Autori vari - I Pomeriggi Musicali - Teatro Dal Verme

Le date

Sala Grande
giovedì 03 aprile 2003
Ore: 17:00
sabato 05 aprile 2003
Ore: 21:00

Giovedì 3 aprile, ore 21
Sala Grande del Teatro Dal Verme di Milano
Venerdì 4 aprile, ore 21
Teatro Cagnoni, Vigevano,
Sabato 5 aprile, ore 17
Sala Grande del Teatro Dal Verme di Milano

Direttore:
Dmitry Sitkovetsky
Violoncello:
Umberto Clerici
Orchestra:
Orchestra I Pomeriggi Musicali

Programma:
Igor Stravinskij (1882 –1971)
Pulcinella , suite
Ouverture: Allegro moderato
Serenata: Laghetto (Scherzino – Allegro – Andantino)
Tarantella
Toccata: Allegro
Gavotta: Allegro Moderato
Variazione Ia: Allegretto
Variazione IIa: Allegro piuttosto moderato
Duetto
Minuetto: Molto moderato – Finale: Allegro assai

Richard Wagner (1813- 1883)
Idillio di Sigfrido

Camille Saint-Saëns (1835-1921)
Concerto n. 1 in La minore per violoncello e orchestra op. 33
Allegro non troppo
Allegretto con moto
Un peu moins vite

Il Concerto
a cura di Chiara Bombarda
Nelle lezioni di poetica musicale tenute durante l’anno accademico 1939-40 presso l’Università di Harvard, Igor Stravinskij illustrò agli studenti di composizione la propria estetica. Di fatto difese le proprie scelte, il “neoclassicismo” e, più in generale, l’atteggiamento nei confronti della “materia musicale” sottesa alla sua prassi creativa. “Non so che farmene di una libertà teorica – spiegava agli studenti. Mi si dia qualche cosa di limitato, di definito, una materia che possa servire al mio operato… Questa avrà dei limiti, che mi imporrà; io, a mia volta, le imporrò i miei”. Ironico nei confronti dei miti romantici di artista e ispirazione, Stravinskij pensava alla composizione musicale come a un processo dialettico tra due poli che nel confronto escono rinnovati: la materia, ovvero forme e linguaggi musicali preesistenti, e il musicista, con i propri stile e cultura.

Il Pulcinella (1920), su musiche del Settecento, inaugura la lunga stagione creativa neoclassica (1920-51). L’atteggiamento di Stravinskij nei confronti del passato non è né semplice accademismo né puro gusto della parodia; egli guarda al linguaggio musicale classico come un artigiano la materia: l’obiettivo non è riproporre la tradizione classica ma farne qualcosa di nuovo e di vivo nel presente. “Pulcinella – spiegò il compositore – fu la mia scoperta del passato, l’epifania attraverso la quale tutto il mio lavoro ulteriore divenne possibile: fu uno sguardo all’indietro naturalmente – la prima di molte avventure amorose in quella direzione – ma fu anche uno sguardo allo specchio”. Questa svolta, cruciale nella carriera artistica dell’autore che fino a quel momento si era mossa sul terreno della tradizione musicale russa, avvenne per caso. Forte del recente successo di due balletti su musiche di Domenico Scarlatti e Gioacchino Rossini, Diaghilev, l’impresario dei celebri Ballets russes parigini per il quale Stravinskij aveva già composto l’Uccello di fuoco, Petrouschka e la Sagra della primavera, gli aveva chiesto di orchestrare alcune pagine di Pergolesi. Sulle prime il compositore era stato esitante, ma dopo avere visto le partiture se ne innamorò. Naturalmente non si limitò a una semplice orchestrazione, ma rielaborò profondamente il materiale musicale (tratto dal repertorio teatrale e strumentale di Pergolesi, che la critica posteriore dimostrò essere solo in parte autentico) portando in primo piano i procedimenti che considerava tipici della musica italiana del Settecento. È un colto esercizio di distanza storica, da cui trapela una diverta ironia. Stravinskij apparentemente rispetta principi, forme e ritmiche del linguaggio classico ma vi introduce delle continue sfasature melodiche, armoniche o timbriche che disorientano l’ascoltatore radicando la pagina nel presente. L’organico strumentale, senza clarinetti né percussioni ma con due corni, una tromba e un trombone e la suddivisione degli archi in concertino (quintetto solo) e ripieno, ricalca quello dell’orchestra pre-classica. Il Pulcinella debuttò al Teatro dell’Opera di Parigi nel maggio del 1920 e fu uno spettacolo riuscitissimo stando al suo autore, in cui i diversi elementi (soggetto, musica, coreografia, complesso decorativo) formavano un tutto coerente e omogeneo. Totale, in particolare, fu l’intesa con Picasso, che disegnò la scenografia e i costumi.

Nella riduzione a Suite, di due anni posteriore (1922), Stravinskij scelse 11 dei 18 numeri del balletto. Sono pezzi brevi, ognuno con una propria autonomia di carattere, in cui lo scherzo parodistico si fa via via più palese fino a diventare eclatante nel terzultimo brano, un Duetto di carattere grottesco, e nel febbrile Allegro assai finale in cui la formula di chiusura viene ripetuta fino all’ossessione come se l’arguto divertimento non volesse mai finire.

L’Idillio di Sigfrido è una delle poche pagine sinfoniche di Richard Wagner e sicuramente la più famosa. Un destino singolare se si pensa che questo lavoro avrebbe dovuto essere del tutto estraneo alle sale da concerto. Si tratta infatti di un omaggio alla moglie Cosima per il suo trentatreesimo compleanno e a parte rare occasioni, su esplicita concessione della coppia, non sarebbe dovuto uscire dalle mura domestiche se otto anni più tardi Wagner non fosse stato costretto a pubblicarlo per far fronte a un urgente bisogno di soldi.

Nell’agosto del 1870 Richard e la compagna si erano finalmente sposati grazie all’annullamento del precedente matrimonio di Cosima, regolarizzando così un’unione che nel giugno dello stesso anno era stata coronata dalla nascita dell’atteso figlio maschio, il piccolo Sigfrido. La coppia viveva in Svizzera, a Tribschen, in una villa che era diventata un sereno e fecondo rifugio al riparo dalle maldicenze che avevano avvelenato il loro legame a Monaco. Wagner era in uno stato di grazia e la felicità raggiunta si riflette in questo lavoro scritto nel novembre del 1870.

La “prima” fu una sorpresa per Cosima: le note dell’Idillio la accolsero la mattina di Natale del 1870, quando uscì con i bambini. Il piccolo ensemble, di 13 strumentisti, era disposto sulle scale della villa; lo dirigeva lo stesso Wagner e tra il pubblico c’era il giovane Nietzsche. Durante la giornata arrivarono altri amici e il pezzo fu ripetuto altre due volte. Nella dedica apposta al manoscritto il brano era intitolato semplicemente Idillio di Tribschen ma si faceva riferimento alla recente nascita di Sigfrido avvenuta in una luminosa e colorata alba di giugno.

Wagner scelse un organico ristretto perché si tratta di un “idillio” e perché destinato a una esecuzione domestica. Di fatto si limitò ai legni (flauto, oboe, clarinetti primo e secondo, fagotto, corni primo e secondo) e agli archi (violini primo e secondo, viola, violoncello e contrabbasso) fatta eccezione per la breve incursione della tromba, solo 13 battute, a sottolineare il momento culminante dell’Idillio.

Benché si tratti di un lavoro strumentale, la tecnica compositiva è quella definita da Wagner in ambito drammaturgico. Non vi sono cesure ma un flusso ininterrotto di suoni, intessuto da una trama di motivi in cui si dipana una storia non scritta. L’Idillio di Sigfrido è un poema sinfonico senza testo il cui contenuto non sfuggiva però a Cosima che conosceva l’origine e il significato dei motivi che lo attraversano. I due temi principali, il “motivo della purezza” e i “motivi del mondo”, erano stati usati da Wagner nel duetto d’amore di Brunilde e Sigfrido nella seconda giornata della Tetralogia ma non è solo al Sigfrido che Wagner pensa quando scrive questa pagina sinfonica. Allude anche a un più vecchio progetto musicale cui aveva messo mano nel luglio del 1864 e che avrebbe dovuto suggellare la felicità raggiunta con Cosima. E a confermare che l’Idillio è un lavoro intimo riservato alla propria famiglia è la citazione di un frammento di ninnananna intonato dall’oboe sullo sfondo degli archi che qualche anno prima il compositore aveva annotato per la figlia Eva.

L’ascolto della pagina è di rara suggestione; sorprendentemente cangiante dal punto di vista timbrico, preserva tuttavia la riconoscibilità dei temi nel gioco contrappuntistico delle parti proprio grazie a un abilissimo uso dei colori. Sopra tutti cattura il “motivo della purezza” che impersona Sigfrido: semplice e trasognato si annuncia sin dalle prime note nella voce del primo violino e poi torna incessantemente soggetto a una trasformazione che ne altera il contorno timbrico e armonico senza perderne però la forte connotazione primaria.

Con il Concerto in La minore per violoncello e orchestra op. 33 Camille Saint-Saëns (1835 – 1921) ottenne finalmente il riconoscimento che meritava. L’opera ebbe infatti l’onore di debuttare durante la stagione del Conservatorio, evento rarissimo, perché la massima istituzione musicale parigina prediligeva i grandi autori del passato ed era praticamente inaccessibile ai viventi. A tenere a battesimo il Concerto fu la violoncellista Auguste Tolbecque, dedicataria della pagina, che lo eseguì con successo nel gennaio del 1873. Saint-Saëns aveva 38 anni e un passato carico di esperienze alle spalle. Compositore, pianista e organista, ma anche organizzatore (nel 1871 aveva fondato la Société Nationale de Musique), arguto scrittore e viaggiatore curioso, il musicista compose l’opera 33 nel 1872, in un periodo che lo vedeva contemporaneamente impegnato sul fronte pubblicistico a difesa della nuova musica francese ingiustamente surclassata nelle sale da concerto dal repertorio tedesco.

Nella sua lunga carriera artistica Saint-Saëns si misurò con tutti i generi musicali, fu tra l’altro il primo tra i compositori colti a scrivere musica da film (1908), ma il suo terreno ideale furono le forme classiche che si sposavano con il suo amore per l’ordine e l’equilibrio formale. Il Concerto in la minore per violoncello è un esempio felice del suo stile che per certi versi anticipa il neoclassicismo novecentesco; elegante nella scrittura, sotto il profilo emotivo alterna momenti tesi e drammatici a episodi di nitore settecentesco; per quanto riguarda invece il rapporto tra solista e orchestra, dosa gli interventi in modo che l’uno non prevalga mai sull’altro. La parte del violoncello è ricca di sfumature espressive e mette in mostra le potenzialità tecniche del solista senza però indulgere a virtuosismi inutili. Fu uno dei pezzi preferiti di un grandissimo interprete dello strumento, Pablo Casals, che lo scelse per il debutto londinese nel 1905.

Dal punto di vista strutturale il Concerto in la minore è in un unico movimento, articolato però in tre sezioni separate da doppia barra di battuta che di fatto sono tre veri e propri movimenti, autonomi per forma e carattere ma collegati da una rete di rimandi interni. Il risultato è una forma ciclica che consegue la coesione attraverso la ripetizione variata del tema principale del primo tempo.

Un solo accordo e il canto appassionato del violoncello irrompe sulla scena con un gesto di ricercata teatralità: il primo movimento, Allegro non troppo, attacca così, con un tema carico di pathos, sorta di filo rosso che lega in un dialogo serrato solista e orchestra e che tornerà in chiusura delle due sezioni successive. Strutturalmente il modello è la forma-sonata, con un secondo tema lirico, contrastante per spirito e andamento, ma dopo l’esposizione del primo tema Saint-Saëns si limita a accennarlo. Lo si ascolterà per esteso a sviluppo concluso, servendo tra l’altro da trait d’union con il movimento successivo.

Un breve silenzio e lo scenario cambia completamente. L’autore fu un cultore del passato e molte sue pagine si ispirano a antiche danze francesi (bourré, gavotte e minuetti). Qui sono gli archi a portarci indietro nel tempo, mentre intonano all’unisono un gentile motivo di danza. È l’idea principale del movimento centrale, un Minuetto (Allegretto con moto), che al posto del tradizionale Trio presenta uno spunto tematico affatto diverso per ispirazione. Si tratta infatti di una seducente melodia che occhieggia al valzer. Un passo solistico precede la consueta ripresa del Minuetto. La novità arriva dopo la Coda, quando a sorpresa riascoltiamo il tema principale del primo tempo, con un tono però del tutto nuovo, a partire dal timbro, che vede l’oboe protagonista su un impasto orchestrale di fiati. L’ultima sezione (Un peu moins vite) è in forma di canzone tripartita (ABA). I due temi, intensi e cantabili, sono affidati al violoncello impegnato a più riprese in passaggi di acrobatico virtuosismo. Infine, a legare l’inizio con la fine, torna per l’ultima volta il motivo che apre il Concerto. È un ulteriore e differente sguardo all’idea primaria della pagina, in un clima sonoro agitato che ci trasporta in pieno romanticismo.

Dmitry Sitkovetsky
Violinista e Direttore d’Orchestra
Come violinista ha collaborato con le più importanti orchestre: la Filarmonica di Berlino, la Gewandhaus di Lipsia, l’Orchestra Sinfonica di Londra, la BBC Symphony Orchestra, le Orchestre di Chicago, Philadelphia, Los Angeles, New York e Cleveland e molte altre. E’ stato ospite al Festival di Salisburgo e ai Festival di Lucerna, Edinburgo, Verbier, Ravinia e Mostly Mozart, oltre che regolarmente dei BBC Proms. Parallelamente a quella di solista ha condotto un’importante carriera di direttore: è Direttore Principale e Sovrintendente Artistico della Ulster Orchestra, con la quale ha tenuto un esteso tour che lo ha portato a Madrid, Amsterdam, Monaco, Stoccarda, Hong Kong e nel Regno Unito con Lynn Harrell come solista. E’ inoltre fondatore e direttore della NES Chamber Orchestra che comprende rinomati musicisti provenienti da tutto il mondo. Con loro ha tenuto diversi tour in festival e teatri d’Europa ed ha prodotto diverse registrazioni. E’ stato anche Direttore Ospite dell’Academy of St. Martin in the Fields, della BBC Philharmonic, MDR Leipzig e della NDR Hannover, dell’Accademia di Santa Cecilia, della Bergen Philharmonic, della Hong Kong Philharmonic Orchestra, della Stuttgart Chamber Orchestra, della Munich Chamber Orchestra e delle Los Angeles e St. Paul Chamber Orchestra.

Umberto Clerici
Nato a Torino nel 1981, Umberto Clerici ha iniziato lo studio del violoncello all’età di 5 anni presso la Scuola Suzuki della sua città con il prof. Antonio Mosca. Vincitore di numerosi premi, borse di studio, concorsi nazionali (tra i quali due volte primo premio a Vittorio Veneto) e del Secondo Premio all’ VIII edizione del Concorso Internazionale di violoncello “Lorenzo Perosi” di Biella, si è diplomato nell’ottobre 2000 con il massimo dei voti e la lode presso il Conservatorio “G. Verdi” di Torino sempre sotto la guida del prof. Mosca e gli è stato consegnato il premio “Giuseppe Berrino” per il miglior diploma di violoncello del 2000. Nel 2002 ha vinto il concorso indetto dall’Associazione Nazionale I.C.O. a Roma che lo porterà a esibirsi da solista nelle stagioni concertistiche di 12 tra le principali orchestre italiane. Ha partecipato alle master classe di Georg Faust, attuale primo violoncello dei Berliner Filarmoniker, e di Mario Brunello presso la prestigiosa “Accademia Chigiana” di Siena. Per due anni ha frequentato il corso speciale di David Gèringas alla Scuola di musica di Fiesole e, dal 1999, partecipa a quello di Mario Brunello presso la fondazione “Romano Romanini” di Brescia. Dal 2000 segue inoltre le lezioni di Enrico Dindo presso l’Accademia Rolla di Pavia. Nell’aprile del 1999 ha eseguito in Giappone il Concerto in Re Maggiore di Haydn con l’Orchestra Filarmonica di Matsumoto. Da sempre svolge una intensa attività cameristica; ha collaborato con artisti quali Massimo Quarta, Domenico Nordio ed Enrico Dindo. Dall’aprile 2001 fa parte del Trio di Torino con il quale, oltre ad esibirsi in prestigiose sale, ha inciso i due Trii di Rachmaninoff per la Real Sound di Udine. Su invito del M° Dindo collabora inoltre con “I solisti di Pavia”. Beneficia di una borsa di studio triennale De Sono in memoria di “Giovanni Protto”. Suona un violoncello Gaetano Antognazzi del 1864 della fondazione Pro-Canale Onlus di Milano.