Ciclo Beethoven - I Pomeriggi Musicali - Teatro Dal Verme

Le date

Sala Grande
giovedì 10 aprile 2008
Ore: 21:00
sabato 12 aprile 2008
Ore: 17:00

Programma di sala:
a cura di Edgar VALLORA

BEETHOVEN – CONCERTO (n.1) per pianoforte e orchestra Op.15
A dispetto del numero di catalogo, il Concerto Op.15 non è il “primo” dei cinque concerti per pianoforte di Beethoven. Esso fu composto in realtà dopo il Concerto Op.19 ma, essendo stato il primo fra i due ad essere pubblicato, ricevette il numero più basso, quello che ancora oggi conserva (in ordine, dunque: Op.19, Op.15, Op.37, Op.58 e, a chiudere trionfalmente, l’”Imperatore” Op.73). La prima versione di questo Concerto risale infatti al 1793.

E’ noto che Beethoven, pianista di valore, non solo in Accademie private ma anche in concerti pubblici di grande richiamo, era solito comporre i lavori solistici prima di tutto ad uso personale; fu così che mentre godeva del felice volano dell’Op.19, ebbe voglia di comporre una nuova primizia per arricchire il proprio repertorio concertistico. Quest’opera lo accompagnerà infatti nella tournée nell’Europa del nord, presentata per la prima volta a Praga nell’ottobre 1798 (mentre i viennesi la conosceranno, in una versione massicciamente revisionata, nell’aprile 1800, sempre con Beethoven nel ruolo di solista).

Pur non raggiungendo la vetta dei capolavori, i primi Concerti beethoveniani sono assai utili per monitorare l’evoluzione del suo stile solistico e valutare i vari passaggi tecnico-stilistici, accompagnandoci per mano fino al grande salto compiuto dal “Quarto” e dal “Quinto”. Il Concerto Op.15 rappresenta un passo in avanti nel distacco dalla fisionomia mozartiana e mostra le prime impronte significativamente beethoveniane. Comunque, come anche nell’Op.19, in questo lavoro Beethoven dimostra di accettare devotamente lo schema ereditato dalla tradizione: schema che prevedeva un primo tempo di taglio militaresco, un tempo centrale con vocazione lirica, un Finale “caratteristico”, arricchito da tratti folcloristici, umoristici o esotici.

Il Concerto si apre con un Allegro festoso, estroverso, decorativo (alcuni critici, colpiti dalla sua appariscenza, vi hanno riconosciuto un pallido fantasma del “Quinto”); l’orchestra è quella delle grandi occasioni (completa cioè di clarinetti, trombe e timpani) e questa è un’altra spia che il Concerto Op.15 giunga dopo l’Op.19 (il cui organico ridotto era ancora vicino alla timida formazione “Biedermeier”).

Sorta di Lied dominato dal pianoforte, il Largo centrale è unanimemente considerato il “centro di gravità” del Concerto: supera infatti, sia per l’ispirazione senza macchia, sia per il preziosismo della scrittura, i movimenti che lo incorniciano. Un inchino alla pagina finale del Largo, la cui atmosfera espressiva sarà raramente superata anche da Beethoven stesso.

Il Rondò finale, caratterizzato da muscolosa energia ritmica, è anch’esso rispettoso dei canoni classici: un tipico esempio dei Finali “virtuosistici” amati e sfruttati dai contemporanei, tipo Hummel, Moscheles e Ries. Ma, nonostante la sua fisionomia ritmico-espressiva abbastanza scontata, è giusto sottolineare come il Rondò, pagina dopo pagina, si ribelli a conclusioni troppo prevedibili e cerchi di sondare dimensioni ancora non affrontate (un esempio su tutti è il trillo finale, di inconsueta eccentricità).

Nonostante sia doverosamente apprezzato dalla critica (soprattutto per l’eccelso Largo) l’autore, lucidissimo, non stimava molto questo Concerto. “Questi lavori non sono ancora fra le mie cose migliori in tal genere di composizioni – si legge in una sua lettera -. Per questo reclamo indulgenza: soprattutto per l’Op.15, che appena nata già appartiene al passato”.

Intrigante anche conoscere la sua opinione circa una sorta di “proprietà letteraria” dei Concerti. “Una buona politica per un autore esige che egli li tenga per sé per un certo numero di anni; e che non permetta ad altri di eseguirli”. Fu probabilmente questo il motivo per cui i Concerti vennero offerti tardivamente agli editori. Ma quando – segno evidente di un riscontro più che favorevole – nel 1801 gli editori “riuscirono a mettere le mani sui manoscritti” (parole di Beethoven), il Concerto Op.15 venne pubblicato contemporaneamente da tre editori (a Vienna, a Lipsia, a Francoforte): evento che dette all’autore il polso della sua importanza a livello internazionale e gli regalò un’avvisaglia di una possibile fama immortale.

HAYDN – SINFONIA n.8 “La sera”
Come si è già accennato in questa sede, lo sterminato corpus delle Sinfonie haydniane viene convenzionalmente suddiviso – proprio perché immenso – in “blocchi” (o periodi): che, a parte un inquadramento cronologico, rispecchiano stili compositivi differenti fra loro e in progress (indicati, con le improprietà tipiche delle categorie, in periodo italiano, romantico, classico, francese, inglese). Come è evidente anche a prima vista, questi “periodi” sottolineano spesso la localizzazione geografica, legata ai soggiorni del compositore nei vari paesi.

Decisamente importante è il ciclo “barocco” con cui Haydn si presenta nel 1761 al servizio del principe Esterhazy, importante perché segna l’avvento di un nuovo moto stilistico, contrassegnato soprattutto da un’ossessiva ricerca timbrica. Grande interesse (e ricerca) per le possibilità espressive dei vari strumenti; affermazione della tendenza concertante (barocca, appunto), soprattutto nei movimenti lenti: in primo piano, di volta in volta, si affacciano il violino, il violoncello, il flauto, il corno francese o quello inglese.

A quest’epoca della Sinfonia-concerto, si possono ricondurre una ventina di Sinfonie composte tra il 1761 e il 1765; periodo aperto dalla suggestiva triade dedicata al “Giorno”, nelle sue declinazioni di “Mattino”, “Mezzogiorno”, “Sera”. (La teoria, sostenuta da qualche esegeta, che una quarta Sinfonia, intitolata la “Notte” sia andata perduta, è oggi ritenuta infondata).

Capolavori da-storia-della-musica. Haydn ormai attinge con aisance a tutte le fonti che avvincono la sua fantasia, a tutte le forme musicali che sfidano il suo acume: accenti folcloristici nei Minuetti e nei trii, orditure gregoriane in certi Adagi, accenti d’opera per certi intermezzi, congegni di fuga o estrose variazioni per i finali. Ecco un nuovo “tipo psicologico” di Sinfonia: accesa, contrastata, energetica, colorita, atta ad esprimere una gamma nuova di passioni.

Venendo alla terza Sinfonia del ciclo del “Giorno”, quella che ascoltiamo questa sera, nessun dubbio che si tratti della più equilibrata e intelligente: fusione perfetta tra il “concertismo” dell’epoca barocca e l’individualismo del periodo classico.

Ad aprire la Sinfonia n.8 è un Allegro molto: il più ampio “primo tempo” composto da Haydn, eppure sostenuto, in ogni angolo, da una tensione concentrata ed essenziale. Ed è in questo movimento che si profila una delle più felici formule adottate da Haydn, anche nella maturità: una cattedrale sonora fondata su di un solo tema, dotato del leggendario “potere di germinazione” (al quale non è estraneo, quanto a forza e plasticità, l’inciso di quattro note: tre brevi e una lunga). Tutto deriva infatti dalla frase iniziale che passa – ora stringata, ora allentata, ora rappresa, ora discorsiva – da una voce all’altra, da una parte all’altra dell’orchestra.

Simile “spirito concertante” ritorna nell’Andante: come a seguire una sorta di imperativo categorico di far cantare quattro voci (i due violini, violoncello e fagotto). Poi, dopo un Minuetto dalla scansione regolare, con qualche macchia di austera rigidità, ecco giungere la pagina finale, che ha stregato tutti i commentatori: pagina in cui Haydn offre – con un descrittivismo precisissimo ma riscattato dalla ventata del genio – la pittura di un temporale. Tutti gli strumenti sono chiamati alla ribalta; tutte le sfumature di un uragano estivo si alternano: dallo “strisciar cantando” della pioggia a battente, allo zig-zag di lampi sinistri, al rotolare borbottone del tuono. A colpire, in questa pagina, non è tanto l’abilità descrittiva quanto la sensibilità intuitiva alla pari di una tecnica compositiva assoluta.
Definita da Della Croce “una tra le più convincenti tempeste della storia della musica”.

Il Cast

Direttore: Konstantin Scherbakov
Orchestra: Orchestra I Pomeriggi Musicali