Le date
Prokofiev – Ouverture su temi ebraici
Gubaidulina – Le sette parole
Shostakovich – Chamber symphony op. 110a
Note di Sala:
a cura di Margherita Senes
S.Prokofiev
Ouverture su temi ebraici op. 34b
Fin dai primi mesi del suo tormentato soggiorno americano, Prokofiev riceve l’invito, da parte degli amici musicisti del gruppo Zimro, a comporre musica da camera ispirata al repertorio tradizionale ebraico. Ad un primo rifiuto, segue il ripensamento che, l’anno successivo, si concretizza nella stesura di un sestetto, con il quartetto d’archi, il pianoforte e il clarinetto, eseguito con grande successo nel gennaio del 1920. Un’effimera soddisfazione per il musicista, vittima di sfortunate coincidenze tra le quali la mancata prima de L’amore delle tre melarance; cosicché di lì a poco, amareggiato e in difficoltà economiche, decide di rientrare in Europa.
Prokokiev, tornato in madre patria, riprende in mano il sestetto quattordici anni dopo l’esecuzione americana, elaborando una trascrizione per piccola orchestra sinfonica di cui esistono due versioni. Più riuscita è sicuramente la seconda, in programma oggi, soprattutto per la ricchezza e l’originalità nella scelta della strumentazione. Inoltre, l’analisi della partitura ha indirizzato gli studiosi a ritenere che la melodia fresca e accattivante, pur sviluppando temi ed elementi tipici della musica ebraica,non fosse un brano originale di quella tradizione, ma frutto dell’invenzione di Prokofiev.
La composizione si articola su una semplice struttura a rondeau e introduce subito l’idea cardine affidata al clarinetto e in successione agli altri legni dell’orchestra per poi lasciare il passo ad una sezione più lirica e malinconica, di grande respiro, interpretata da violoncelli e corni all’unisono. Il marchio d’autore, però, è evidente nell’ efficace accompagnamento ritmico e nella ricercatezza delle armonie, grazie alle quali la melodia si arricchisce di volta in volta in vigore e intensità espressiva. Da segnalare, infine, l’utilizzo non convenzionale del pianoforte, senza particolare rilievo solistico, finalizzato a sostenere, integrare e arricchire i colori dell’orchestra.
S. Gubaidulina
Sette parole
L’odierno concerto propone alla nostra attenzione autori e musiche del Novecento russo, accostando ai familiari Prokofiev e Shostakovich, la compositrice Sofia Gubaidulina, meno nota alle grandi platee, ma nondimeno autorevole e capace, con i suoi lavori, di indicare nuove e significative vie per la composizione musicale contemporanea.
Nel solco dei suoi predecessori, unisce al rigoroso studio accademico, la ricerca e la sperimentazione, senza trascurare, anzi valorizzando moltissimo il patrimonio musicale popolare e gli strumenti tradizionali, di cui sviscera le possibilità timbriche. Negli anni conclusivi dell’Unione Sovietica, patisce censure e condanne alla stregua dell’amato maestro Shostakovich, ma non desiste e, anche grazie all’apprezzamento di grandi solisti, le sue composizioni varcano i confini nazionali, consentendole di inserirsi a pieno titolo nel dibattito musicale di questi ultimi decenni.
Il pensiero musicale di Sofia Gubaidulina si esplicita attraverso alcune componenti costanti: il ricorso a organici inediti, come l’accostamento di strumenti classici e popolari, la concezione simbolica della composizione musicale e, in un secondo momento, l’adozione della serie numerica del Fibonacci.
Il simbolo, secondo la compositrice, è proprio il veicolo privilegiato per mezzo del quale l’idea musicale prende forma, si personifica, diviene ‘fenomeno vivo’, per usare le sue parole, così come l’uso della celebre sequenza del matematico pisano applicata non agli intervalli bensì al ritmo, rispetta l’essenza naturale della musica ed evoca l’afflato vitale.
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In Sette parole, violoncello, bayan e archi rappresentano la metafora della Santa Trinità, interpretando rispettivamente il Cristo, il Padre e lo Spirito Santo. L’autrice traduce la “diversa uguaglianza” delle voci indagando a fondo le possibilità timbriche degli strumenti con esiti sorprendenti, e la simbiosi tra violoncello e bayan è un mirabile esempio di questa ricerca, coinvolgendo e suggestionando l’ascoltatore, che saprà così immedesimarsi nell’agonia di Cristo e cogliere l’essenza delle sue ultime parole. Delle sette sezioni dell’opera, la quarta, “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”, è la più estesa e articolata e si sviluppa attraverso un fitto dialogo, intenso e drammatico tra i solisti e gli archi. In un susseguirsi di nuove modalità esecutive, bayan e violoncello paiono riprodurre il respiro affranto, sfinito del Cristo e, nell’ultima parte della composizione, la voce roca e disperata dell’uomo sulla croce, si affida al sussurro del violoncello per ricongiungere il suo spirito al padre e compiere l’ultimo atto delle Scritture.
D. Shostakovich
Chamber symphony op. 110a
Delle numerose versioni per orchestra da camera del quartetto n. 8, l’unica ad ottenere il consenso di Shostakovich è quella elaborata dal suo amico Rudolf Barshai, direttore d’orchestra e violista, a cui consiglia anche di intitolarla Sinfonia da camera; sopravvive inoltre la didascalia originale del quartetto: “Alla memoria delle vittime del fascismo e della guerra”, che suggerisce la funzione commemorativa della composizione. Tutto questo, però, non deve trarre in inganno.
Quando nell’estate del 1960 Shostakovich scrive il quartetto in soli tre giorni, si trova nei pressi di Dresda, impegnato nella stesura delle musiche per un film sul bombardamento, alla fine del secondo conflitto mondiale, della Galleria d’arte della città. Tornato in Unione Sovietica, scrive all’amico Isaak Glikman «… Ho scritto un quartetto… penso che se un giorno o l’altro dovessi morire, sarà molto improbabile che qualcuno scriva qualcosa in mia memoria. Così ho deciso di farlo io. Tu dovrai semplicemente indicare sul frontespizio ‘Dedicato alla memoria dell’autore di questo quartetto’…».
Come riferisce lo stesso Glikman, Shostakovich attraversa un periodo difficilissimo, dopo la forzata adesione al Partito Comunista; vittima di continue crisi depressive, mette in allarme gli amici più cari, tra cui la giovane Sofia Gubaidulina, e medita intenzioni suicide. Sceglie la dedica alle vittime del fascismo e della guerra per non suscitare sospetti tra i censori del Partito, ma gli intimi sanno che egli si riferisce in particolare ai martiri di Stalin e anche a se stesso.
La composizione si regge su un tema di quattro note (re, mi b, do, si) – che nel sistema alfabetico tedesco corrisponde alle lettere D-S-C-H, iniziali di Dmitri Shostakovich – e su citazioni dal repertorio dell’autore, oltre che di Wagner e Čajkovskij, attingendo anche dalla tradizione popolare delle lamentazioni funebri, molto diffuse in tutto l’Est europeo e in Russia.
Il primo movimento della sinfonia si apre dolorosamente, con l’esposizione dell’idea base, e si sviluppa attraverso un continuum di suoni legati rinnovando così la tradizione antichissima del cromatismo discendente, elemento peculiare del canto funebre; nel secondo tempo, invece, compaiono alcuni stilemi tipici del repertorio popolare, organizzati in una serie di successioni melodiche poggiate su una struttura ritmica ostinata. L’Allegretto si distingue per il tempo di valzer dalle sonorità meccaniche e asciutte e chiude sulla ripresa del Primo Concerto per Violoncello per proseguire poi, senza interruzione, nel Largo, ampio, struggente e cantabile, e di nuovo nel Largo finale che con un mesto crescendo sviluppa e ripropone i concetti del movimento d’apertura e si esaurisce in una successione di lunghi accordi in dissolvenza.
Biglietteria
Abbonamenti e bilgietti in vendita presso:
Biglietteria Ticket One – Teatro Dal Verme
Via San Giovanni sul Muro, 2 – Milano
Tel. 02 87905
Orari d’apertura
Dal martedì al venerdì dalle ore 10 alle ore 18
Sabato e domenica dalle ore 10 alle ore 13
Vendita Online: www.ticketone.it
Il Cast
Direttore: Otto Tausk
Violoncello: Alexander Chaushian
Bayan: Germano Scurti
Orchestra: I Pomeriggi Musicali