Autori vari - I Pomeriggi Musicali - Teatro Dal Verme

Le date

Sala Grande
giovedì 11 novembre 2004
Ore: 21:00
sabato 13 novembre 2004
Ore: 17:00

Giovedì 11 novembre, ore 21
Sabato 13 novembre, ore 17

Direttore:
Denise Fedeli
Violino:
Bin Huang
Orchestra:
Orchestra I Pomeriggi Musicali

Programma:
Giovanni Sollima (1962)
Lam & Dan

Niccolò Paganini (1782 – 1840)
Concerto n. 1 in Re maggiore op. 6 per violino e orchestra
Allegro maestoso
Adagio espressivo
Rondò: Allegro spiritoso

Camille Saint-Saëns (1835 – 1921)
Sinfonia n. 2 in La minore op. 55
Allegro marcato –  Allegro appassionato
Adagio
Scherzo. Presto
Prestissimo

Il Concerto
a cura di Paolo Castagnone
«Sono affetto da una curiosità patologica fin da ragazzino, quando mi riempivo la casa di strumenti d’ogni genere e trovavo insensate certe beghe consumate tra compositori di musica classica contemporanea» [Giovanni Sollima]

Le composizioni di Giovanni Sollima spesso incrociano il loro destino con Palermo e New York, città assai simili se lette nel senso della vastità e profondità delle relazioni culturali. Sono luoghi che hanno creato una cultura della mescolanza, un irripetibile melting-pot, sempre pronto a fornire nuovi stimoli e soluzioni creative a un musicista che aborrisce le rigidità di certi schemi culturali a favore di anticonvenzionali contaminazioni fra i generi e gli strumenti più diversi. Ne è prova una recente affermazione del compositore : «La mia cifra innata si impernia su un centro a X, un crocevia, e non è un caso ch’io sia nato e viva in una città ponte tra Oriente e Occidente come Palermo».

Lam & Dan – ovvero lamentazioni e danze – composte nel 1998 a New York su richiesta della Brooklyn Philharmonic Orchestra – ben si inseriscono in questo percorso artistico, venendo a costituire una sorta di «piccola indagine ispirata a tradizioni sacre e non, rurali e metropolitane, di matrice siciliana ma saldamente trapiantate in America».

Inevitabile che il punto di partenza di questa ricerca sonora sia proprio New York, «uno dei luoghi più attraversati dalle diverse etnie, un salutare pasticcio genetico, dove – con un campionatore o con un qualsiasi registratore – ho svolto e continuo a svolgere gran parte delle mie ricerche, inseguendo non canti popolari, già troppo stabili e strutturati nella forma e nel linguaggio armonico, ma scale, parlati espressivi, processioni, lamenti, bande musicali e altro ancora». Tuttavia, quasi a voler dimostrare che per Sollima le radici siciliane sono assai profonde, subito si precisa che «parte dell’anima di Lam & Dan sono i mercati palermitani, tra i quali il più amato è ”Ballarò”, povero, barocco e fatiscente ai limiti della polvere, misterioso, sacro e blasfemo, animale e sublime e che urla anche nel silenzio».

«A pensarci bene in tempi più recenti sono tornato – con l’opera Ellis Island del 2002, assieme al giornalista/scrittore Roberto Alajmo e al regista Gianni Amelio – ai “samples”, alle “cose” musicali (e non) raccolte per strada, archiviate e poi remixate e inglobate. Prediligo questo modo di comporre, lontano da comode scrivanie. Frugo, ascolto, raccolgo, “butto” alla rinfusa nel computer e infine seleziono (talvolta “processando” con tecniche simili a quelle dei DJ) e finalmente inizio a costruire e assemblare (o archiviare….o dimenticare) in piccoli affreschi (o files) che in rari casi “suonano” e diventano pezzi.

Lam & Dan è uno di questi. E’ breve e consta di due movimenti lenti e processionali, con al centro uno più ruvido e granitico, ritmico e danzante».

«Ho sentito cantare un angelo !»
[Franz Schubert dopo un concerto di Paganini]

L’arte di Niccolò Paganini è così indissolubilmente legata al concetto di virtuosismo che è molto importante tentare di inquadrarne il significato profondo nell’estetica del tempo. Il suo funambolismo violinistico non veniva infatti percepito come puro esibizionismo, bensì come simbolo della capacità dell’uomo di trascendere i propri limiti. E proprio in questo consiste la sua enorme importanza per la musica dell’Ottocento, tanto che se poniamo mente allo stile brillante di tanti brani del Romanticismo – da Mendelssohn a Chopin – dobbiamo convenire che l’influsso del virtuoso italiano si estese ben oltre il fatto esecutivo. Solo per fare alcuni esempi, Schumann risolse di dedicarsi alla musica dopo un pirotecnico concerto del violinista genovese, mentre Liszt decise di scrivere i suoi Studi trascendentali per ricreare sul pianoforte le meraviglie dei Capricci paganiniani.

Nel Concerto n.1 op.6 solo apparentemente Paganini sembra ispirarsi al linguaggio del Classicismo, poiché è completamente assente il principio dell’elaborazione tematica. L’Allegro iniziale, contraddistinto da un piglio disinvolto e un’orchestrazione squillante, ricorda il Rossini delle ouvertures. La marzialità del primo tema offre al solista quasi tutti gli spunti di virtuosismo, mentre la seconda idea motivica, dolce e cantabile, dà vita ai momenti di più intenso lirismo. L’orchestra si limita a un ruolo di accompagnamento discreto, evitando la dialettica beethoveniana tra la compagine strumentale e il solista.

Nell’Adagio, dopo un’introduzione di sapore operistico, fa il proprio ingresso il canto del violino che, secondo l’autore, doveva rappresentare l’accorata preghiera di un prigioniero ingiustamente incatenato. La cantabilità dolorosa dei temi è sottolineata dall’uso di strumenti a fiato dal timbro sommesso e malinconico e proprio come in un’aria del melodramma la forma è tripartita, con una ripresa caratterizzata da un crescendo concitato e patetico.

Nel terzo movimento, Rondò, troviamo il più puro spirito del bel canto rossiniano. In questo Allegretto spiritoso la sostanza musicale passa in seconda linea di fronte alla tecnica sbalorditiva, che vede il solista impegnato in passaggi di estrema varietà timbrica, con una impressionante successione dei più diversi e difficili colpi d’arco, armonici doppi, scale e arpeggi di ogni genere, che arrivano a sfiorare registri acutissimi, prima d’allora praticamente ignorati nella pratica violinistica. E’ interessante notare che nel manoscritto  – databile fra il 1816 e il 1818 – la tonalità originale di questo Concerto è mi bemolle maggiore, mentre la parte solistica è in re : in sede d’esecuzione era dunque previsto che il violino fosse accordato un semitono sopra rispetto all’orchestra. Nelle intenzioni di Paganini, ciò doveva servire a rendere più teso e brillante il suono dello strumento solista. Oggi la partitura viene eseguita normalmente in re maggiore, ma il suono più teso e brillante del violini odierni nulla fa perdere della sua straordinaria brillantezza di timbro.

«Saint-Saëns conosce la musica meglio di tutti. Non si può dimenticare che è stato lui a imporre il genio tumultuoso di Liszt e il culto di Bach» [Claude Debussy]

Per comprendere la singolare posizione artistica di Saint-Saëns, è opportuno riflettere sul particolare momento storico che si trovò a vivere. Egli nacque quando Chopin e Schumann stavano raggiungendo il culmine della loro stagione creativa e, precocissimo, iniziò a comporre negli stessi anni in cui videro la luce le prime opere di Verdi e Wagner ; fu un contemporaneo di Brahms ed era ancora attivo – senza avere mai sostanzialmente modificato il suo stile – quando Debussy era già morto e Ravel aveva scritto molte delle sue pagine maggiori. Persino Stravinskij lo ricorda presente alla seconda esecuzione del Sacre, «tranquillo, non troppo coinvolto dal clima di scandalo».

Senza dubbio fu un personaggio molto rappresentativo della sua epoca e, come tale, verso la fine della sua lunga vita si trovò a essere un sopravvissuto di un mondo che vide crollare senza riuscire a comprenderne il perché. Non di meno Saint-Saëns può essere tacciato di bieco conservatorismo. Egli fu, al pari di Mendelssohn, un musicista di educazione perfetta e allo stesso tempo uomo di cultura vasta e raffinata, con curiosità intellettuali inestinguibili (ne fa fede la conferenza sul fenomeno ottico dei miraggi da lui tenuta presso la Società Astronomica di Francia nel 1905). Scriveva musica con sorprendente facilità: «come un melo produce le mele», diceva di se stesso con l’immancabile autoironia. Uomo di grande vigore, viaggiatore instancabile delle colonie francesi, archeologo dilettante, corteggiato dai migliori circoli parigini, ebbe l’innegabile merito di imprimere una svolta nella tradizione francese, promovendo nel 1871 la costituzione della Société Nationale de Musique che, col motto patriottico di Ars Gallica, intendeva introdurre in Francia i modelli tedeschi e, soprattutto, le tesi avanguardistiche di Franz Liszt. Inoltre promosse il recupero degli antichi autori francesi, in particolare Jean-Philippe Rameau e Marc-Antoine Charpentier.

L’autore del Sansone e Dalila conosce a fondo l’arte del contrappunto e possiede un profondo senso del ritmo. Tuttavia nella costruzione della forma entrano anche altri fattori, riconducibili forse alla sua pratica di improvvisatore sull’organo e il pianoforte: oasi di contemplazione mistica che si alternano liberamente a momenti di irruente passionalità o a episodi ironicamente scherzosi. Il modello a cui più frequentemente si ispira è l’adorato Liszt, col quale condivide l’impegno compositivo e la libertà della costruzione. Queste caratteristiche permettono di classificarlo tra i migliori sinfonisti francesi. Ne è ottimo esempio la Sinfonia n. 2 in la minore op. 55, composta nel 1878 e improntata al classico schema in quattro movimenti. E’ un lavoro di interesse notevolissimo, che sembra anticipare atmosfere sinfoniche tipiche dell’ultimo Brahms, come dimostra l’Allegro moderato, vicinissimo al clima espressivo della Quarta Sinfonia del compositore tedesco, composta sette anni più tardi. Fin dalle prime battute dell’introduzione – caratterizzata da una ben calcolata tensione costruttiva – si mette in  mostra la straordinaria sensibilità timbrica dell’autore, paragonabile solamente a quella di Berlioz.

Il seguente Adagio è percorso da un’estrema e raffinata cantabilità. Sembra riaffiorare il Saint-Saëns bambino, affascinato dal mondo sonoro della propria casa, cui apparteneva anche l’enorme bollitore che accompagnava il risveglio mattutino. «Mi mettevo seduto lì accanto alla bouilloire – scrisse il compositore nei suoi ricordi – aspettavo con appassionata curiosità i suoi primi mormorii, il suo crescendo lento e pieno di sorprese, e l’apparizione di un oboe microscopico il cui canto si levava poco a poco, finché l’ebollizione non lo faceva tacere».

Il terzo movimento, Scherzo, chiaramente tripartito e con una sezione centrale più dolce, è evidentemente ispirato a Beethoven, seppure il senso di danza che lo permea sia di una leggerezza tutta francese. Conclude la partitura un Prestissimo che, per incisività e brillantezza, richiama alla memoria le Sinfonie di Mendelssohn. Eppure, nonostante il gioco delle citazioni, la musica di Saint-Saëns non è vuoto artificio retorico, inutile esercizio di composizione da primo della classe. Nel suo mondo palpitano emozioni autentiche, che spesso prendono il sapore di una sincera melanconia.

Gli Interpreti:
Bin Huang inizia lo studio del violino all’età di quattro anni e nel 1980 entra al conservatorio di Pechino.
Nel 1985 si aggiudica il primo premio al Concorso Internazionale “H. Wieniawskj” in Polonia e nel 1988 si trasferisce negli USA per studiare con B. Senofsky.
Nel 1992 ottiene il secondo premio al Concorso Internazionale di Praga. Nel 1994, dopo una trionfale tournée in Cina si aggiudica il primo premio nel prestigioso Concorso Internazionale “N. Paganini” di Genova, ottenendo anche il premio speciale per la migliore esecuzione dei Capricci di Paganini.
Suona un violino di Pietro Guarnieri del 1685 di proprietà della Stradivari Society di Chicago che ne concede l’uso solo ad artisti di eccezionale valore.

Denise Fedeli
Nata a Lugano, si diploma in Pianoforte, Composizione e Direzione d’orchestra al Conservatorio “G. Verdi” di Milano. Ha diretto le seguenti orchestre: Philharmonia Hungarica, Maggio Musicale Fiorentino, Sinfonica Siciliana, Regionale Toscana, Sinfonica di Münster, Sinfonica dell’Emilia-Romagna “A. Toscanini”, l’Orchestra da camera di Padova e del Veneto, Sinfonica di Bari, “Haydn” di Bolzano e Trento, Angelicum di Milano e Milano Classica, Orchestra della Svizzera Italiana, Accademia “I Filarmonici” di Verona, Filarmonica di Minsk, Radio Bulgara di Sofia, Panstwowa Filharmonia di Olsztyn, Filarmonica de Stat Oradea.

Di recente ha tenuto una tournée nei maggiori teatri svizzeri con 17 recite della Cenerentola di Rossini. Si è prodotta in diverse composizioni teatrali del Novecento tra cui La voix humaine di Poulenc, Notte di un nevrastenico di Rota, Magma di Lamberto Coccioli, Pierrot Lunaire di Schönberg (versione scenica), Wir bauen eine Stadt di Hindemith.Nell’ambito della musica contemporanea ha diretto molte prime assolute (come Amorsacro/Amorprofano di Azio Corghi con il soprano Cecilia Gasdia), collaborato con il laboratorio Tempo Reale di Firenze e partecipato alla rassegna “Di Nuovo Musica” abbinata al Festival “Wien Modern”. È docente presso il Conservatorio della Svizzera Italiana di Lugano