Le date
Giovedì 18 novembre, ore 21
Sabato 20 novembre, ore 17
Sala Grande del Teatro Dal Verme
Direttore e pianoforte:
Maurizio Zanini
Orchestra:
Orchestra I Pomeriggi Musicali
Programma:
Wolfgang Amadeus Mozart (1756 – 1791)
Cassazione K.63 in Sol maggiore
Marcia
Allegro
Andante
Minuetto
Adagio
Minuetto
Finale: Allegro assai
Franz Joseph Haydn (1732 – 1809)
Concerto per pianoforte e orchestra Hob.VIII/11 in Re maggiore
Vivace
Un poco Adagio
Rondò all’Ungherese: Allegro assai
Wolfgang Amadeus Mozart
Rondò per pianoforte e orchestra K.386 in Re maggiore
Allegretto
Franz Joseph Haydn
Sinfonia n.87 in La maggiore
Vivace
Adagio
Minuetto
Finale: Vivace
Il Concerto
di Andrea Dicht
In genere per “classicismo viennese” si intende l’epoca di Haydn, Mozart e Beethoven, pur con tutte le riserve connesse all’inclusione di quest’ultimo sotto questa luce estetica. Uno sguardo a qualche dettaglio anagrafico ci mostra, però, alcuni dati sui quali è bene riflettere. Innanzitutto, la vita di Haydn: nasce quando Bach a Lipsia sta lavorando alla Messa in Si minore, muore quando Mozart è già scomparso da quasi venti anni e Beethoven ha già scritto la Quinta e la Sesta Sinfonia. La vita di Mozart è stata notoriamente piuttosto breve, anche se intensa: nasce solo sei anni dopo la morte di Bach, e muore pochi mesi prima che Beethoven decida di trasferirsi a Vienna.
Queste coordinate temporali inquadrano un periodo che copre quasi un secolo (1832: nascita di Haydn, 1827: morte di Beethoven) e sulla sua suddivisione in sottoperiodisi sono impegnati molti storici, giungendo alle conclusioni più disparate, non ultima l’ipotesi di un “modernismo” viennese, dalle caratteristiche quanto mai vaghe. Nonostante l’ampiezza del periodo del classicismo e la varietà di correnti che lo informarono, è nondimeno possibile scorgere molti tratti che uniscono e danno corpo ad un’epoca della storia della musica che fu cruciale almeno quanto lo furono il barocco ed il romanticismo. Il concerto di questa sera ci offre un panorama assai significativo della musica che fu scritta sotto quella temperie culturale, in particolare negli anni 1769-1785.
La Cassazione K.63 di Mozart è un brano in sette movimenti composto da un Mozartappena tredicenne. Il 1769 fu un anno singolare nella biografia di Mozart: ancora adolescente, Wolfgang ha già girato in lungo e in largo l’Europa, Londra compresa (a dicembre intraprenderà il primo viaggio in Italia e sarà a Milano al volgere dell’anno seguente), ma per il momento è a Salisburgo, sotto l’ala protettrice del padre, in attesa di essere nominato maestro di concerti (Hofkonzertmeister, ma senza stipendio!) della corte arcivescovile della sua cittadina. E’ un anno di quiete, e Mozart può tornare a studiare dopo i successi delle sue esibizioni; ma produrrà poco, e la Cassazione che apre la nostra serata è uno degli scarsi prodotti di quell’anno. Produzione povera ma di grande livello: nonostante si tratti di “musica di consumo”, il Mozart che ci appare da questa partitura è già maturo, e il suo stile appare sempre più solido.
La tradizione accademica salisburghese fa derivare la parola “cassazione” da gassatim-gehen (“andare per le vie”), un’espressione popolare nella Salisburgo goliardica del XVII e XVIII secolo. Di notte gli studenti percorrevano le vie della città per andare a disporsi solennementesotto le finestre di un professore, di un compagno, o di una fanciulla, e fare omaggio di una serenata al soggetto prescelto. E’ una piccola serenata di strada, e come tale va preso questo brano di Mozart (il fatto che si apra con una Marcia tradisce l’intenzione itinerante di questa musica). D’altronde Salisburgo era, da questo punto di vista, una città musicale almeno quanto Vienna: la corte arcivescovile, la nobiltà, la borghesia, gli studenti, gareggiavano nell’organizzare serate musicali all’aperto, e tanto Michael Haydn quanto lo stesso Leopold, il padre di Wolfgang, fornirono esempi eccellenti di questo genere di produzione. Nonostante la destinazione d’occasione, si tratta quasi sempre di musica di ottimo livello, comunque plasmata sul modello dell’antica suite strumentale e a sua volta importante precedente della forma del quartetto d’archi.
La Cassazione di Mozart è per archi, due corni e due oboi, e si svolge complessivamente su toni leggeri, affatto drammatici e lontani dal Mozart tormentato che conosceremo negli anni della maturità. Se l’atmosfera complessiva è quella del divertissement, vanno però notati l’Andante e l’Adagio che sono contenuti nella Kassation; sono pagine di grande livello, la seconda guidata da un violino solista, e sono il vero segno dal quale possiamo scorgere il futuro di un compositore solo tredicenne.
A differenza dei tormenti di Mozart e della complessità della biografia e della personalità di Beethoven, Haydn fu un uomo di successo, un musicista di corte ma anche un autore acclamatissimo ancora quando era in vita. A metà degli anni Ottanta (il periodo in cui compone il Concerto e la Sinfonia stasera in programma) era il musicista più stampato in Francia ed Inghilterra. Nel 1784 l’”European Magazine” è già uscito con una biografia del compositore; l’Italia, terra madre della musica strumentale, lo considera un maestro e nel 1780 la Società Filarmonica di Modena lo iscrive tra i suoi membri. E’ il Corelli di qualche generazione successiva, aiutato però da più efficaci mezzi di diffusione e da possibilità di spostamento più agevoli. Come nel caso di Corelli, abbondano i falsi: editori e copisti non hanno scrupoli a pubblicare sotto il suo nome musiche di suo fratello Michael, di Dittersdorf, di Vanhal e di Leopold Hofmann (questo è stato uno dei problemi più ardui per i moderni studiosi che si sono impegnati a redigere il catalogo completo e storicamente accertato del suo immenso corpus di composizioni).
A dispetto di almeno 104 sinfonie di indubbia paternità, una profusione di musica da camera per formazioni assai varie, opere teatrali e musica sacra, la produzione di Haydn per strumento solista è proporzionalmente abbastanza contenuta e quasi tutta pensata per i solisti dell’Orchestra di Corte del Principe Esterházy. E’ il caso dei due concerti per violoncello, dei tre per corno, dei tre per violino e di quello per tromba. Per pianoforte (o meglio clavicembalo), Haydn compose otto concerti, ma di essi solo quattro nascono espressamente per il cembalo (gli altri sono “anche per organo”) e forse solo quello stasera eseguito, l’ultimo composto in ordine di tempo, sembra adatto ad un’esecuzione pianistica.
Composto tra il 1780 ed il 1784, pubblicato nel 1784 dallo storico editore Artaria di Vienna, il Concerto di re maggiore è tagliato in tre movimenti di andamento contrastante e, come negli altri concerti solistici di Haydn, non presenta l’inventiva, la fantasia e la modernità che siamo soliti riscontrare nei suoi lavori sinfonici. Haydn non amava particolarmente questa forma e non era un pianista eccezionale e, di conseguenza, non troviamo nella sua opera per tastiera particolari virtuosismi.
Il Vivace che apre il Concerto si fonda sostanzialmente tutto sul temache espongono i primi violini, accompagnati dai secondi e dalle viole, tema successivamente esposto da tutta l’orchestra (archi con due oboi e due corni) e sviluppato in moltissime figurazioni sempre chiaramente riferibili a quella originale. Da notare l’uso antiquato di collocare spesso alla mano sinistra del solista la linea del basso, a suggerire un riempimento delle armonie del tutto collegabile alla pratica del basso continuo. La presenza sporadica di cifre per la sua realizzazione è costante nei tre movimenti.
Di diverso tenore ma di struttura simile è il movimento lento di questo brano, Un pocoAdagio, anch’esso informato complessivamente dal solo tema d’apertura, e anche stavolta presentato dai violini su uno sfondo di note ribattute degli archi gravi. E’ un tema semplice, particolarmente adatto ad essere variato, e sarà il solista, sempre sostenuto dall’orchestra, ad esibirsi in un’ornamentazione assai pronunciata di ogni suo dettaglio. E’ in questa pagina che scorgiamo l’eredità dello stile galante e di un retaggio clavicembalistico che, ancora in quegli anni, informava la scrittura per tastiera. Non va dimenticato che, per ragioni anche economiche (il clavicembalo era ancora a fine Settecento lo strumento più diffuso nelle residenze borghesi), le prime opere per pianoforte o fortepiano di Beethoven uscivano ancora in stampa dedicate a questo strumento, principe dell’epoca barocca.
Conclude il Concerto un Rondò all’Ungarese, Allegro assai, di taglio fortemente caratteristico, tutto impregnato di elementi musicali desunti dal folklore ungherese (o, forse, croato), evidenti, oltre che nel vivacissimo ritmo di danze, nelle brusche virate verso il modo minore caratteristiche della musica popolare balcanica.
Assai diverso è il tono generale e la storia del Rondò di Mozart K.386 per pianoforte e orchestra (ancora formata da archi, con due oboi e due corni). Si tratta di un movimento unico, in tempo Allegretto, ed è ben lontano dal “fuoco” del rondò di Haydn. Qui i toni sono pacati, almeno in superficie, e il fuoco, se c’è, è ben celato da una scrittura priva di particolari scarti emozionali, men che meno di origine folklorica. E’ una pagina singolare, questa, difficile da inscrivere nell’universo dei 27 concerti che Mozart ha dedicato al suo strumento d’elezione. Probabilmente composto per uno dei suoi concerti per sottoscrizione (antenati dei moderni concerti a pagamento), questo rondò è stato spesso considerato come un finale alternativo al coevo Concerto K.414 in la maggiore. In realtà, Mozart non eseguì mai questo brano in coda al Concerto K.414 e Béla Bartók, uno dei primi pianisti a proporlo in sala da concerto, lo considerò sempre come un brano a sé stante. Creato nel 1782, la storia del suo manoscritto merita attenzione e spiega le ragioni della comparsa così tardiva di questo brano nel repertorio concertistico dei pianisti.
L’editore André aveva acquistato il manoscritto insieme a tutto il lascito di Mozart alla sua morte e, ritenendolo erroneamente un brano incompiuto, lo vendette al londinese W. Sterndale Bennett nel 1840. Nel 1839, però, P. Hambly Cipriani Potter aveva pubblicato presso la casa editrice Coventry una sua propria elaborazione per pianoforte solo basata sull’originale (che a quanto pare tanto incompleto non era) ma Bennett “tagliò” in vari pezzi i fogli autografi e li regalò ai suoi amici. Il musicologo Alfred Einstein fu il primo a rinvenire due di questi pezzi in giro per il mondo. Sulla base di poche misure ricostruì il brano e lo pubblicò, ma successivamente A. Hyatt-King riuscì a scovare quasi tutti i pezzi rimanenti, per lo più in Inghilterra, e ricostruì il brano così come possiamo ascoltarlo oggi, in particolare grazie alla traccia complessiva assicurata dalla trascrizione per pianoforte solo del 1839.
Pagina di forma aggraziata e tenera, in realtà contiene difficoltà assai ardue, così com’è nel miglior stile di Mozart, una scrittura pianistica del tutto affrancata da qualunque eredità clavicembalistica, ed ogni virtuosismo che vi è connesso è celato sotto uno stile che evita sempre la magniloquenza e la velocità, caratteristiche queste di un solismo che appartiene solo alle generazioni successive a quella di Mozart. Anche l’orchestra mostra un suono diverso da quello di Haydn, e ne è traccia l’uso dei violoncelli come parte separata dalla linea del basso. In realtà si tratta di un espediente tecnico abbastanza raro anche in Mozart, ma del quale si può rilevare una traccia sia nelle Nozze di Figaro (aria “Voi che sapete”) che nel Don Giovanni (aria con violoncello solista).
Al di là di ogni differenza estetica, Haydn e Mozart intrattennero molti rapporti, in genere cordiali ed improntati a reciproca stima: Haydn vedeva in Mozart il genio e allo stesso tempo Mozart vedeva in Haydn un maestro da seguire e da studiare. Di certo le sinfonie di Haydn furono un esempio per Mozart quando, abbandonati i modelli dell’infanzia, cominciò a comporre seguendo la propria idea estetica e avvalendosi di esempi autorevoli.
L’attività di Haydn si estese per circa cinquant’anni (1750-1801) e i primi esperimenti sinfonici datano proprio la fine degli anni ‘50, mentre le ultime sinfonie, le londinesi, sono degli anni ‘93-’95. La maggior parte della produzione di Haydn avvenne durante il suo lungo periodo di servizio presso la Corte degli Esterházy, ma grazie alla notorietà che aveva acquisito, egli fu un compositore molto richiesto anche all’estero ed in particolare dall’aristocrazia.
La Sinfonia n.87 fa parte del gruppo delle sei sinfonie dette “parigine”, che furono composte negli anni 1785-86 per essere eseguite su commissione ai Concerts de la Loge Olympique e subito dopo al Concert Spirituel di Parigi. Va rilevato che Haydn aderì alla Massoneria nell’anno 1785 proprio su invito del già affiliato Mozart. In queste sei sinfonie Haydn sviluppa al più alto grado l’inventiva melodica e l’adozione di forme extra-sonatistiche che aveva cominciato a proporre nella sua musica da camera appena precedente, segnatamente nei Quartetti op.33. E già dal primo movimento di questa Sinfonia, Vivace, scorgiamo come primo segno le due caratteristiche salienti del sinfonismo haydniano più maturo: la varietà nelle modulazioni e l’arte dell’elaborazione tematica. I temi principali sono due e le sezioni in cui si svolge il discorso musicale sono tre, come nel canone della forma-sonata (esposizione, sviluppo, ripresa). Pur nella rigidezza della forma, la sensazione complessiva è allo stesso tempo di varietà ma anche di uniformità, e quest’ultima è assicurata fondamentalmente dal fatto che ogni inciso, indipendentemente dalla strumentazione o dalla tonalità, è sempre rapportabile ad uno dei due temi principali o a qualche figurazione accessoria delle sottosezioni di collegamento.
L’Adagio è un esempio della straordinaria capacità di Haydn come strumentatore, e allo stesso tempo una testimonianza del valore eccellente dei musicisti coi quali si confrontava quotidianamente nella sua Orchestra di Corte (anche su furono composte per Parigi, la Sinfonia n.87 vide la sua prima esecuzioni ad Eisenstadt, a Corte). Sono i fiati a farla da padrone in questo movimento: basando l’intero movimento sul principio della elaborazione tematica, Haydn costruisce una serie di variazioni libere in cui il tema, più o meno ornato, viene sempre presentato dai fiati, o dagli archi su un sostegno dei fiati. Frequenti sono gli assoli degli strumentini o anche episodi dei soli fiati (flauto, due oboi, due fagotti, due corni).
Il Minuetto è convenzionale nella sua forma generale ma appare sospinto da una forza propulsiva in genere assente in quello che da sempre è considerato il momento di “rilassamento” della forma sinfonica. L’imitazione tra le varie sezioni è già un primo segno di un tentativo di rinnovamento del Minuetto e allo stesso tempo riveste il compito di collegare le une alle altre le varie frasi musicali che compongono il materiale musicale di base. Il Trio, che vi è incastonato all’interno come di consueto, è un lungo solo di oboe accompagnato da pochi accordi degli archi che servono solo da base armonica e punteggiatura musicale.
il Finale, Vivace, è più di ogni altro il luogo in cui si dispiega la fantasia di Haydn, l’inventiva di un compositore fondamentalmente sereno e appagato da una carriera che lo ha reso ricco e famoso. A partire da un tema principale, esposto dai primi violini su armonie di secondi e viole e un ritmo nei bassi, è tutto un volo della fantasia, costellato di fermate improvvise e altrettanto inaspettate riprese a piena velocità. L’andamento è rapido, le tonalità si susseguono rincorrendosi e stavolta sono gli archi a farla da padrone, in una scrittura contrappuntistica molto raffinata e virtuosistica.
Studi recenti hanno scoperto che, a dispetto del numero di catalogo che le fu attribuito nel 1907, questa fu la prima sinfonia che fu composta per i parigini. Possiamo immaginare l’impressione che potè esercitare sul pubblico di quegli anni. Basti pensare che nelle stagioni a venire, quando a Parigi si cominciò a riscoprire la musica del passato, Haydn, pur recente, fu uno dei primi compositori oggetto di ricerca e entrò molto presto a far parte del repertorio stabile delle orchestre europee. Onore anche, però, al recensore del “Mercure de France” che al primo ascolto di Haydn seppe rilevare subito la sua capacità straordinaria nel “ricavare sviluppi (développements) così ricchi e diversi da un unico soggetto”.
Maurizio Zanini
Di nascita e studi milanesi, si è aggiudicato nel 1986 il Primo Premio al Concorso Pianistico Internazionale “Dino Ciani”, ricevendo inoltre l’Oscar Internazionale della Critica “Maschera d’Argento” per la Musica Classica. Successivamente ha beneficiato dei preziosi consigli di Maurizio Pollini.
All’attività pianistica affianca quella direttoriale, collaborando con Orchestre quali la Malta National Symphony, Armenian Philharmonic,Sinfonica del Teatro Lirico “G.Verdi” di Trieste, “I Pomeriggi Musicali” di Milano, Filarmonica di Torino, “G.Verdi” di Milano, SinfonicaAbruzzese, “Karmelos” di Monfalcone, Giovanile di Lanciano.
Ha tenuto concerti in Italia, Germania, Gran Bretagna, Francia, Svizzera, Spagna, Malta, Svezia, Jugoslavia, Argentina, Brasile e Stati Uniti, ospite del Teatro alla Scala di Milano, Barbican Centre di Londra, Musikhalle di Amburgo, Gasteig di Monaco di Baviera, Kunsthaus di Lucerna, Lincoln Center di New York, Festival di Montpellier, Lugano Festival, Festival dei Due Mondi di Spoleto, Festival Pianistico Internazionale di Brescia e Bergamo, Settimane Musicali di Stresa, Rossini Opera Festival di Pesaro.
Solista con prestigiose Orchestre quali la London Royal Philharmonic, Philharmonisches Orchester der Stadt Nürnberg, Philharmonisches Staatsorchester Bremen, Sinfonieorchester Luzern, Orquesta Sinfònica de Córdoba, Orchestra Sinfonica dell’Accademia di Santa Cecilia, Orchestre Sinfoniche della RAI, Teatro San Carlo di Napoli, Teatro La Fenice di Venezia, Teatro Comunale di Bologna, I Pomeriggi Musicali di Milano, ha suonato sotto la direzione di Roberto Abbado, Piero Bellugi, André Bernard, Aldo Ceccato, Myung-Whun Chung, Vladimir Delman, Sir Charles Farncombe, Daniele Gatti, Gianandrea Gavazzeni, Isaac Karabtchevsky, Lü Jia, Carlo Rizzi, Jerzy Semkow, Alexander Vedernikov, Marcello Viotti.
Nel 1997 in occasione del 150° anniversario della morte di Felix Mendelssohn ha tenuto due acclamati recitals al Teatro alla Scala proponendo l’integrale delle Sonate, Variazioni e Fantasie. Nello stesso anno, dopo un’esecuzione a Londra del Primo Concerto per pianoforte e orchestra di Mendelssohn, “The Independent” lo ha definito “…a spirited classicist in the manner of the young Rudolf Serkin”.
Recital e Concerti con orchestra sono stati trasmessi dalla RAI e Radio Classica (Italia), BBC e London Classical FM (Gran Bretagna), Radio France (Francia), VRT e RTBF (Belgio), YLE (Finlandia), NRK (Norvegia), Sveriges Radio AB (Svezia), Radio Belgrade (Serbia) e dalla Radio Nazionale Argentina. Le incisioni discografiche con musiche di Schubert, Beethoven, Schumann e Reger hanno ricevuto unanimi consensi dalla critica internazionale (…penseur du piano, source de lumière digne de Michelangeli et Pollini. – Diapason)