Concerto - Teatro Dal Verme

Le date

Sala Grande
giovedì 27 gennaio 2011
Ore: 21:00
sabato 29 gennaio 2011
Ore: 17:00

Sibelius – Valse triste; Valse romantique
Sibelius
– Pelléas et Mélisande op. 46
Dvorak
– Sinfonia n. 6 op. 60

Programma di Sala:
a cura di Mariateresa Dellabora

Con le musiche di scena, Jean Sibelius rivela la propensione al bozzetto, al descrittivismo rapido. Crea cioè opere di una certa dimensione, affiancando vari numeri, ognuno dei quali chiuso, autonomo, talora anche sciolto dal soggetto, dal dramma, cui in origine era collegato. L’obiettivo e il conseguente risultato sono dunque molto diversi da quelli perseguiti attraverso la creazione dei poemi sinfonici e delle sinfonie dove i diversi episodi sono strettamente collegati e in continuo divenire. E’ da questa prospettiva che bisogna porsi per intendere nel modo corretto e in linea con la visione dell’autore i brani in programma.

Valse triste nasce originariamente come una delle sei sezioni di Kuolema (Morte), suite per orchestra d’archi op. 44, che Sibelius compose nel 1903 per Arvid Järnefelt e nel 1904 rielaborò con l’intitolazione di Tempo di valse triste-Poco risoluto per un’esecuzione a Helsinki. L’esito fu molto positivo e da allora il brano ha una vita propria. Il senso della composizione viene spiegato dall’autore stesso che descrive una scena notturna in cui una madre malata si risveglia e sogna di danzare al suono di un valzer lontano e leggero dapprima da sola poi mescolata a coppie di ballerini. Esausta sprofonda sul letto e la musica si interrompe. Quindi, raccogliendo tutte le forze, richiama la danza che questa volta si offre ancora più selvaggia ed energica. La strana allegria raggiunge il culmine quando si sente bussare alla porta: la madre lancia un grido disperato, gli ospiti svaniscono, la musica si spegne. La morte sta sulla soglia. Il genere del valzer, molto amato da Sibelius, che aveva come modello quello degli Strauss, è qui rispettato integralmente e adattato ad un organico formato dagli archi ai quali si aggiungono flauto, clarinetto, due corni e timpano. L’esordio, fra pizzicati di archi, è lento e dal carattere esile, subito precisato grazie ad alcune “incertezze” armoniche che creano in modo perfetto il clima brumoso e surreale della scena di delirio. Inizia quindi il valzer su accordi ribattuti che sostengono un semplice e danzante tema cui poco dopo se ne contrappone un altro. Ai due motivi tematici portanti utilizzati in alternanza, si inframmezzerà l’idea cromatica iniziale che, pur composta quasi per caso, come Sibelius stesso amava dire, ha contribuito alla notorietà internazionale dell’autore. Questa idea, che si rivelerà la più importante della composizione, condurrà anche allo stretto finale, dal quale dipenderà il vero “colore” della Valse, in una continua alternanza tra sogno e realtà, in un cullante dondolio tra visioni e dati oggettivi creati da un’orchestrazione molto raffinata, sebbene dispiegata su un esiguo numero di strumenti.

Di altra natura e spessore Valse romantique, composta da Sibelius durante il soggiorno a Berlino verso la fine del 1910 sulla base di una espressa commissione. Riprendendo alcune composizioni precedenti in vista della pubblicazione, l’autore ebbe l’incarico di comporre due pezzi orchestrali simili, vicini per spirito e clima, alla Valse triste del 1904. Nacquero così una Canzonetta in sol diesis minore «per soli archi in sordina» e una Valse romantique per un’orchestra più ampia. A differenza della precedente pagina, questo lavoro è privo di una traboccante ispirazione melodica e non riscosse particolare successo. Le critiche che si raccolsero dopo la prima furono tiepide o negative quale questa raccolta da Sibelius stesso: «la musica è stata un fiasco solenne al teatro finlandese. Non si sentiva niente». Nelle performances successive, soprattutto in ambito londinese, si assistette a una rivalutazione seppure lenta e timida. Si incominciò, ad esempio a rimarcare la delicatezza e la «dolce fantasia» dei temi, la sapiente architettura, l’abile conduzione armonica e quindi a riabilitare gradualmente il brano, che ora è entrato a pieno diritto nel repertorio come quadro di colore.

Nella tarda estate del 1904 Sibelius ricevette l’invito a comporre le musiche di scena per il dramma di Maeterlinck Pelléas et Mélisande in programma a Helsinki in una versione svedese. Egli era dunque il quarto musicista, dopo Debussy, Fauré e Schoenberg, ad avvicinarsi al testo e lo fece di malavoglia, come racconta, eppure con una cura maniacale. Nacque così l’op. 46 presentata a Helsinki il 13 marzo 1905 e dai sette interludi e due melologhi originali scaturì, in un tempo successivo, una suite di nove brevi numeri presentati a Heildeberg nell’autunno, che, come ha rilevato concordemente la critica, si avvicinano a un «impressionismo non tanto di immagini quanto di sentimenti» e superano il clima tardoromantico. All’interno della suite dunque non si deve ricercare una descrizione puntuale di scene o figure e neppure un semplice commento o sottofondo, ma piuttosto il richiamo alla memoria, la suggestione di specifiche situazioni sceniche o sentimenti realizzati a volte con rapidi squarci sonori. E è proprio su questa linea che Sibelius pone l’ascoltatore quando precisò, a proposito delle intestazioni che «non sarebbe neanche artistico se si volessero estrarre ben precise immagini da questi piccoli pezzi di musica assoluta».
La suite definisce le distanze dal poema sinfonico non solo per l’atmosfera, molto intima, ma anche per la dimensione strumentale, decisamente contenuta (piccola orchestra d’archi, due corni e grancassa che, tra l’altro, compare al completo in un solo numero). Il movimento di apertura (Alla porta del castello) crea un’atmosfera austera: è introdotto dagli archi e poi riesposto con l’intervento dei legni e suggellato da severi accordi. Il n. 2 (Melisande) descrive il carattere privo di ogni sensuale passionalità di Melisande attraverso le tenui sonorità del corno inglese sopra un ritmo di valzer leggero, mentre l’orchestra al completo compare nella scena successiva (In riva al mare). Questo numero, che Sibelius soppresse nella versione pianistica, offre una variegata veste timbrica in quanto violini e grancassa creano l’onomatopea della risacca, al di sotto di fluttuazioni semitonali e ostinati andamenti dei legni. Il senso di sospensione è accentuato dall’alternarsi di due armonie che improvvisamente si sospendono e trapassano nel brano successivo (Alla fonte meravigliosa nel parco). Ne Le tre sorelle cieche ricompare il corno inglese che interloquisce con la restante massa orchestrale compatta. La Pastorale è un intimo momento che ricorda l’atmosfera raccolta e soffusa della musica da camera, fortemente contrapposto a Melisande al filatoio in cui è ancora tratteggiato l’infantile e ingenuo carattere della fanciulla. L’Intermezzo prelude alla Morte di Melisande che, dopo un attimo di sfogo e di esplosione, subito si attenua e ripiega in sordina. Il successo della composizione fu immediato e universale e la suite divenne uno dei mezzi più efficaci per mettere ben in luce la perfetta padronanza tecnica di Sibelius e il suo desiderio di sovravanzare il clima tardo romantico.

Tra gli esponenti della musica nazionale ceca del periodo romantico, Antonin Dvořàk, forse più di tutti, cercò di integrare la tradizione colta di stampo tedesco e lo spirito popolare. Adottò le strutture formali classiche, di cui possedeva dominio totale, adornandole con un fecondo e spontaneo lirismo desunto dal mondo popolare non solo boemo e moravo ma anche slovacco, polacco, russo e perfino americano e talora addirittura divertendosi a ricreare a tavolino temi folcloristici.

La sesta sinfonia in re maggiore op. 60 fu composta nel 1880 con la dedica a Hans Richter, direttore dell’Orchestra filarmonica di Vienna. La prima esecuzione tuttavia avvenne a Praga l’anno seguente sotto la direzione di Adolf Cech a capo dell’Orchestra filarmonica ceca e soltanto nel 1882 Richter, che si era espresso entusiasticamente durante la prima lettura, la diresse a Londra. Fu la prima sinfonia ad essere pubblicata (editore Simrock) e la prima ad imporre l’autore a livello internazionale. Essa risente fortemente dell’influsso beethoveniano, ma non nasconde neppure un forte richiamo all’opera brahmsiana. Beethoven, figura-mito nell’ambiente viennese, viene ripreso ad esempio nei procedimenti espositivi evidenti soprattutto nel primo tempo Allegro non tanto, nell’apertura del movimento lento (Adagio), in certi moti melodici del terzo (Scherzo.Presto) che ricordano la nona sinfonia. A Brahms si allude invece per il ricorso all’identica tonalità, per le agogiche, per certi procedimenti di sviluppo e ripresa (presenti non soltanto nel primo movimento) e infine per il carattere. Il riferimento a questi modelli tuttavia non lede la spontanea vena creativa di Dvořàk, che rivela se stesso nella ricchezza dell’invenzione melodica, nella sapiente combinazione dei temi, nella padronanza della forma e della forza espressiva. Ad accentuare l’originalità della composizione è poi l’uso dell’elemento popolare, evidente in tutti i tempi che spesso prendono corpo da idee ceche e poi le celano abilmente, ma soprattutto nello ScherzoFuriant, marcatamente ritmico e travolgente, che ottenne un successo entusiastico fin dalla prima esecuzione e che venne bissato durante la stessa sera. Il movimento finale – Allegro con spirito – conclude grandiosamente la pagina, offrendo un perfetto equilibrio tra i vari episodi abilmente connotati dalle diverse combinazioni timbriche e dominati da un impulso ritmico irresistibile.

Biglietteria

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Tel. 02 87905

Orari d’apertura
Dal martedì al venerdì dalle ore 10 alle ore 18
Sabato e domenica dalle ore 10 alle ore 13
Vendita Online: www.ticketone.it

Il Cast

Direttore: Daniel Kawka
Orchestra: I Pomeriggi Musicali