Le date
Maurilio Cacciatore – Stesso denso (Prima esecuzione assoluta ed è una commissione dei pomeriggi musicali)
Rota – Concerto soirèe per pianoforte e orchestra
Beethoven – Sinfonia n. 2 op. 36
Note di Sala:
a cura di Edgar Vallora
L. van BEETHOVEN – Sinfonia n.2 Op.36
Abbozzata rapidamente nell’inverno del 1800, quasi volesse essere il diretto prosieguo della Prima, questa seconda Sinfonia ebbe invece ritardi ed inciampi, propri del “fare beethoveniano”. Seguì, a sbalzi, il compositore in tutto l’anno seguente, e fu chiusa nel format definitivo solamente all’inizio del 1802. Anni disastrosi sul piano psicologico: disperazione per l’avanzare della malattia che lo isolava dal mondo, solitudine sorda, affaticamento creativo (un empasse generale che si riflette nella produzione del periodo – produzione frammentaria, perlopiù dedicata a Lieder, Bagatelle, piccole pagine da camera, nella quale emerge, oltre alla Seconda, soltanto il Concerto per pianoforte Op.37). Un tormento sfiancante che porterà il compositore a sfogare il suo inarginabile disagio nel (drammatico ma anche dimostrativo) Testamento di Heiligenstadt: eppure la Seconda, animata com’è di gioia senza nuvole e di sana energia, non lascia trasparire la gravità delle ferite, delle lacerazioni, dei fantasmi (distonia singolare, ma non nuova nel tracciato creativo dei Grandi, dove vita privata e opere pubbliche molto spesso non trovano corrispondenze reciproche).
Sul piano creativo Beethoven era ben consapevole che l’apollineo equilibrio, e la naturalezza, delle sinfonie di Haydn e Mozart non poteva più essere raggiunto o superato; per questo focalizzò la sua ricerca sull’arte di Cherubini, il solo compositore che riteneva all’altezza di orizzonti alternativi. Comunque sia, impacciato da eredità così ingombranti ed invasive, il compositore non si sentiva libero e convinto; e questo è uno dei motivi per cui nelle prime due Sinfonie manca quell’impronta di padronanza, di assertività, di autonomia linguistica che troveremo nelle pagine successive. Alcuni elementi presenti nella Prima – vitalità, ricerca di “effetti speciali”, eccessiva ridondanza negli sviluppi – si ripresentano nella Seconda. Dove la novità di maggior spicco va ricercata nella scelta, decisamente innovativa, di “trattare” i fiati: una sezione dell’orchestra che l’autore non annega nella massa orchestrale, ma per la quale disegna una fisionomia stagliata, a volte contrapposta con evidenza drammatica alla compagine degli archi.
La Sinfonia si apre con una pagina di Introduzione, lenta e solenne (un chiaro inchino ad Haydn), sulla quale si innesta un Allegro energico-gioviale. Di questo brano è particolarmente interessante il secondo tema: tradizionale a prima vista ma basato su una cellula ritmica di incredibile vitalità, tutta da scoprire. All’Allegro succede un Larghetto, pagina di elevatissima ispirazione, ritenuta da tutti i critici il frutto più dolce e maturo dell’opera. Il suo tema, che Berlioz amerà alla follia e definirà di “insuperabile purezza e candore”, si presta a complesse trasformazioni presentando via via nuove proiezioni emotive: malinconiche, amabilmente beffarde, enigmatiche, sofferte. Lo Scherzo, leggero nella sua personalità capricciosa, è veloce e conciso; il Trio, come la natura chiede, presenta l’abituale carattere agreste. Come Finale della Sinfonia l’autore creò una pagina a sé, giocosa e bizzarra insieme, un Allegro-rondò in forma libera, imperniato su un tema pronto a infiammarsi. Ancora una volta l’idea principale può apparire convenzionale, tipica del sinfonismo settecentesco, ma grazie all’incrocio con la seconda melodia, meditativa e profonda, il brano aumenta, pagina dopo pagina, di interesse strutturale ed emotivo. A pochi passi dalla fine le forze sembrano allentarsi, trovar pace in un inciso cantabile, quand’ecco irrompere a sorpresa, nella ridda della chiusa, forze telluriche non previste. Considerata dai contemporanei “mostruosa”, la Coda in effetti evidenzia tensioni tenute a freno nei primi movimenti: un’inclinazione cara a Beethoven, quella di concentrare un colpo di coda nell’ultima pagina. Non possiamo non riportare la recensione apparsa sulla Liepziger Zeitung: “Un mostro, un vero mostro informe, un drago trafitto che si dibatte indomito, e non vuole soccombere; che al tempo stesso sanguina ma agita rabbiosamente la coda contro i suoi attaccanti”. (Oddio, che stralcio di agghiacciante attualità!).
Dedicata al principe Karl von Lichnowsky (sensibile musicofilo, che era già stato allievo e mecenate di Mozart), la Sinfonia venne eseguita un anno dopo la sua nascita: il 5 aprile 1803, al Theater an der Wien. Programma, come al solito, di robusta costituzione: l’Oratorio “Cristo sul monte degli ulivi”, la prima Sinfonia Op. 21 e il Concerto per pianoforte Op. 15, il tutto infiorato dai tipici corollari minori.
Pettegolezzo. In questo periodo (e fortunatamente per poco tempo!) entrano in scena i due fratelli del compositore, altrimenti occultati dalla storia. Spinti da un’avvilente avidità essi tentarono, con proposte quasi farsesche, di trasformarsi in managers nei rapporti del compositore con le case editrici. La loro presenza si rivelò pericolosamente negativa: fecero di tutto per allontanare Ludwig dai pochi amici che aveva, col solo fine (confessato) di “poter liberamente gestire il denaro del fratello”. Ecco uno stralcio dalla lettera-trattativa che Karl Beethoven inoltrò all’editore Offenbach. “Per il momento abbiamo a disposizione soltanto una Sinfonia (riferimento alla Seconda) e un grande Concerto per pianoforte. Il prezzo di questi lavori è di 300 fiorini cadauno. Se volete invece spendere meno, possiamo offrirVi tre Sonate per pianoforte: esse, comunque, hanno un prezzo non inferiore ai 900 fiorini (in moneta di Vienna, si intende!). Vi preghiamo di farci sapere urgentemente se questi pezzi vi interessano o meno, per non intralciare le trattative con altri editori. Un’ultima cosa: per ciascuna opera da voi pubblicata chiederemo otto esemplari quali diritti d’autore”.
Incapacità e grettezza dei “cassieri” improvvisati: un’altra forma di essere “draghi”…
N. ROTA – Concerto soirée per pianoforte e orchestra
Un giusto onore, finalmente, ad un musicista racé, troppo spesso confinato nel ruolo di “musicante da film” (benché egli stesso avesse candidamente confessato: “Se mi danno del ‘cinematografaro’ non mi offendo!”). Anche grazie all’anniversario (cento anni dalla nascita di Rota: Milano, 1911) si sta verificando un’occasione per riportare luce – con una lettura più mirata, sottile, non “liquidatoria” – questo autore: musicista colto, poliedrico, prolificissimo in ogni campo; compositore dalle sottigliezze non ancora valorizzate in tutta la loro incisività.
Breve profilo biografico. Figlio di una pianista (la sua prima maestra, figlia a sua volta di un compositore e concertista, Giovanni Rinaldi), Nino Rota viene presentato, in tutte le schede biografiche, come strabiliante enfant prodige (a otto anni prende a comporre; a undici debutta – a Milano, poi a Lille in Francia – con l’oratorio L’infanzia di S. Giovanni Battista: una composizione che stregò a tal punto il pubblico che venne richiesto il bis del Finale, brano che il ragazzino si avventurò perfino a dirigere!). Un cenno merita anche l’opera Il principe porcaro (composta a quindici anni) che venne giudicata, fin dal debutto, come capolavoro “maturo, senza sbavature, intenso ed ironico allo stesso tempo”. Dopo un Conservatorio svolto a Milano, sotto la guida di docenti di media rilevanza, ecco materializzarsi i grandi maestri: Ildebrando Pizzetti e Alfredo Casella (sotto la cui guida Rota si diplomò all’Accademia di Santa Cecilia). In seguito: anni di corsi di composizione a Filadelfia; una laurea in lettere; poi la Cattedra di composizione al Conservatorio di Bari, del quale diventa direttore dal 1950. Una vita dal quotidiano non pirotecnico, mentre lo fu la sua effervescenza creativa, ai limiti dell’umano (anche perché scomparso relativamente giovane, nel 1979).
E’ vero che la notorietà di Rota – anche a livello internazionale – la si deve alle colonne sonore dei film, disinvoltamente dedicate a pellicole di primaria o secondaria importanza (il blasone più fulgido rimane comunque la collaborazione-amicizia-complicità con Fellini che, in tutta la sua carriera, si avvalse esclusivamente di lui come “commentatore musicale”; pur non sottovalutando la collaborazione con Visconti, Monicelli, Zeffirelli, Soldati, De Filippo e mille altri). Va però finalmente sottolineato che l’attività del nostro compositore ha spaziato in ogni genere musicale: uno spirito creativo divorato da una curiosità quasi bulimica, magicamente sorretta da una perfetta misura, da una sempre alta padronanza compositiva.
By-passiamo comunque – non essendo la sede – l’imponente cosmogonia filmica (ricordando solamente un particolare, affettuoso-illuminante: la sbalorditiva facilità di Rota nell’improvvisazione al pianoforte gli permetteva di scoprire ed abbozzare le colonne sonore letteralmente “a fianco” del regista, creando in tal modo – parole sue – “l’illusione di comporre sotto la dettatura dell’autore del film”). Posiamo invece l’attenzione sulla produzione “altra” di Rota, della quale il Concerto di questa soirée è un prezioso cammeo.
Si presti attenzione al ragionamento, acuto a mio avviso, di Claudio Ferrarini: “In realtà l’equilibrio tra le oltre cento colonne sonore per film e la sua produzione “altra” è fragile, ma retto sul principio dei vasi comunicanti, secondo l’antica regola dei compositori settecenteschi che richiede di non sprecare una bella idea per una sola composizione: l’autocitazione, in fondo, è la cifra stilistica che da sempre rende inconfondibile un autore di musica”. Ecco: in effetti, quello che un orecchio coglie, fin dal primo ascolto, è l’istintiva adesione del compositore a infiniti “modelli” – tanti, forse troppi, diversi fra loro, antichi o moderni: modelli che a un certo punto, come per trasformazione alchemica, si fondono nella pagina rotiana. Ovvio che l’attenzione può ricondurre certe melodie ai legittimi proprietari (citazioni di Rossini, Ravel, Casella, Stravinski; dei pianisti-tromboni dell’Ottocento; come pure dei sinfonisti viennesi, da Malher a Strauss). Ma c’è qualcosa in più: se è vero che Rota subiva il fascino del “salotto ottocento”, al contempo giocava a fare il verso a se stesso, ad una memoria decadente della quale era intriso. Citava e si auto-citava. Andando ancora oltre: in un paesaggio dove le categorie di tempo e spazio non avevano senso. Rota per altro non credeva nemmeno a differenze qualitative nei vari scomparti della musica: “il termine ‘musica leggera’ – come ebbe a dire – si riferisce solo alla leggerezza di chi l’ascolta, non di chi l’ha scritta”.
Impressionante il catalogo delle sue opere “altre”. Numerosissime le composizioni orchestrali; assai feconda la forma del concerto per solista e orchestra (tutti gli strumenti: dal pianoforte al violoncello, dal clarinetto all’arpa). Preziosa, anche se meno conosciuta dal pubblico, la produzione cameristica, appartata, raffinatissima; intrigante perché in queste pagine sono spesso “sperimentati” dei temi-melodie che, in seguito, si riverseranno nelle colonne sonore. Altrettanto raffinate le composizioni per voce con accompagnamento da camera: opere che consentono di valutare lo spazio sconfinato delle conoscenze letterarie di Rota (si vengono a conoscere i poeti prediletti della sua leggendaria biblioteca su tre piani: da Petrarca a Tagore, da Rabelais a Mallarmé).
Se il pubblico del mondo ha “sacralizzato” la musica di Rota per il cinema (basta pensare all’ultima trionfale tournée in Giappone, accompagnato dalle colonne sonori più celebri), la produzione “altra” (e alta) passò quasi inosservata, e questo per tutto l’arco della sua vita. Figura nobile ed appartata anche nel privato (un privato diviso fra le case di Bari e Torre del Mare), Rota si dedicava come un amanuense del XX secolo alle sue amate partiture: partiture che provava con docenti e allievi del Conservatorio, che correggeva in treno o in aereo, rassicurato dalla famosa valigetta in cui era stipata un’intera cartoleria. Ma non solo vi fu indifferenza: da parte dell’ambiente musicale accademico e/o snob vi fu aperta ostilità, a volte ai limiti della ferocia, a volte ai limiti dello sfottimento.
Per questo, il nuovo calore di oggi verso un facile-difficile personaggio, mostra che i tempi sono cambiati: “spente le polemiche, venuto meno il diktat dell’impegno ideologico, le nuove mode consentono una riabilitazione critica della produzione rotiana, non più solo per consenso popolare, ma a tutti i livelli”.
Le rassegne, oggi, si inseguono. Per ricordare – parole di Giuseppe Grazioli – “uno dei massimi rappresentanti della musica italiana del Novecento, senza tradirlo, senza cucirgli addosso, ancora una volta, l’etichetta di ‘cinematografaro’, come lo chiamavano all’epoca i colleghi ‘seri’”.
E Rota, riconoscente, ci regala questa sera lo splendido Concerto soirée. Più eseguito, più inciso, più amato del primo Concerto per pianoforte (1960, dedicato ad Arturo Benedetti Michelangeli), questo lavoro è entrato con autorità nel repertorio solistico. Composto nel 1961, ebbe la prima esecuzione nel 1962 con l’autore in veste di solista. Il commento di Rota? “Un brano più breve e conciso, ma anche di carattere più leggero e spensierato”. L’opera riporta infatti al clima di una “serata di musiche e di danze del tempo passato”: senza vis polemica, senza leziosismi, senza caricature, senza provocazioni. In questa catena di cinque pezzi – Valzer-fantasia, Ballo figurato, Romanza (delicatissima pagina di nostalgia, forse l’unica), Quadriglia e Can-can – Rota ha voluto rievocare con serenità, senza retorica né ideologismi, un preciso momento di vita e di stile. Notiamo – e questo Concerto ne è un esempio perfetto – che anche quando Rota si allinea alla concezione tonale, procede sempre in modo originale, personale, “croccante”, mai pedissequo: con una capacità di utilizzare il vecchio linguaggio in un modo reso attuale dall’attualità dei contenuti” (Nicola Scardicchio).
“Un nuovo, vero poeta umorista”, parola di Eugenio Montale.
Biglietteria
La sera del Giovedì di questo concerto è inserita nella speciale rassegna: LA MUSICA È GIOVANE.
Clicca qui per ulteriori dettagli.
Abbonamenti e bilgietti in vendita presso:
Biglietteria Ticket One – Teatro Dal Verme
Via San Giovanni sul Muro, 2 – Milano
Tel. 02 87905
Orari d’apertura
Dal martedì al venerdì dalle ore 10 alle ore 18
Sabato e domenica dalle ore 10 alle ore 13
Vendita Online: www.ticketone.it
Il Cast
Direttore: Antonello Manacorda
Pianoforte: Maurizio Baglini
Orchestra: I Pomeriggi Musicali