Direttore: Alessandro Cadario, Pianoforte: Viviana Lasaracina - I Pomeriggi Musicali - Teatro Dal Verme

Le date

Sala Grande
giovedì 02 marzo 2023
Ore: 10:00*
giovedì 02 marzo 2023
Ore: 20:00
sabato 04 marzo 2023
Ore: 17:00
*I Pomeriggi in anteprima

Un altro atteso ritorno è il 2 e il 4 marzo quello della giovanissima pianista Viviana Lasaracina con le Variazioni sinfoniche per pianoforte di César Frank e Alessandro Cadario sul podio che completa il programma con la Pavane di Fauré e la Sinfonia “Scozzese” di Mendelssohn.

Programma

Gabriel Fauré (1845 – 1924)
Pavane in fa diesis minore, op. 50
  Andante molto moderato

César Franck (1822 – 1890)
Variazioni sinfoniche per pianoforte e orchestra
  Poco allegro

Felix Mendelssohn – Bartholdy (1809 – 1847)
Sinfonia n. 3 in la minore “Scozzese”, op. 56
  Andante con moto. Allegro un poco agitato. Assai animato
Vivace non troppo
Adagio
Allegro vivacissimo. Allegro maestoso assai

Direttore Alessandro Cadario
Pianoforte Viviana Lasaracina
Orchestra I Pomeriggi Musicali

Biglietteria

Intero
I settore € 20,00 – II settore € 14,50 – Balconata € 11,00 + prevendita
Ridotto
I settore € 16,00 – II settore € 12,50 – Balconata € 9,00 + prevendita

Note di sala

Tre studi sulla malinconia

di Raffaele Mellace

Le pagine in programma sembrano proporre altrettante variazioni sul tema della malinconia. Da prospettive diverse restituiscono la voce della sensibilità del Nord Europa in pieno Ottocento, tra Parigi e la Scozia filtrata tramite la sensibilità d’un romantico amburghese. Non che la malinconia rappresenti l’unica, monotona corda dei tre lavori, ma è forse il filo che meglio li accomuna. La pagina più recente, opera dell’autore più giovane, è la celeberrima Pavane in fa diesis minore che Gabriel Fauré compose nel 1887 per una serie di concerti estivi e ben presto accompagnò a un coro invisibile con eventuale intervento coreutico, dedicando questa versione più ambiziosa alla mecenate contessa Elisabeth Greffuhle. Il 25 novembre 1888 il pezzo veniva proposto in prima esecuzione assoluta nella veste orchestrale a Parigi per i Concerts Lamoureux. I Ballets Russes di Sergej Djagilev l’accoglieranno nel loro repertorio come Las Meninas, mentre trent’anni più tardi Fauré lo riprenderà nel divertissement Masques et bergamasques. Il titolo si riferisce idealmente, secondo quel gusto arcaicizzante fin de siècle che coinvolgerà anche Ravel, alla danza lenta cinquecentesca, popolare anche nel Seicento, in 4/4, dall’andamento composto e solenne, quasi funebre, di norma accoppiata a una veloce gagliarda. Irresistibile è la suggestione che promana dal magnifico tema onnipresente – dal carattere ondivago tipicamente tardoromantico – esposto in apertura dal flauto e amplificato dall’intera compagine orchestrale, peraltro contenuta (oltre agli archi contempla legni e corni a coppie), in un contesto armonico raffinato ed estenuato.

La corda della malinconia risuona anche nelle Variations symphoniques con cui César Franck realizzò nel 1885, superata da tempo la boa dei sessant’anni e aggirate le sirene del teatro lirico, uno dei suoi lavori di maggior fortuna. Dedicate al pianista Louis Diémer in segno di riconoscenza per aver tenuto a battesimo trionfalmente il poema sinfonico Les Djinns, avviate nell’estate e concluse nel mese di dicembre, le Variations symphoniques furono presentate il 1° maggio 1886 dallo stesso Diémer con l’Autore sul podio alla Société Nationale de Musique, della quale proprio nell’anno in cui moriva Liszt Franck assumeva la guida, consolidando la consacrazione del non più giovane musicista belga come figura eminente della Parigi di Chabrier e Chausson, Dukas, Duparc e Saint-Saëns, guida d’una generazione intera di compositori francesi. I riferimenti delle Variations andranno ricondotti al magistero classico (la contrapposizione tra il solista e l’orchestra richiama irresistibilmente alla memoria il riferimento al Quarto concerto per pianoforte di Beethoven), per cui lo studio della forma, di grande chiarezza e nitore, prevale su qualsiasi tentazione narrativa romantica: né il pianoforte né l’orchestra prevaricano mai in protagonismo, contribuendo piuttosto l’uno e l’altra allo sviluppo progressivo dei due temi contrapposti esposti dall’inizio.

Nel corso d’un viaggio in Scozia nella primavera 1829, il ventenne Mendelssohn, lettore appassionato di Schiller, fu colpito dalla visita a Edimburgo del severo Holyroodhouse Palace, dimora di Maria Stuarda. In quell’occasione annotò: «Credo d’aver trovato oggi l’attacco della mia Sinfonia scozzese». In realtà, dalle 16 battute buttate giù in un taccuino fu necessario attendere ben più d’un decennio (abbozzata già nel 1830 durante il soggiorno in Italia, la sinfonia fu interrotta perché l’Autore non si sentiva «in grado di rivivere dentro di sé la caliginosa scena scozzese» al sole di Roma) perché il lavoro vedesse la luce, per essere terminato il 20 gennaio 1842, benché porti il n. 3 e sia l’ultima e più matura tra le sinfonie mendelssohniane (le nn. 4 e 5, pubblicate postume, la precedono infatti d’un decennio nella stesura). Dedicata alla regina Vittoria, fu tenuta a battesimo il 3 marzo 1842 al Gewandhaus di Lipsia, diretta dall’Autore stesso, e accolta trionfalmente nella Londra tanto favorevole a Mendelssohn il 13 giugno 1843 alla Philarmonic Society. Capolavoro del sinfonismo ottocentesco, ancora ammirata e studiata decenni dopo da un grande sinfonista come Bruckner, stupirà probabilmente per la grande varietà, al limite dell’eterogeneità, che caratterizza i quattro tempi, a loro volta articolati in più sezioni interne contrastanti, varietà che Mendelssohn ha inteso rimarcare prescrivendo che essi vengano eseguiti il più possibile senza soluzione di continuità. Restituzione di atmosfere sentimentali più che frutto di citazioni etnomusicologiche, la sinfonia si apre su un tema malinconico ed evocativo in Andante e la minore: riproposto al termine dello splendido e inquieto Allegro un poco agitato come transizione al II tempo, resterà ben impresso nella memoria del pur antisemita e anche per questo ostile Wagner, che se ne ricorderà per il fondamentale motivo dell’Annuncio di morte nell’Anello del Nibelungo. Lo Scherzo (Vivace), eccezionalmente in forma sonata, dalla mobilità e trasparenza quasi mahleriane – il baldanzoso I tema pentatonico, esposto dal clarinetto, costituisce un evidente richiamo folklorico – cede il passo alla poesia lirica dell’Adagio, dal melos tipicamente mendelssohniano, ma in cui qualcuno ha visto l’influenza del Quartetto op. 74 “delle arpe” di Beethoven, turbata dall’apparizione d’una solenne e sinistra marcia funebre in modo minore. Chiude la sinfonia il trascinante Allegro vivacissimo (originariamente intitolato Allegro guerriero), la cui vitalità ritmica conosce una svolta imprevista che conferisce alla sinfonia una direzione teleologica precisa e riannoda i legami con gli altri movimenti. Nel La maggiore che era stato dell’Adagio si alza infatti dai corni e da altri strumenti nel registro grave un inno in Allegro maestoso assai, non ignaro del tema introduttivo della sinfonia, apoteosi trionfale che celebra le memorie delle leggendarie epopee delle Highlands, degna conclusione d’una sinfonia profondamente nutrita di passioni e miti romantici.