Le date
Mahler – Rückert Lieder
Schubert – Sinfonia n. 8 d. 944 (la Grande)
Note di Sala:
a cura di Edgard Vallora
F. SCHUBERT – Sinfonia n.9 D 944 “La Grande”
Premessa laterale. La conoscenza delle Sinfonie di Schubert, fino alla metà del Novecento, era sorprendentemente scarsa. Solo Toscanini, con la sua incisione della Quinta “la Grande” e dell’Incompiuta; ed in Europa solo Furwangler come messaggeri di Schubert. Mentre bisogna arrivare a Eugene Jochum (1957) per conoscere l’integrale delle Sinfonie di questo genio.
Schubert compose le sue Sinfonie tra il 1813 e il 1818, con disinvolta celerità e ritmo costante.
A differenza di Haydn, Mozart e Beethoven, Schubert non si dirigeva né agli ambienti aristocratici, né al pubblico viennese, e ancor meno al mondo musicale in senso lato. Il suo insaziabile “appetito di musica” (buffa definizione di un compositore contemporaneo) lo spinse a creare una montagna di musica, destinata, quasi sempre, ai suoi “compagni di classe”.
Dopo l’apprendistato musicale alla scuola gestita dal padre, quando ottenne un incarico come insegnante, Schubert trovò il terreno a lui più adatto – allievi, colleghi, amici- per alimentare le sue partiture. Leggendari i pomeriggi musicali di Schubert : una combriccola di amici, tutt’altro che dilettanti, che provavano come in famiglia le prodezze di Franz. Tra gli ammiratori più autentici il violinista-direttore Otto Hatwig (che Schubert, ovviamente, sommerse di doni musicali); e proprio la Quinta fu eseguita in prima assoluta in casa di questo musicista. (Anche la Sesta sarà eseguita presso Hatwing: un momento simbolico nella vita del compositore, quand’egli decise di abbandonare il penoso incarico di insegnante, optando per un’esistenza libera. Con tutti i rischi che tale scelta implicava).
Se l’Incompiuta era destinata, volontariamente, a non essere diffusa, la Grande aveva un’altra vocazione (ma poi fu il destino a decidere i loro destini terrestri). Dopo la “prova” a casa diHatwig,
Schubert presentò la Grande, sei mesi prima di morire, presso la Wiener Gesellschaft der Musik-freunde: il pubblico la respinse in quanto “troppo lunga e troppo ardua”.
Occorrerà attendere, per un vero riconoscimento della Sinfonia, Robert Schumann (che nel 1838 scoprì la partitura a casa di Ferdinand, il fratello di Franz): apprezzandone subito le “celesti lunghezze” di quest’opera, la promosse a Liepzig; mentre il 21 marzo 1839 Felix Mendellsohn Bartholdy la presentò al pubblico (in una versione un po’ ritoccata da lui!). Schumann, in quest’occasione, rimarcò “l’indipendenza assoluta” che la Sinfonia manifestava in rapporto al modello beethoveniano (compositore che, per altro, Schubert amava incondizionatamente; e si noti a questo proposito la citazione, nel finale, del passaggio “Tochter aus Elysium” dalla Nona).
Se il giovane Schubert agli inizi aveva ripreso i tratti caratteristici della sinfonia classica, egli vi ritornerà alla fine del suo percorso; dopo un periodo di crisi, illustrata da frammenti di natura sperimentale.
Il suo universo – e la Grande è un esempio parlante – non è più una realtà stabile e fissa: le gioie della modulazione, le incursioni in colorature sperimentali, le “sostituzioni enarmoniche”, le “toniche parallele”: misteri tecnici incomprensibili a noi tutti, ascoltatori, ma miracoli percepibili dalle nostre anime, quando si immergono in questo mare-grande di sensazioni e sfumature mai conosciute prima. A volte serene, a volte enigmatiche, a tratti boulversantes, sempre sublimi. Magistrale è l’Andante iniziale, una premessa molto teatrale che ci accompagna, con un singolare accelerando, nel campo dell’Allegro. Ma è soprattutto nell’Andante con moto che segue, che Schubert scopre un mondo inesplorato: un dramma sonoro, attuato con la totale frammentazione del tema, una sorta di “catastrofe sonora” (K.D.Grawe), una “pagina sovrannaturale (S.Spencer).
Ecco un vero psicodramma musicale, collegabile – per certi versi – ai Lieder di Mahler che seguono.
G. MAHLER – RUCKERT-LIEDER
Due parole introduttive su quella “categoria” che i critici hanno inquadrato come “storicismo musicale”. Nuova attenzione al passato musicale, costituzione filologica di un canone di composizioni classiche, trasformazione della vita concertistica dell’epoca: tutti elementi che si rispecchiano nelle creazioni musicali del tardo secolo XIX. Se da un lato il ricorso a stili antichi ha dilatato i mezzi compositivi, è anche vero che dal silenzioso terremoto dello storicismo è iniziato il processo di “dissolvimento” della sensibilità musicale (M.Querbach). La musica moderna è pervasa di storicismo, per quanto interpretato da attori differenti: troviamo uno Schonberg, che si autonomina erede della grande musica del passato ma compie una rivoluzione epocale; troviamo uno Stravinski che acquista pacchetti di idiomi musicali e li reinterpreta in modo ossequioso-ironico. Proprio attraverso la conoscenza di questo “processo di rifacimento” è possibile giungere ad una migliore comprensione di Mahler. In lui troviamo, in effetti, l’allusione, più o meno velata, a moduli stilistici fino a quel momento estranei alla sinfonia; la ripresa di idiomi divenuti invece familiari; l’introduzione all’interno della sinfonia di figure liederistiche. In breve: gli “elementi di riporto” vivono in tutta la musica di Mahler.
Lied e sinfonia sono due generi collegati in modo particolarissimo nell’opera di Mahler: non solo perché il suo catalogo presenta esclusivamente composizioni per queste due formule, ma anche perché esse si completano a vicenda in un modo che non ha paralleli nella storia della musica. Carattere lirico e carattere sinfonico, melodia pura accompagnata da un complesso lavoro tematico, proprio della Sinfonia, parentesi intime, quasi disincarnate e apparato orchestrale grandioso: un’alternanza continua e estraniante. Se nella prima fase compositiva troviamo un susseguirsi dei due generi, successivamente assistiamo (soprattutto nei movimenti sinfonici lenti) ad un accavallarsi, ad uno sconfinare uno nell’altro, ad una “mescola alchemica” di principi liederistici e principi sinfonici. E’ proprio questo rapporto misterioso di incroci ed innesti che conduce al dissolvimento delle forme originarie. L’ultimo lavoro di questa unione mistica, “Das Lied von der Erde” ( Il canto della terra), è stato paradossalmente definito “una sinfonia con canto a solo” (V. Scherliess).
Nel mezzo del cammin della sua vita, Mahler conosce e musica dieci Lieder di Friedrich Ruckert: i cinque “Kindertotenlieder” (Canti per dei bambini morti) e i cinque brani che ascoltiamo questa sera, per l’appunto indicati come i Ruckert-Lieder. Questo insieme fu composto tra il 1901 e il 1904. Già i titoli mostrano quale sia il legame fra i dieci brani (per quanto diversi nei dettagli): uno stato d’animo commosso-turbato, il tatuaggio della solitudine, la ricerca della rassegnazione. E, ancora una volta, forte è il legame emotivo con l’opera sinfonica dello stesso periodo: basta pensare al famoso Adagietto della Quinta Sinfonia (pagina che, anche grazie alla versione cinematografica della novella di Mann “Morte a Venezia”, è diventato un cult per il grande pubblico) nelle cui pieghe si annida la stessa malinconia, la stessa “morbidezza” fin-de-siècle.
Friedrich Ruckert (1788 – 1866) è entrato nella storia della letteratura tedesca non tanto per le sue doti di scrittore, quanto per la genialità come “maestro del linguaggio”: mirabolante la sua capacità di inventare ingegnose soluzioni poetiche. Oltre a forme poetiche classiche, come il sonetto, curò soprattutto il gazel e altre formule metriche attinte dalla lirica orientale (come professore di filologia orientale Ruckert tradusse anche dal persiano, dall’arabo, dall’ebraico, dall’armeno, dal copto, dal sanscito…) Tanto fragile quanto prolifico: le sue liriche furono pubblicate in gruppi e in “mazzi”, a dozzine, a centinaia, a migliaia (solamente il ciclo dei Kindertotenlieder comprende oltre quattrocento poesie!).
Di questa ricca (fin troppo ricca) produzione, solo una minima parte ha conquistato un posto nell’empireo della poesia tedesca. Lo stesso Ruckert si rese conto di questo fenomeno, quando scrisse (un po’ cripticamente): “Se non avessi composto versi che non ti danno nulla/ non avrei potuto capire ciò che ti dà molto”
Ed ora Mahler. Che cosa può aver spinto questo compositore a mettere in musica dieci poesie di Ruckert? (E tra l’altro non gli fu risparmiata l’accusa – proprio riferita a questa scelta – di avere “un gusto letterario discutibile”). In primis lo colpì la tematica di queste poesie (citiamo T.W.Adorno: “In queste liriche è riposto un nocciolo di sentimento incontrollato, smisurato, e al contempo un tratto di interiorità turbata: liriche che sembra abbiano atteso proprio Mahler”); in seconda istanza lo speciale senso artistico di Mahler poteva, come pochi altri, apprezzare quel linguaggio naturale/innaturale di Ruckert, misto di elaborata artificialità e di autentica urgenza sentimentale. La musica di Mahler rispetta, anzi, esalta la ambivalenza dei versi; così, anche nel campo musicale, il “costruito”, l’artificiale, il concettuale si velano improvvisamente di commozione, o, al contrario, quando il sentimento rischia di debordare nel sentimentalismo, viene trattenuto da un’inattesa virata tecnico-musicale.
Qualcuno ha parlato, riferendosi a questi Lieder di “psicodramma”. E’ vero. Leggiamo sotto quest’ottica l’alternanza continua di oscuramento/ rischiaramento (musicalmente creata dalla successione maggiore-minore) e la trasformazione enarmonica, che determina in ogni pagina una diversa luce e una diversa prospettiva. Mahler, come Ruckert, fa derivare tutte le figure melodiche da un unico motivo germinale, elaborandole mediante variazioni e collegandole fra loro con un tessuto leggero.
Il trattamento dell’orchestra, in ambedue i cicli di Lieder, è degno di attenzione. Non si tratta, come al solito, di Lieder per voce e pianoforte orchestrati in seguito; ma di lavori concepiti intenzionalmente per canto e orchestra. C’è di più: Mahler adopera gli strumenti in modo cameristico, e questo gli permette una sofisticata tavolozza di colori. Inoltre l’”animazione sonora” viene determinata, non solo dai differenti strumenti, ma anche da particolari accorgimenti nella dinamica: a volte alcuni strumenti suonano pianissimo, coperti da altre fonti sonore fortissime; spesso una parte dell’orchestra esegue un crescendo mentre l’altra compagine diminuisce. Una tecnica compositiva raffinatissima per esprimere – come detto sopra – uno psicodramma emotivo. E’ vero che la voce rimane il primo veicolo del messaggio, ma essa non è più separabile dal tessuto strumentale: melodia e accompagnamento orchestrale si fondono in una superiore unità.
Biglietteria
La sera del Giovedì di questo concerto è inserita nella speciale rassegna: LA MUSICA È GIOVANE.
Clicca qui per ulteriori dettagli.
Abbonamenti e bilgietti in vendita presso:
Biglietteria Ticket One – Teatro Dal Verme
Via San Giovanni sul Muro, 2 – Milano
Tel. 02 87905
Orari d’apertura
Dal martedì al venerdì dalle ore 10 alle ore 18
Sabato e domenica dalle ore 10 alle ore 13
Vendita Online: www.ticketone.it
Il Cast
Direttore: Antonello Manacorda
Mezzosoprano: Monica Bacelli
Orchestra: I Pomeriggi Musicali