con due importanti compositori: Weber e Meyerbeer. Weber stava per lasciare Darmstadt e chiese a Baermann di partecipare al suo concerto di addio perchè, per l’occasione, aveva composto un duo per due contralti, clarinetto obbligato, corno ed archi  “Se il mio ben”. Il lavoro fu scritto da Weber più tardi nello stesso anno per due soprani e piano, in dedica alla regina Carolina di Baviera, e poi fu pubblicato come n. 3 dei “Tre duetti” op. 31. Anche Meyerbeer era tra il pubblico del concerto di Darmstadt, che si tenne il 6 febbraio.
Successivamente Baermann ritornò a Monaco e Weber partì per una piccola tournée di concerti arrivando egli stesso a Monaco il 14 marzo.
I due amici si incontrarono a casa di Karl von Wiebeking, il “Capo dei lavori  pubblici”. Furono organizzati per Weber alcuni concerti a corte e il compositore pregò Baermann di aiutarlo.
Quest’ultimo fu molto disponibile e con molta velocità Weber si mise a comporre il Concertino op. 26 che ultimò nell’arco di tre giorni. Tre giorni soltanto furono concessi a Baermann per impararlo prima dell’esibizione, che si tenne il 5 aprile.
Dopo il successo del concertino, il Re commissionò a Weber altri due pezzi speciali per Baermann. Il 17 maggio egli completò il suo concerto n. 1 in fa minore op. 73 che fu eseguito da Baermann il 13 giugno. Weber terminò il suo secondo concerto n. 2 in mi bemolle maggiore op. 74 il 12 giugno. Il primo concerto fu suonato di nuovo il 7 agosto e il 9 dello stesso mese, partì per una vacanza nei pressi di Berna.
Mentre egli era fuori città, Baermann eseguì il concerto n. 1 per il Re e la Regina al Nymphenburg il 7 settembre.
La prima esecuzione del secondo concerto avvenne a Monaco il 25 novembre e il clarinettista ricevette applausi per la sua ottima esibizione in seguito alla quale Baermann propose a Weber di compiere una tournée.

Gli strumenti usati
Si tratta di uno strumento in bosso e avorio di concezione classica con chiavi aggiunte in modo da consentire l’esecuzione dei passaggi cromatici di Weber che comunque rimangono virtuosistici. Il clarinetto a 10 chiavi di Baermann fu costruito da Griesling e Scott di Berlino (1809).
Importante è citare il lavoro del figlio Carl che, in collaborazione con Ottensteiner (costruttore di strumenti di Monaco), modificò notevolmente il clarinetto di Muller. Questo strumento, grazie ai numerosi miglioramenti che presentava rispetto a quello precedente, ebbe massima diffusione in Germania sotto il nome di “clarinetto di Baermann”, che lo prese a riferimento nel suo metodo. Le migliorie più importanti nel sistema di Baermann consistevano in una serie di levette di collegamento, grazie alle quali una chiave poteva essere azionata da più leve, e nel raddoppio di alcune di esse.
Richard Muhlfeld suonò su uno strumento simile le composizioni a lui dedicate da Brahms.

LUDWIG VAN BEETHOVEN
Marcia Funebre
La Marcia Funebre (Trauermarsch) in programma appartiene alle musiche di scena per la tragedia “Eleonore Prohaska” di Friedrick Duncker che Beethoven compose all’inizio del 1815. Friedrich Duncker era al seguito del re Federico Guglielmo II (di Prussia) al Congresso di Vienna nel 1814 ed aveva l’intenzione di far rappresentare la sua tragedia. Duncker a Vienna (1814-1815) abitò nella casa di Giannattasio del Rio, il proprietario dell’istituto educativo, in cui successivamente fu accolto per due anni il nipote e pupillo di Beethoven, Karl.
Beethoven – che conobbe Duncker poco dopo l’arrivo a Vienna – si impegnò a scrivere le musiche di scena, ma il dramma non fu mai rappresentato (anzi il suo soggetto fu utilizzato da tale Piwald e messo in scena il 1° marzo 1814 al Leopoldstaedter Theater).
Il soggetto si riferisce alla vicenda di una ragazza di Potsdam che si arruolò come volontaria nell’esercito di liberazione sotto il nome di Renz e che, ferita gravemente nella battaglia di Goerde il 16 settembre 1813, morì il 5 ottobre a Dannenberg.
Quattro sono i numeri composti da Beethoven: un coro di guerrieri iniziale, una romanza, un melodramma e la marcia funebre. Per quest’ultima Beethoven orchestrò, trasportandola nella tonalità di si minore, la “Marcia funebre sulla morte di un eroe” della Sonata op. 26 per pianoforte.

FRANZ SCHUBERT
Sinfonia n. 4 in do minore D 417 “Tragica”
E’ stato scritto molto poco sulle prime sei sinfonie di Schubert e ciò si può capire se si pensa che esse uscirono dagli scaffali delle biblioteche ed entrarono nel repertorio delle orchestre attorno agli anni 1930.
Sir George Grove le descrisse brevemente (la loro prima pubblicazione dai manoscritti è del 1869) e possediamo inoltre un ammirevole saggio di Anton Dvorak – che le amava moltissimo – del 1894. A parte questi due saggi, quasi tutto quello che si è scritto su queste sinfonie è degli ultimi quarantanni.
Una linea interpretativa comune sembra unire queste recenti pubblicazioni: lo stile delle prime sinfonie di Schubert, si dice, è quello di Haydn e di Mozart. Il rilievo, che vorrebbe essere leggermente diminutivo del loro valore, è, al contrario, un omaggio prezioso. E dire che la quinta sinfonia in si b. è mozartiana è ricambiare questo complimento a Mozart. Queste sei sinfonie certo ricordano i due compositori precedenti e Beethoven, perchè Schubert parlava lo stesso loro linguaggio ed era capace di farlo: ma per dire cose così diverse dalle loro ed in un modo per cui queste sei opere sono del tutto tipiche del loro giovane autore e di lui solo.
Già nella prima sinfonia è un maestro. Niente in queste sei sinfonie è immaturo senza voler dire con ciò che sono senza alcun difetto. Gli elementi base, armonia, contrappunto, equilibrio dinamico etc., sono sicuri e spontanei; le melodie sono spesso incantevoli e i passaggi tonali sono arditi ed originali. Dal punto di vista ritmico, lo si può ammettere, mostra una certa insensibilità. Il ritmo dei suoi temi ha, qualche volta, un bel senso dell’equilibrio classico, ma spesso è squadrato e le sue ripetizioni monotone.
Il ritmo delle sue strutture, anche, è inflessibile: quando un passaggio di tensione culminante è seguito da un altro, e poi da un altro ancora, come nel primo tempo della Tragica, l’effetto è sicuramente il contrario di quello cui doveva pensare l’autore. Ma il materiale, sia tematico che strutturale, ha tali attrattive in sè stesso e tale è la sua verve che le debolezze ritmiche sono compensate da questa profusione di ricchezze musicali.
L’economia compositiva è, dopo tutto, il raggiungimento della maturità; in un giovane artista farebbe pensare piuttosto a povertà di invenzione. E questa produttività antieconomica delle prime sinfonie manca di controllo solo nei confronti di questa indifferenza verso le esigenze ritmiche.
L’orchestrazione di queste sei opere ha una sicurezza di tocco e un gusto del colore strumentale che non deve niente ai suoi predecessori. Da ragazzo Schubert aveva suonato ed aveva diretto l’orchestra studentesca del Convitto di Vienna e questa esperienza, durata cinque anni, fu di valore immenso, come dice William Mc Naught.
Schubert imparò l’orchestrazione suonando in orchestra; non un complesso altamente professionale che poteva suonare qualsiasi pezzo, ma un gruppo di giovani esecutori per i quali era essenziale che la scrittura orchestrale fosse adatta alle loro reali possibilità strumentali.
Non si conosce esattamente, neppure alcun amico di Schubert lo ricorda, il repertorio di questa orchestra di collegio. Si racconta che suonassero sinfonie di Haydn e di Mozart (la sinfonia in sol) come Krommer, Kozeluch, Mehul, Weigl figuravano nei loro concerti. Per questo gruppo di giovani Schubert scrisse le prime due sinfonie e forse la terza.
Fra la terza e la quarta sinfonia Schubert scrisse – basta guardare i numeri del catalogo Deutsch – qualcosa come duecento opere. La Messa n. 3, due operette, fra cui la sfortunata Claudine von Villa Bella, le tre sonate per pianoforte e violino, il quartetto per archi in mi magg., molte danze per pianoforte e un gran numero di Lieder, fra cui Erlkoenig, che finì nell’aprile 1816 nello stesso tempo in cui si accingeva a scrivere la sua sinfonia in do min.
I giorni di scuola erano ormai lontani e se la sinfonia fu eseguita, lo fu non nell’ambito dei concerti dell’orchestra del collegio ma da una orchestra privata che si fondava sul quartetto d’archi formato dalla famiglia Schubert (una prima esecuzione di cui si ha traccia è quella del 19 novembre 1849 realizzata dalla società musicale «Euterpe»).
Il titolo «Tragica» ha dato origine ad un gran numero di osservazioni, che di solito non fanno che sottolineare come questo titolo sia poco appropriato. Anche se la sinfonia di Schubert è in una tonalità minore, anche se, occasionalmente, adotta toni gravi, essa non porta traccia alcuna di dramma; e i procedimenti con cui si sviluppa il materiale tematico sono puramente musicali.
Schubert aggiunge al suo manoscritto la parola Tragische qualche tempo dopo aver finito la sinfonia (27 aprile 1816). Può questo fatto suggerirci qualche chiave interpretativa? Forse potremmo concludere che l’impulso da cui nasce questa musica non era, dapprima, formulato come tragico. Ma questo dare un titolo ad un’opera scritta nella classica forma sonata è rimarchevole; e Schubert lo fece per la prima volta in questa occasione e in questa sola.
E’ vero altresì che molti dei suoi manoscritti giovanili portano talvolta commenti chiaramente umoristici, ragazzate impertinenti. Curioso è il caso per esempio del manoscritto della Musica funebre D. 79; le parole «Franz Schuberts Begräbnis-Feier» sono, come ha sottolineato Franz Racek, di pugno dell’autore e questo pezzo – «Funerale di Franz Schubert» – segnò probabilmente il suo «decesso» come allievo del Convitto di Vienna. Nessuno, ascoltando questa musica, penserebbe ad una solenne marcia funebre. E’ il titolo Tragische un altro dei commenti scherzosi o ironici di Schubert? C’è forse un riferimento pieno di rammarico al tragico fallimento di una sua esecuzione nelle mani di una società orchestrale privata? E’ una ipotesi tirata per i capelli e forse del tutto estranea al lettore, ma una sua qualche validità servirà a rimuovere quella tendenza a «gonfiare il materiale oltre i suoi limiti naturali», come scrisse un critico viennese dopo una grandiosa esecuzione della sinfonia. Per questo titolo si animò nel secolo XIX la speranza che Schubert era sulla strada giusta – quella segnata da Beethoven – e le speranze furono costrette ad essere confuse applicando a queste sinfonie standard di giudizio beethoveniani. Presi di per sè, i quattro movimenti danno un puro piacere all’ascoltatore che farà meglio a dimenticare tutto quello che riguarda il titolo Tragische.
Maurice J.E. Brown

Zsolt Hamar:
Nato a Budapest nel 1968, ha iniziato giovanissimo gli studi pianistici e di composizione presso il Conservatorio della sua città, proseguendo all’Accademia Franz Liszt dove si è diplomato in composizione ed in direzione d’orchestra.
E’ stato premiato in importanti concorsi internazionali tra cui il Concorso Internazionale della Televisione Ungherese, il Concorso Internazionale della Radio Portoghese (primo premio), ed il Concorso Internazionale Pedrotti (primo premio e premio speciale della giuria).
Dal 1994 Zsolt Hamar ha intrapreso un’intensa attività artistica. Ha diretto tutte le più importanti orchestre ungheresi (Orchestra Sinfonica Statale Ungherese, Orchestra Sinfonica di Budapest, Orchestra del Festival di Budapest, Orchestra Filarmonica di Budapest, Budapest Concert Orchestra, Orchestra Sinfonica Ungherese, Savaria Symphony Orchestra, BM Duna Symphony Orchestra ed Orchestra Sinfonica “E. Dohnanyi “) ed e’ stato direttore principale dell’Orchestra Filarmonica Nazionale Ungherese dal 1997 al 2004.
Come direttore ospite ha diretto in Germania (Deutsches Symphonie-Orchester di Berlino, Philharmonisches Orchester di Dortmund), Austria (Wiener Kammer Orchester), Belgio (Vlaams Symfonisch Radio Orkest), Italia (Orchestra di Padova e del Veneto, Orchestra del Teatro Lirico di Cagliari, Orchestra Haydn di Trento e Bolzano, Accademia di San Giorgio, Orchestra del Lazio), Danimarca (Vestjysk Synfoniker, Aalborg Symfoniorkester), Spagna (Orchestra Sinfonica di Cadaques), Slovenia (Slovenian Philharmonic Orchestra), Polonia (Orchestra della Radio Polacca), Portogallo (Orchestra del Teatro Nazionale di Lisbona), Romania, Repubblica Ceca e Giappone.
E’ oggi “Primo Direttore Ospite” dell’Orchestra di Padova  e del Veneto.

Luca Lucchetta

Diplomatosi a pieni voti presso il Conservatorio di Venezia sotto la guida di G.Bacchi, si è successivamente perfezionato all’Accademia Internazionale Superiore di Biella con A.Pay, del quale è stato successivamente assistente in occasione di numerosi corsi di perfezionamento.
Oltre ad avere al suo attivo un’intensa attività cameristica che lo ha portato ad esibirsi con grandi nomi del mondo musicale, ha suonato con le orchestre di Napoli, Venezia, Treviso, Milano (Teatro alla Scala), Parma e Genova con importanti direttori quali Sinopoli, Maag, Maazel,  Oren,  Bertini.
Nel 1996 ha inaugurato in veste di solista le “Giornate Busoniane” di Empoli, eseguendo il Concertino per clarinetto e orchestra di F.Busoni.
Attualmente ricopre il ruolo di primo clarinetto solista dell’Orchestra di Padova e del Veneto.
Ha preso parte a numerose incisioni discografiche per le case Claves, Pilz e Ricordi.

Orchestra di Padova e del Veneto
L’Orchestra di Padova e del Veneto, si è costituita nell’ottobre 1966 e, nel corso di quasi quarant’anni di attività, si è affermata come una delle principali orchestre da camera italiane nelle più prestigiose sedi concertistiche in Italia e all’estero.
L’Orchestra è formata sulla base dell’organico del sinfonismo “classico” ed il suo primo violino dalla fondazione è Piero Toso.
Peter Maag – il grande interprete mozartiano – ne é stato il direttore principale dal 1983 al 2001. Oggi Zsolt Hamar è il Primo direttore ospite.
Alla direzione artistica si sono succeduti Claudio Scimone (dalla fondazione al 1983), Bruno Giuranna (dal 1983 al 1992), Guido Turchi (1992-93) e più recentemente (2002-2003) Mario Brunello ne é stato il direttore musicale.
L’attuale programmatore artistico dell’Orchestra è Filippo Juvarra, che collabora con la stessa dal 1984 ed ha contribuito decisivamente a dare continuità al profilo artistico e musicale definito, dopo il 1983, da Bruno Giuranna e Peter Maag. Per questo suo lavoro Filippo Juvarra ha ricevuto nel   2002 il Premio della Critica Musicale Italiana “Franco Abbiati”.
La vita artistica dell’Orchestra annovera collaborazioni con i nomi più insigni del concertismo internazionale di cui ricordiamo: Accardo, Argerich, Ashkenazy, Barbirolli, Bashmet, Bream,  Buchbinder, Campanella, Chailly,Gavazzeni, Goebel, Hogwood,  Koopman, Lupu, Maisky, Melles, Mullova,  Mutter, Nanut, Perahia,  Perlman, Rampal, Richter,Rostropovich, Santi, Starker, Stoltzman, Szeryng, Ughi, Vegh, Zimerman.
Particolare significato ha assunto negli ultimi anni la collaborazione con Vladimir Ashkenazy con cui l’Orchestra ha effettuato numerose tournées (Italia, Austria, Svizzera e Giappone), e con cui ha inciso per l’etichetta giapponese Octavia  (Tokyo, 2004) i Concerti di Mozart K 453 e K 466.
L’Orchestra ha dato, attraverso la propria produzione concertistica, un grande impulso alla vita musicale di Padova e del Veneto e, per questo impegno, è stata riconosciuta dallo Stato come l’unica istituzione concertistico – orchestrale operante nel Veneto e le è stata riconosciuta nel 1994 la personalità giuridica da parte della Regione del Veneto.
L’Orchestra, realizza circa 130 concerti l’anno, con una propria stagione a Padova, nella Regione Veneto, concerti in Italia e all’estero e nelle maggiori Società di concerto e Festival.
A partire dal 1987 ha intrapreso una vastissima attività discografica, oltre cinquanta incisioni, per le più importanti etichette, della quale segnaliamo: Concerti di Bach BWV 1054 e BWV 1058 e il Concerto K 503 di Mozart con Richter e Bashmet (Teldec), i Concerti per violoncello di Boccherini diretti da Giuranna con Geringas (Claves-Grand Prix du Disque 1989), “La Betulia liberata” di Mozart con. Maag (Denon), i Concerti per violino e la Sinfonia Concertante di Mozart con Gulli e Giuranna (Claves), l’Integrale delle Sinfonie di Beethoven con Maag (Arts), il Concerto K 466 di Mozart con. Argerich (Teldec), “L’Isola disabitata” e “La fedeltà premiata” di Haydn con Golub (Arabesque), i Concerti per violino di Haydn con Tchakerian (Arts), i Concerti per pianoforte di Mozart K 595 e K 271 e di Haydn Hob:XVIII.11 con Luisada e   Meyer in due CD incisi per la BMG-France.