Direttore: Benjamin Bayl - I Pomeriggi Musicali - Teatro Dal Verme

Le date

Sala Grande
giovedì 20 aprile 2023
Ore: 10:00*
giovedì 20 aprile 2023
Ore: 20:00
sabato 22 aprile 2023
Ore: 17:00
*I Pomeriggi in anteprima

Il 20 e 22 aprile Benjamin Bayl, direttore olandese e australiano, presenta l’Ouverture in Sol minore di Schubert nell’orchestrazione di Giulio Castronovo in prima assoluta, seguita dalla rara Sinfonia n. 1 di Méhul e dalla “Jupiter” di Mozart.

Programma

Franz Schubert (1797 – 1828)
Ouverture in sol minore, D668 (orchestrazione di Giulio Castronovo in prima esecuzione assoluta)
Adagio. Allegretto

Étienne Nicolas Méhul (1763 – 1817)
Sinfonia n. 1 in sol minore

Wolfgang Amadeus Mozart (1756 – 1791)
Sinfonia n. 41 in do maggiore “Jupiter”, K 551
Allegro vivace
Andante cantabile
Minuetto e trio. Allegretto
Molto Allegro

Direttore Benjamin Bayl
Orchestra I Pomeriggi Musicali

Biglietteria

Intero
I settore € 20,00 – II settore € 14,50 – Balconata € 11,00 + prevendita
Ridotto
I settore € 16,00 – II settore € 12,50 – Balconata € 9,00 + prevendita

Note di sala

Giano bifronte

di Raffaele Mellace

Nell’estate 1788 Mozart chiudeva prematuramente i conti con la sinfonia. I due lavori estremi, le Sinfonie nn. 40 e 41, completate a quindici giorni di distanza, non potrebbero assomigliarsi meno, a cominciare dalle tonalità (cariche di significati simbolici per il compositore dell’epoca). Il concerto odierno ripropone il Giano bifronte dell’estremo dittico sinfonico mozartiano, sostituendo alla Sinfonia n. 40 due lavori nel medesimo Sol minore, che si contrappongono con altrettanta evidenza al Do maggiore della Sinfonia n. 41. Inaugura il concerto l’Ouverture D668 di Schubert, una pagina pervenutaci per pianoforte a quattro mani che ascolteremo in prima esecuzione assoluta nella trascrizione orchestrale del quarantenne Giulio Castronovo. In realtà l’origine di questo lavoro, composto nel 1819, è dubbia: si conta, con quella in Fa minore d675, tra le uniche due ouverture destinate direttamente al pianoforte e non trascritte da pagine operistiche; la circostanza della riscoperta del manoscritto – rinvenuto immacolato da correzioni e cancellature tra le carte d’un amico del fratello di Schubert, Ferdinand, nel 1896, a quasi settant’anni dalla morte dell’autore – parrebbe avvalorare l’ipotesi che si tratti della versione pianistica di un lavoro scritto in partenza per l’orchestra e andato perduto nella veste originaria.
La ricostruzione della partitura sinfonica da parte di Castronovo si è basata su uno studio attento delle usanze schubertiane, in uno sforzo di mimesi non solo stilistica ma fin nel dettaglio della tecnica di strumentazione. Particolare attenzione è stata riservata all’impiego degli ottoni, poiché le limitazioni degli strumenti naturali rispetto a quelli moderni imponevano comportamenti pressoché obbligati. Come che sia, l’Ouverture attraversa tre regioni: un evocativo Adagio introduttivo, un ampio Allegretto a ritmo di marcia, sottile e complesso sul piano armonico, oscillante tra maggiore e minore, connotato dalla scrittura caratteristica e avvincente di taluni Momenti musicali, per concludere con la coda brillante ed euforica di un Allegro vivace che ribalta in maggiore il Sol minore d’impianto.

In questa tonalità si presenta anche la Sinfonia n. 1 di Étienne Nicolas Méhul, figlia dello sviluppo d’un cospicuo sinfonismo di qualità, autonomo rispetto ai modelli viennesi, nella Parigi di Napoleone, benché in questo caso specifico l’ascoltatore abituato al Mozart del Don Giovanni e, lo vedremo, a Beethoven, vi troverà una certa aria di famiglia. Operista di razza, di formazione gluckiana e autore tra molto altro d’un Joseph (1807), Méhul aveva già imboccato la via della sinfonia nel 1797. Dal 1800 era possibile sfruttare i Concerti del Conservatorio, serie prestigiosa dalla direzione artistica dello stesso Méhul e di Luigi Cherubini, per la quale il compositore francese scrisse entro il 1810 quattro lavori, lasciando un quinto incompiuto. Il primo oggi in programma risale al 1808 (anno al termine del quale Beethoven presentò a Vienna la Quinta e Sesta Sinfonia; il lavoro di Méhul fu forse presentato il 3 novembre) e spicca per il pathos potentemente drammatico che lo percorre. Nel 1838 la Sinfonia venne diretta da Mendelssohn a Lipsia, dove l’avevano ascoltata sin dal 1810, suscitando il genuino interesse di Schumann. Inaugurata da una gestualità ispirata al tragico, offre il momentaneo ristoro di un Andante in Si bemolle maggiore, una serie di variazioni sulla melodia natalizia Venez, divin Messie, dall’avvio cordiale, ben presto tuttavia contraddetto da una scrittura sospirosa e affannosa. Un originale Scherzo (Allegro moderato) in pizzicato lascia infine il passo alla pagina più coinvolgente della partitura, l’Allegro agitato conclusivo, attraversato da continue sferzate d’energia e spinto in avanti da un’urgenza cui contribuisce in misura determinante la propulsione del ritmo acefalo: caratteristiche in cui sono state ravvisate, già dallo stesso Schumann, analogie con il sinfonismo beethoveniano, in particolare con la coeva Quinta Sinfonia.

Lo scenario si trasforma nell’ultima sinfonia di Mozart, completata il 10 agosto 1788. Nota con il nomignolo di “Jupiter”, forse coniato dall’impresario Johann Peter Salomon, rappresenta la summa di un’intera esperienza compositiva, estremo contributo, benché a tre anni e 80 numeri di catalogo dalla scomparsa dell’autore, al genere che Beethoven avrebbe consacrato come il più illustre della musica assoluta. Sintesi suprema di esperienze musicali, culturali ed esistenziali, la “Jupiter” realizza una perfetta convivenza di solenne e intimo, serio e faceto, dotto e cordiale, in un organismo che cela miracolosamente le giunture al punto da convincere l’ascoltatore che il fluire d’un linguaggio nel suo opposto sia naturale («naturalissimo», chioserebbe Figaro). Si considerino l’insinuarsi a sorpresa, nel grandioso i tempo, di un petulante terzo tema, poi fondamentale nello sviluppo e nella coda, tratto dall’aria Un bacio di mano K541 che Mozart aveva scritto per l’opera buffa di Anfossi Le gelosie fortunate, in scena quell’anno a Vienna. La citazione, corrispondente ai versi «Voi siete un po’ tondo, / mio caro Pompeo; / l’usanze del mondo / andate a studiar», fa precipitare il livello stilistico, animando l’architettura sinfonica col bonario cicaleccio del teatro giocoso alla moda: irruzione, scrive Carli Ballola, d’«un Eros fanciullo sorpreso a strappare le penne dell’aquila» di Giove. All’altro capo della Sinfonia, il tema che inaugura il Finale risale “per li rami” a un antico soggetto gregoriano, il Magnificat del 3° tono, impiegato per secoli, anche da Mozart (nel Credo della Missa brevis K192) che qui lo colloca alla base di un tempo sì in forma sonata, ma innervato, tramite i procedimenti della fuga, d’un tale tasso di polifonia da proporre la combinazione in contrappunto multiplo di ben cinque idee tematiche, in una sintesi inedita tra moderno linguaggio sonatistico e antico e venerando magistero polifonico. Con la “Jupiter” Mozart non ci offre però solo un capolavoro di abbacinante, mirabile ingegneria compositiva, una «grandiosa apoteosi, paragonabile a un vertiginoso trionfo tiepolesco» (Massimo Mila), ma eleva un messaggio tutto interiore di serena, olimpica utopia che trascende qualsiasi dolore: messaggio che troverà nel Flauto magico, al limitare della morte, il sigillo definitivo.