Ciclo integrale dei Concerti per violino e orchestra di Mozart - I Pomeriggi Musicali - Teatro Dal Verme

Le date

Sala Grande
sabato 05 febbraio 2005
Ore: 17:00
giovedì 10 febbraio 2005
Ore: 21:00

Venerdì 4 febbraio, ore 21 Gallarate, Aloisianum
Sabato 5 febbraio, ore 17, Teatro Dal Verme
Martedì 8 febbraio, ore 21 Monza, Teatro Manzoni
Mercoledì 9 febbraio, ore 21 Pavia, Teatro Fraschini
Giovedì 10 febbraio, ore 21, Teatro Dal Verme

Direttore e violino:
Massimo Quarta
Orchestra:
Orchestra I Pomeriggi Musicali
Ciclo integrale dei Concerti per violino e orchestra di Mozart

Programma:
Wolfgang  Amadeus Mozart:
Concerto per violino e orchestra in Si bemolle
maggiore K. 207

(Allegro moderato)
Adagio
Presto
Rondò concertante  per violino e orchestra in Si bemolle maggiore K. 269
Allegro
Concerto per violino e orchestra in Re maggiore K. 211
(Allegro moderato)  (Andante)
Rondeau. Allegro
Concerto per violino e orchestra in Sol maggiore K. 216
Allegro
Adagio
Rondeau. Allegro

Il Concerto
a cura di Alice Bertolini
Cinque concerti in tutto, scritti nel giro di un anno, più qualche pagina sparsa. Non sono molte le composizioni per violino di Mozart ed è un fatto curioso, se si pensa che Amadeus aveva un maestro d’eccezione: il padre, violinista di fama, autore del celeberrimo Saggio di un metodo approfondito per violino, pubblicato ad Augsburg nel 1756, ristampato a più riprese e tradotto in olandese e in francese. Il giovane musicista impara in fretta gli insegnamenti di papà, come testimonia un aneddoto riportato proprio da Leopold a proposito del primo viaggio a Vienna, nel 1762: “Devo ricordare specialmente una cosa che alla dogana ce la siamo cavata in fretta e siamo stati completamente esonerati grazie al nostro Wolferl il quale prese subito confidenza con il doganiere, gli mostrò il cembalo e, invitatolo gentilmente ad ascoltarlo, gli suonò un Minuetto col suo piccolo violino. Con ciò ci siamo tolti d’impaccio”. Forse è troppo facile ipotizzare che alla fine il violino diventasse per Mozart il simbolo dell’oppressione paterna, resta il fatto che a fronte di oltre venti concerti per pianoforte, quelli dedicati al principe degli strumenti ad arco sono davvero pochi (K 207, 211, 216, 218 e 219), tutti composti tra l’aprile e il dicembre 1775. All’epoca la famiglia Mozart ha appena fatto ritorno a Salisburgo, dopo aver trascorso tre mesi a Monaco per la rappresentazione della Finta giardiniera, e il 19enne Amadeus riprende servizio come Konzertmeister alle dipendenze del principe arcivescovo Colloredo.

Composti in un breve arco di tempo, i Concerti per violino mostrano una sorprendente maturazione in corso d’opera, e in particolare a partire dal terzo lavoro Mozart mette in campo una scrittura sempre più ricca e raffinata, sia dal punto di vista della forma, sia per quanto riguarda la strumentazione. Sono tuttavia numerosi i tratti comuni all’intera produzione, che unisce brio, eleganza e amore per la cantabilità. Le cinque partiture si possono ricondurre al genere del concerto brillante, coltivato nell’ambito di una pratica salottiera e aristocratica, che esige fluidità e varietà di sentimenti lievi – dall’abbandono elegiaco al divertimento gioviale – mentre bandisce i toni troppo scopertamente tragici o gioiosi.

Sotto il profilo tecnico, gli studiosi hanno riconosciuto la peculiare abilità del compositore nell’attingere in modo personalissimo alle più prestigiose scuole violinistiche dell’epoca, soprattutto quella italiana che fa capo a Tartini, Nardini e Locatelli. Ben presente anche il modello barocco: l’alternanza di passaggi solistici e tutti orchestrali, la netta giustapposizione dinamica tra piano e forte e la proliferazione di motivi sempre nuovi, ricordano da vicino i concerti “a ritornelli” di Vivaldi. Un esempio evidente  di questa tecnica è fornito proprio dal primo movimento, Allegro Moderato, del Concerto K 207, dove nell’esposizione dell’orchestra si presentano i temi principali, tra i quali per lo slancio tipicamente violinistico spicca quello d’esordio. Con la sua aggraziata pacatezza, l’Adagio successivo risuona invece come un omaggio allo stile galante che informa tanta musica del Settecento. Come in molte altre di queste pagine, anche qui si può riconoscere la successione di Esposizione, Sviluppo, Ripresa e Coda: un riferimento alla moderna forma sonata, ma senza i tesi contrasti drammatici che invece caratterizzeranno opere più mature. La simmetria del lavoro è completata dal Presto conclusivo che scatena orchestra e solista in un ritmo vorticoso e incalzante. Si tratta di una pagina brillante, ma è difficile parlare di virtuosismo, quanto meno facendo un confronto con le prodezze richieste in quegli anni dalla scuola francese, che nel giro di qualche anno diventerà famosa grazie ai lavori di Viotti, Rode e Kreutzer. Gli effetti pirotecnici non interessano a Mozart, che al mito dell’esibizione preferisce quello della spontaneità. Il banco di prova del solista non sono dunque le difficoltà tecniche, quasi mai insormontabili in questi cinque concerti, ma piuttosto la limpidezza sonora e la versatilità espressiva.

Nel catalogo Kochel il Rondò  K 269 compare come un brano isolato, ma in realtà nasce alla fine del 1776 come finale alternativo al primo Concerto. E’ possibile che Mozart lo scriva per accontentare il solista Antonio Brunetti, napoletano, nominato in quell’anno Hofmusikdirektor e Primo violino di corte a Salisburgo, il quale forse non trova sufficientemente virtuosistico il finale originario. L’ipotesi è avvalorata dal fatto che negli stessi giorni, su precisa richiesta di Brunetti, il compositore redige anche un Adagio sostitutivo al Concerto K219. Ma è altrettanto probabile che Mozart decida da solo di completare il lavoro con un rondò, una forma di commiato più tradizionale, che adotterà in tutti i concerti successivi. In ogni caso si tratta di una pagina di grande raffinatezza che a un tema lieve e aggraziato alterna episodi ora drammatici ora scherzosi: un caleidoscopio di sentimenti in continuo movimento.

Il secondo Concerto K 211 è tra i più impegnativi per il violino solista, al quale viene richiesta una grande abilità di far “cantare” lo strumento, con prove ardite soprattutto nel registro acuto, tanto che con il tempo la logora etichetta di “concerto facile” si è definitivamente sbiadita. Una cantabilità sempre cangiante è infatti la cifra stilistica di questa partitura, fin dall’Allegro moderato iniziale, dove la plasticità dei temi principali e la raffinatezza dei più piccoli dettagli si fondono in un perfetto equilibrio formale. Il canto del violino prosegue ininterrotto lungo le ampie campate melodiche dell’Andante, e infine si raccoglie nella semplicità elegante del movimento conclusivo, battezzato alla francese Rondeau.

Per la raffinatezza della scrittura, il terzo Concerto K 216 si distacca di molto dai due precedenti ed è invece più facilmente avvicinabile ai due omologhi lavori successivi (K 218 e K 219). La distanza è evidente già nella sontuosa struttura formale del primo movimento, Allegro, caratterizzato da un’esposizione ricca di idee tematiche e da uno sviluppo complesso che gioca sul contrasto tra diverse tonalità. La cantabilità raggiunge nuove vette nell’Adagio, dove il solista è chiamato a imitare la voce umana in una struggente aria amorosa, sostenuta dal pizzicato di violoncelli e contrabbassi. Infine, il Rondeau, una tra le più stravaganti pagine mozartiane. Si inizia con una movimentata danza in tempo ternario che ritornerà, in qualche caso con piccole variazioni, nel corso di tutto il movimento alternandosi a diversi episodi. Di grande impatto la sezione centrale, in tempo binario e in modo minore: un Andante malinconico rapidamente interrotto da un Allegretto che cita una briosa danza popolare. Il risultato è una continua sorpresa, una varietà di effetti fusi o giustapposti in un equilibrio delicatissimo. Ed è proprio questa la grande sfida per il solista. Massimo Quarta lo ha spiegato in modo efficace in una recente intervista a Suonare news: “Dal punto di vista strumentale certamente è molto più difficile Paganini. Ma Mozart è più scoperto tecnicamente: se si sbaglia qualcosa in Paganini passa, se si sbaglia in Mozart è come giocare con dei pezzi di cristallo: tutto deve essere più pulito e scorrevole”.

Massimo Quarta
Nato nel 1965, inizia gli studi musicali all’età di nove anni e li conclude, sotto la guida di Beatrice Antonioni, con un diploma con il massimo dei voti e la menzione d’onore presso il Conservatorio S. Cecilia di Roma. In seguito si perfeziona con Salvatore Accardo, Pavel Vernikov, Ruggiero Ricci ed Abram Stern. Vincitore di numerosi concorsi importanti, nel 1991 si aggiudica il 1° Premio al prestigioso Concorso Internazionale di Violino “Niccolò Paganini” di Genova, primo italiano ad ottenere questo riconoscimento dopo Salvatore Accardo nel 1958. In seguito si è esibito per le più prestigiose istituzioni concertistiche, a Parigi (Salle Pleyel, Théâtre du Châtelet), Monaco di Baviera (Philharmonie im Gasteig), Berlino (Philharmonie), Francoforte (Alte Oper), Düsseldorf (Tonhalle), Tokyo (Metropolitan Art Space, Bunka Kaikan), Varsavia (Warsaw Philharmonic), Mosca (Sala Grande del Conservatorio), Milano (Teatro alla Scala, Società del Quartetto, Serate Musicali), Roma (Accademia di Santa Cecilia, RAI, Teatro dell’Opera, IUC, Accademia Filarmonica Romana), Firenze (Amici della Musica, Teatro Comunale), Torino (Unione Musicale), Napoli (Teatro San Carlo, Associazione Scarlatti), Bologna (Musica Insieme), Cannes (Midem) e Zagabria (Lisinskij Hall). Ha collaborato con la Radio Sinfonie Orchester di Francoforte, l’Orchestra Sinfonica dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, l’Orchestre National du Capitole de Toulouse, la Tokyo Philharmonic Orchestra, la Prague Symphony Orchestra, la Real Orquesta Sinfonica de Sevilla, la Budapest Symphony Orchestra, l’Orchestra I Pomeriggi Musicali di Milano, l’Orchestra Sinfonica Verdi di Milano, suonando con direttori come Myung-Whun Chung, Peter Maxwell Davis, Daniele Gatti, Daniel Harding, Vladimir Jurowski, Isaac Karabatchevsky, Christian Thielemann. Ha collaborato con musicisti come Salvatore Accardo, Michele Campanella, Rocco Filippini, Patrick Gallois, Bruno Giuranna, Natalia Gutman, Alfons Kontarsky, Franco Petracchi, Joseph Silverstein, François Joël Thiollier. Nel duplice ruolo di direttore e solista, si è esibito in numerosi concerti con le orchestre da Camera di Padova, Haydn di Bolzano, Toscanini di Parma e quella da Camera di Praga. Suona un Antonio Stradivari “Maréchal Berthier ex von Vecsey” del 1716.