Concerto di Natale - I Pomeriggi Musicali - Teatro Dal Verme

Le date

Sala Grande
giovedì 16 dicembre 2004
Ore: 21:00
sabato 18 dicembre 2004
Ore: 17:00

Giovedì 16 dicembre, ore 21 Teatro Dal Verme
Sabato 18 dicembre, ore 17   Teatro Dal Verme
Mercoledì 15 dicembre, ore 21 Gallarate, Aloisianum
Venerdì 17 dicembre, ore 21 Bergamo, Sala Congressi
Domenica 19 dicembre, ore 21 Saronno, Teatro G. Pasta
Martedì 21 dicembre, ore 20.30 Sesto San Giovanni, Teatro Rondinella
Mercoledì 22 dicembre, ore 21 Vigevano, Teatro Cagnoni
Giovedì 23 dicembre, ore 21 Canzo, Teatro Sociale

Direttore:
Jean-Paul Penin
Orchestra:
Orchestra I Pomeriggi Musicali

Orchestra:
Achille-Claude Debussy (1862 – 1918)
Petite suite, per orchestra (trascrizione di Henri Büsser)
En bateau
Cortège
Menuet
Ballet

Clément-Philibert-Léo Delibes (1836 – 1891)
Le roi s’amuse, suite per orchestra
Gaillarde
Pavane
Scene du Bouquet
Lesquercarde
Madrigal
Passepied
Finale

Jacques Offenbach / Jean-Paul Penin
Fantasia per orchestra “Nuits Parisiennes”
Ouverture
Chant d’olympia
Valse de galop
Valse
Valse
Barcarole
Final Galop infernal

Il Concerto
a cura di Paolo Castagnone

«La musica è destinata all’inesprimibile: vorrei che uscisse come dall’ombra e che, in certi momenti, vi rientrasse»
[Claude Debussy]

Una bella mattina di primavera del 1884, il professor Léo Delibes non si reca a tenere la sua abituale lezione di composizione al Conservatorio di Parigi. Agli allievi che l’attendono, disciplinati e silenziosi, si presenta invece un loro coetaneo, alunno di un altro insegnante. Si chiama Claude Debussy ed esordisce dicendo : «E’ giunta l’ora di dare un po’ di buon cibo agli orfanelli di questa classe». Poi si mette al pianoforte e mostra loro, senza smettere di parlare, cose inimmaginabili dal punto di vista dell’armonia scolastica. La seduta dura a lungo, finché un ispettore della gloriosa istituzione parigina non entra nell’aula e lo espelle. La bravata, costata al futuro autore del Pelléas et Mélisande una semplice ramanzina, è emblematica di una personalità in cerca di una propria autonomia di pensiero rispetto a un mondo accademico che, per altro, non gli lesinò riconoscimenti e sostegno. A cominciare dall’insegnante di pianoforte Antoine Marmontel, il quale gli procurò diversi lavori estivi per contribuire al suo sostentamento economico. Fu così che divenne pianista privato della protettrice di Cajkovskij, Nadezda Von Meck, la quale era alla ricerca di un bravo musicista disposto a seguirla nei suoi spostamenti in tutta Europa. La nobildonna lo ingaggiò anche come partner con cui suonare a quattro mani e significativamente proprio agli anni della giovinezza risalgono ben tre composizioni di Debussy per tale formazione cameristica (durante la maturità scriverà soltanto le Six Epigraphes antiques). Tra queste si distingue, per il livello di maturità raggiunta, la Petite Suite, costituita da quattro brevi pezzi in cui – come scrisse il grande filosofo Jankélévitch – «viviamo episodi ed eventi sconnessi di una storia che è rapsodia di piccoli fatti».

La raccolta nacque nel 1889 con “l’umile intento di procurare piacere”; in realtà si tratta di una pagina di grande fascino per la notevole ricchezza sonora e di scrittura. Anche se la suadente cantabilità è riconducibile alle esperienze di Fauré, Gounod e Massenet – i massimi rappresentanti del suadente e aristocratico intimismo francese – già affiora nel ventisettenne musicista una sensibilità armonica che ingentilisce e illumina la felicità dell’ispirazione, facendo intuire un linguaggio di grande forza innovatrice. La versione orchestrale – già latente nell’originale – fu realizzata nel 1907, con piena soddisfazione dell’autore, da Henri Büsser. Il primo episodio, En bateau [In battello], è una dolce, cullante barcarola, il cui tema si libra fra un effluvio di arabeschi. Le cortège [Corteo] manifesta invece un passo elegante e compassato, a cui atmosfera è ripresa nel malinconico Menuet, dalla scrittura raffinata e arcaica. La Suite si conclude brillantemente con lo slancio gioioso del Ballet, nel quale risalta, in posizione centrale, un lirico motivo di valzer.

«La musica di Delibes è ritmicamente fresca e ricca, raffinata nell’orchestrazione»
[un critico de La France Musicale nel 1866]

Léo Delibes – l’insegnante bonariamente sbeffeggiato da Debussy nell’episodio rammentato in apertura di programma – fu in realtà un compositore di primo piano nella Francia del secondo Ottocento. Battezzato nel 1836 come Clément-Philibert-Léo, ma destinato a passare alla storia della musica con l’ultimo prenome, fu allievo di Adolphe Adam, la cui fama è legata al balletto romantico per antonomasia : Giselle. La parabola artistica del discepolo è sostanzialmente identica a quella del maestro, l’uno e l’altro impegnati nel teatro d’opera, ma destinati alla fama e alla memoria dei posteri soprattutto come autori di musiche coreografiche.

L’autore di uno dei massimi capolavori della danza, Coppélia, ebbe la prima occasione di mostrare le proprie capacità allorché Jacques Offenbach fondò a Parigi il teatro dei Buffes Parisiens. E’ il 1855 e Delibes è pronto all’esordio in un ambito che gli prodigherà enormi soddisfazioni, liberandolo dagli impacci accademici : l’operetta. Siamo nei primi anni del Secondo Impero e Parigi è in piena espansione economica e urbanistica. In questa atmosfera contrassegnata dalla gaiezza il musicista francese, facendo leva sulle sue innegabili doti di orchestratore,  ottiene successi sempre maggiori, accattivandosi i favori di un pubblico gaudente e raffinato.

Progressivamente si cimenta con i generi più diversi, fino ad approdare anche all’esperienza delle musiche di scena, che Delibes – come molti artisti dell’epoca, da Gounod a Massenet – considerava un’attività collaterale rispetto ai suoi impegni operistici. L’occasione si presentò quando gli venne proposto di collaborare alla rappresentazione di due notissimi drammi di Victor Hugo : Ruy Blas e Le roi s’amuse [Il re si diverte]. I brani ideati per quest’ultimo lavoro vennero composti nel 1882 con l’intento di creare un’ambientazione rinascimentale e furono presto raccolti in una suite orchestrale, preziosa ghirlanda di antiche danze.

Nella partitura nulla sembra richiamarsi alla tragicità della pièces, utilizzata qualche decennio prima dal Piave per approntare il libretto del Rigoletto verdiano. La struttura di queste pagine mostra invece una felice e fervida indole melodica, mai disgiunta da una naturale tendenza al ritmo. Fin dall’iniziale Gaillarde – abile parodia della danza cinquecentesca – emerge il nobile eloquio dei violini, cui segue, nella Pavane, un tema lento e dolcissimo, espressivamente non lontano dall’ampio arco espressivo dei violoncelli che dà vita alla Scenedu Bouquet. Lesquercarde introduce una vitalità percussiva, che si contrappone all’elegantissimo e soavemente danzante Madrigal. Concludono il polittico la Passepied impreziosita dal pizzicato degli archi e il Finale di grandiosa nobiltà. Complessivamente nella composizione prevale una spiccata sensibilità per una scrittura di sapore modale, che Delibes saprà portare a piena maturità con l’esotismo del proprio capolavoro operistico : Lakmé.

«Non so davvero che cosa ho potuto fare al Buon Dio perché Egli mi abbia colmato di tanta felicità e tanta musica»
[Jacques Offenbach]

Nel 1855 Napoleone III – che Victor Hugo chiamava con disprezzo “Napoleone il piccolo” – organizzò la sua prima Esposizione Universale, immagine trionfante della Francia imperiale e apoteosi della grande borghesia, che in essa vedeva la materializzazione del Progresso. Grazie al gran numero di iniziative culturali nate per l’occasione si poté manifestare il talento di Jacques Offenbach, un ebreo di origine tedesca ma francese d’adozione, che sfruttò abilmente l’enorme afflusso di pubblico per affermare compiutamente la propria verve musicale. Il genere nel quale si cimentò con indiscutibile successo fu quello dell’operetta, una forma di teatro estremamente ambigua. Era un’arte complice e nello stesso tempo nemica del regime e della società del tempo : apparentemente inoffensiva per la sua vernice di inverosimiglianza, compiaceva la classe dominante e parimenti ne derideva ogni aspetto esistenziale.

La sintesi migliore di quel clima culturale è stata mirabilmente tracciata da Alain Decaux : «Canzonatura dei grandi, ingenuità dei piccoli, precarietà degli onori, puerilità dei complotti, della politica, dell’importanza militare. Niente è serio fuorché l’amore. Tutte le vanità umane, tutti i drammi quotidiani, si mischiano per formare una spuma pronta a volatilizzarsi in bolle che invitano all’oblio delle responsabilità». E’ pur vero che oggigiorno ci è difficile cogliere ogni insinuante intenzione del musicista e dei suoi librettisti, poiché ci sfuggono la maggior parte dei riferimenti ai personaggi presi alla berlina. Resta tuttavia la sorridente crudeltà del linguaggio satirico e, soprattutto, rimane immutato l’alto valore musicale delle sue partiture.

Da qui Jean Paul Penin è partito per comporre la Fantasia “Nuits Parisiennes”, personale rievocazione dell’atmosfera di «un viale parigino, all’alba di una bella giornata d’estate, nel 1864…». L’ascoltatore vi ritroverà «alcune tra le pagine più famose di Offenbach – da La Périchole e La vie perisienne a Les contes d’Hoffmann – suggellate da un gran finale, il celebre galop dell’Orphée aux enfers. Un inferno dove ci si diverte molto più che sulle cime dell’Olimpo e nel quale l’intero Parnaso, stanco del sublime, di virtù e d’ambrosia, decide di accompagnare il povero Orfeo, condannato da Giove e dall’Opinione Pubblica ad andare aprendere la sua assai poco fedele Euridice».

Un altro aspetto che possiamo gustare in colui che Rossini amava definire “le petit Mozart des Champs Elysées” è la sua impareggiabile abilità di strumentazione. «Offenbach – prosegue Penin – è stato un autentico virtuoso della tavolozza timbrica. Là un flauto, qui due clarinetti, più lontano un corno che raddoppia un oboe. Nessuna incongruenza in tutto questo, al contrario, delicatezza, trasparenza, leggerezza o, al suo comando, un’energia scatenata.Dovendo orchestrare le parti vocali dei solisti e dei cori, ho cercato di rispettare lo spirito originale e gli equilibri previsti dal compositore. E’ affascinante, per esempio, rinforzare i flauti – che potrebbero sostituire un po’ banalmente la linea del soprano – con un tocco dell’oboe, del clarinetto o del violoncello nel registro acuto. Si ritrova, in fondo a questi giochi di colori, il lavoro che si è fatto con i cantanti, ma trasferito in ambito strumentale».In tutta la Fantasia è possibile respirare l’aria frizzante delle sere più spensierate della Ville lumière, così rievocate da un cronista dell’epoca : «E’ l’ora più splendida. All’Opéra si canta e si danza, i teatri traboccano di gente spensierata, i caffè concerto sono in festa. Cento luoghi di delizie si schiudono uno dopo l’altro, mentre nei quartieri più ricchi lunghe file di carrozze costeggiano i marciapiedi. E se alzate gli occhi, luci soffuse filtrano da stupende dimore… Parigi si diverte !».

Jean-Paul Penin
Direttore d’Orchestra
Svolge gli studi musicali al Conservatorio di Strasburgo e al Conservatorio NazionaleSuperiore di Musica di Parigi. Si perfeziona poi, grazie ad una borsa di studio della FondazioneFulbright, a San Francisco. Vincitore del concorso per giovani direttori d’orchestra di Tokyo,diventa assistente di Lorin Maazel all’Opera di Vienna e, successivamente, direttore stabiledella Filarmonica Nazionale di Cracovia.
Dirige il Conzertgebouw di Amsterdam nel Secondoconcerto per pianoforte di Messiaen alla presenza del compositore ed in seguito a ciò, nel1993, le Edizioni Baerenreiter gli affidano, sotto l’egida dell’UNESCO, la revisione dellaMessa Solenne di Berlioz, appena riscoperta. Penin ne effettua poi la prima registrazionemondiale, televisiva e discografica per France-Television e France Musique. Nel settembre2000, dirigendo l’Orchestra Nazionale della Radio Ceca, inaugura a Praga il Festival Dvorak inoccasione della designazione di Praga come Capitale Europea della Cultura. Nel gennaio 2002dirige la Filarmonica di Dresda e il concerto viene trasmesso in 23 Paesi. Nel 2004 torna aDresda per dirigere un programma di musiche di Berlioz con la Staatskapelle. Oltre alla MessaSolenne di Berlioz, si devono a Penin tre prime registrazioni mondiali: Ferdinando Cortes diSpontini, Freischutz di Weber nella versione francese con i recitativi di Berlioz e Gwendoline di Chabrier. Nel 2005 è prevista un’altra prima registrazione mondiale, l’Edipo a Colono di Andonio Sacchini.
Il lavoro e l’impegno con l’Orchestra Filarmonica di Cracovia sono valsi a Jean-Paul Penin la nomina a Ufficiale dell’Ordine di Merito della Repubblica Polacca, conferitagli dal Presidente Lech Walesa.