Le date
Giovedì 2 marzo, ore 21
Milano – Teatro Dal Verme
Venerdì 3 marzo, ore 21
Brescia – Teatro Grande
Sabato 4 marzo, ore 17
Milano – Teatro Dal Verme
Direttore:
Daniele Callegari
Viola:
Luca Ranieri
Clarinetto:
Angelo Teora
Orchestra:
Orchestra I Pomeriggi Musicali
Programma:
Sergej Prokofiev (1891-1953)
Ouverture su temi ebraici op.34bis
Max Bruch (1838 –1920)
Concerto per clarinetto e viola in Mi minore op.88
Andante con moto
Allegro moderato
Allegro molto
Felix Mendelssohn (1809 –1847)
Sinfonia n. 4 in la maggiore op.90, “Italiana”
Allegro
Andante
Con moto moderato
Presto
Il Concerto
a cura di Carla Moreni
Proverbiale è la fluidità con cui Prokofiev scriveva e inventava, creava e rispondeva alle commissioni che da più parti – anche bizzarre – punteggiarono tutta la sua vita. Al capitolo delle richieste singolari va ascritta la nascita della Ouverture su temi ebraici op.34. Prokovief aveva da poco terminato la stesura dell’opera L’amore delle tre melarance per l’Opera di Chicago, quando nel 1919 un gruppo di strumentisti russi, da poco emigrati in America, gli indirizzò la proposta di un brano con cui arricchire il repertorio. L’ensemble si chiamava Zimro ed era formato da quartetto d’archi, clarinetto e pianoforte. I suoi componenti erano stati colleghi di Prokofiev al Conservatorio di San Pietroburgo. Con spirito generoso andavano facendo concerti negli Stati Uniti per raccogliere fondi da destinare alla costituzione di un Conservatorio a Gerusalemme.
Condizione vincolante e obbligata del nuovo brano, oltre all’organico, era la presenza di temi originali ebraici. Racconta Prokofiev nelle Memorie: “Scrivete per noi un’Ouverture per sestetto – mi dissero, dandomi un quaderno dove erano stati annotati temi ebraici. Rifiutai, dicendo che compongo solo su miei materiali musicali. Ciononostante mi restò il quaderno. Una sera lo sfogliai, scelsi alcuni temi piacevoli, cominciai a improvvisare al pianoforte e all’improvviso mi accorsi che casualmente si erano messi insieme e avevano formato interi brani. Il giorno dopo lavorai fino a tardi e alla sera avevo composto tutta la Ouverture.”
Il nuovo brano ebbe discreta fortuna, tanto che il compositore ne realizzò nel 1934 una ancor più diffusa versione per orchestra d’archi, da lui stesso diretta in varie occasioni.
Il nome del compositore del tardo romanticismo tedesco Max Bruch evoca nel musicofilo al più due tre composizioni: il Concerto per violino (il primo, in sol minore op.26, pagina obbligatoria nel bagaglio del concertista, ponte tra i due Concerti di Mendelssohn e di Brahms), la Fantasia scozzese per violino e orchestra (op.46) e Kol Nidrei (op.47) per violoncello e orchestra, brano sontuoso, anch’esso non di rado riproposto nelle nostre sale da concerto. Al di là di questi due titoli, difficilmente è dato di inoltrarsi. A torto, perché il catalogo del longevo musicista è ricco, in particolare sul fronte della musica vocale, liederistica e soprattutto corale. Bruch fu per anni, fino al 1910, prestigioso docente all’Accademia di Berlino (tra i suoi allievi figura Ottorino Respighi), istituzione di cui tenne anche la vicepresidenza, dopo la morte del grande violinista Joseph Joachim (dedicatario del Concerto per violino).
Certamente in parte pesò, sul robusto e colto musicista il severo giudizio manifestato da Arnold Schönberg, che lo tacciò di antiquato sentimentalismo, cancellando la solida, costruttiva, robusta disciplina posseduta da Bruch, che era cresciuto intorno ai capiscuola del romanticismo tedesco. Il giovane era stato un bambino prodigio: allievo della madre, Wilhelmine Almenräder, nota maestra di canto e soprano, a 11 anni produceva già musica da camera e Ouverture per orchestra. A 14, con un quartetto per archi, vinceva il premio della Fondazione Mozart di Francoforte, che gli permise di accostare due giganti quali Ferdinand Hiller per la composizione e Carl Reinecke per il pianoforte.
Tre soli furono i cimenti operistici di Bruch: un Singspiel, da Goethe, Loreley, opera romantica, su libretto scritto per Mendelssohn, e Hermione, da Shakespeare, data a Berlino nel 1872. Tre i Concerti per violino (solo il primo, del 1868, diventato famoso), tre le Sinfonie e numerosi gli Oratori, di soggetto sacro o profano (tra questi si ricorda Odysseus op.41, scene dall’Odissea, dato a Berlino nel 1872).
Bruch restò sempre ancorato alla tradizione: fu un autentico musicista inattuale, per scelta, non per mancanza di mezzi. Anche negli ultimi anni, il suo Konzertstück per violino e orchestra, di nuovo dedicato a Joachim (1911), confermò il tenace conservatorismo, arroccato su una tenace difesa di melodismo, attenzione al canto popolare e sontuosità romantiche. C’è tuttavia, nella produzione degli anni estremi, una nuova predilezione per tinte cineree, crepuscolari, di matrice dichiaratamente brahmsiana: la troviamo ad esempio nel Concerto per clarinetto e viola in mi minore op.88, datato 1911. La pagina costituisce una ricca trasposizione sinfonica della Fantasia per due pianoforti op.11, composta ben mezzo secolo prima, nel 1861. (Nel 1912 rielaborerà il medesimo brano come Concerto per due pianoforti op.88a ). Clarinetto e viola rappresentavano i colori prediletti della tavolozza di Brahms e Schumann, non a caso fatti propri da Bruch in una delle sue estreme composizioni, gli Otto pezzi per clarinetto, viola e pianoforte op.83, scritti quasi sul rovescio del camerismo degli ultimi romantici.
Nel 1829, anno di inizio della composizione della quinta e ultima Sinfonia, “Riforma”, Mendelssohn ne tratteggiò altre due, delle quali quella in la maggiore, “Italiana”, non fu terminata che nel 1833, e venne poi di seguito ancora riveduta, mentre quella in laminore, “Scozzese”, fu conclusa solo nel 1842. Entrambe spruzzate di tinte popolari, registrate con cordiale immediatezza ma insieme filtrate attraverso la lente della malinconia, mai doma.
Il viaggio in Italia di Mendelssohn, riccamente documentato dal carteggio coi genitori e col maestro di composizione Zelter (esiste in traduzione italiana, “Le lettere dall’Italia”, Fògola, Torino), nonché da una ricca antologia di disegni, si svolse tra il 1830 e il 1831. Nelle cronache di quel tour esce evidente l’attitudine niente affatto didattica delle varie tappe del viaggio. Pur con sensibilità estremamente vigile, attenta alla musica sacra come alle esecuzioni nei teatri, il talentoso giovane non stava nel nostro Paese per assorbirne la cultura musicale – come avevano fatto nel secolo a lui precedente i principali compositori – bensì da per impregnarsi romanticamente “dell’arte delle rovine, del paesaggio, della felicità della natura”. La musica italiana viene tra l’altro per lo più giudicata con distacco, se non spesso con punte di disprezzo. In particolare nei commenti alle qualità delle esecuzioni, dove si biasimasenza mezzi termini la scarsa preparazione degli orchestrali e il gusto ridicolo di certo virtuosismo. La “musica italiana” di Mendelssohn resta una folata di ricordi, del repertorio semplice del popolo.
La Sinfonia “Italiana” venne completata a Berlino, al ritorno dal gran viaggio, e conobbe la prima esecuzione a Londra, nel 1833. Fresca e pungente di temi briosi e guizzanti, consegnati allo scintillio dell’orchestra romantica, la composizione si apre e chiude con due movimenti di scoperta brillantezza. Meditativo è il carattere dell’Andante centrale (ispirato secondo la tradizione a un canto di pellegrini boemi, in singolare contaminazione di esotismi), mentre lo Scherzo ha tutta la spuma del passo inventato da Mendelssohn, per i suoi inconfondibili elfi e fate. (Carla Moreni)
Il Cast
Direttore: Daniele Callegari