Wolfgang Amadeus Mozart (1756 – 1791)
Rondò per pianoforte e orchestra K382
Concerto n. 20 per pianoforte e orchestra K466
Concerto n. 23 per pianoforte e orchestra K488
direttore e pianoforte Louis Lortie
Orchestra I Pomeriggi Musicali
Mozart nel “regno del pianoforte”
Una festa mozartiana, protagonista il pianoforte, strumento in cui il Salisburghese troverà a Vienna il compagno privilegiato, dedicandosi a un genere, il concerto per pianoforte e orchestra, che è forse la sintesi più compiuta del pensiero strumentale mozartiano.
Biglietteria
Prezzi dei singoli biglietti
Intero
I settore € 20,00 – II settore € 14,50 – Balconata € 11,00 + prevendita
Ridotto (fino a 26 anni, oltre i 60 anni, gruppi, associazioni ed enti convenzionati)
I settore € 16,00 – II settore € 12,50 – Balconata € 9,00 + prevendita
Note di sala
Il penultimo appuntamento della stagione è una festa mozartiana, protagonista il pianoforte, strumento in cui il Saliburghese troverà a Vienna il compagno privilegiato, dedicandosi a un genere, il concerto per pianoforte e orchestra, che è forse la sintesi più compiuta del pensiero strumentale mozartiano. Dal cuore di quella stagione vengono i lavori in programma, proposti in un percorso tonale significativo. Apre il brillante Re maggiore del Rondò k382, pagina spumeggiante che d’un Mozart approdato l’anno prima nella Vienna giuseppina racconta l’entusiasmo e il desiderio di apparire nella luce migliore. Mozart lo scrisse per il concerto del 3 marzo 1782, suo debutto viennese, per sostituire il finale fugato del Concerto k175, composto quasi dieci anni prima. Per assicurarsi il successo presso il suo nuovo pubblico, decise di produrre una pagina nel suo stile più aggiornato: una serie di sette variazioni su un temino giocoso tipicamente da rondò. Coadiuvato da un’orchestra brillante del cicaleccio dei fiati, il solista attraversa un caleidoscopio di variazioni, tra una patetica di pura poesia sonora in Re minore e agli antipodi un esilarante Allegro in 3/8 culminante in una cadenza che precede la ripresa del tema originario. Di questa pagina di giovanile esuberanza, parente del coevo Ratto dal serraglio, Mozart manderà la partitura al padre il 23 febbraio 1782, informandolo di quanto il pezzo avesse «fatto chiasso» a Vienna e pregandolo di tenerlo per sé come «un tesoro», poiché «l’ho fatto appositamente per me e nessuno tranne la mia cara sorella può suonarlo dopo di me».
Capovolto il modo nel Re minore fuggevolmente sperimentato in una variazione del Rondò, ci viene incontro un autentico capolavoro, uno dei concerti più celebri tra i 17 scritti in un decennio per la città che Mozart definiva «il regno del pianoforte». Ultimato il 10 febbraio 1785, fu presentato il giorno dopo senza che l’autore avesse avuto il tempo di provare il finale, poiché le parti orchestrali non erano ancora pronte. Il padre Leopold, presente in sala e per l’ultima volta a Vienna, lo definì, scrivendo a Nannerl, semplicemente «magnifique». Nei due secoli e mezzo da allora la fama del Concerto è sempre rimasta alta, grazie all’evidente valore estetico ma anche alla singolarità del pezzo. Deviando dalla norma, all’indomani d’un capolavoro gioioso come il Concerto k459, Mozart scelse infatti, per la prima volta in un concerto, il modo minore (lo farà soltanto un’altra volta, per il k491). Fu come collocare una bomba nel mezzo della sala: la tacita convenzione del concertismo galante e poi classico, che prevedeva musica di cordiale intrattenimento, era fatta saltare dall’irruzione del dramma: un dramma cupo, a tinte fosche. In quest’ottica il concerto sarebbe stato apprezzatissimo dalle generazioni successive, già da Beethoven, che lo eseguì proprio a Vienna nel 1795 e ne scrisse delle cadenze, per proseguire con Clara Schumann, Brahms, Busoni. Mozart stava effettivamente tentando una strada nuova: non propriamente in direzione romantica, ma, come Haydn nel decennio precedente con i lavori sinfonici stürmisch (tra cui L’isola disabitata, di cui si è ascoltata il 22/24 febbraio l’Ouverture), per saggiare un’altra corda del proprio mondo espressivo, così da completare la palette della sua prodigiosa produzione concertistica. Appropriatamente Piero Rattalino ha notato come ben 14 concerti per pianoforte mozartiani si collochino nel vacuum di commissioni operistiche, tra Il ratto dal serraglio e Le nozze di Figaro, quasi a sublimare sulla tastiera l’urgente desiderio di teatro e farne al tempo stesso una preziosissima palestra per l’operista. Il Concerto in questione è infatti un Don Giovanni strumentale, di cui condivide la tonalità cardine di Re minore (tonalità del terrore metafisico, è stato scritto) e il tono drammatico, eccezionale tanto nel concerto quanto nell’opera buffa. Eccezionale è già il rapporto solista orchestra nel Primo movimento: i due si spartiscono i compiti: l’orchestra incatenata a evocare, tramite l’ossessione della pulsazione sincopata, un ambiente tragico esacerbato da violenti contrasti dinamici cui è impossibile sfuggire; il pianoforte che risponde con materiale tematico proprio, più arioso e cantabile, benché comunque saturo di malinconia. Al cuore del concerto Mozart colloca una Romance, termine allusivo alle semplici pagine liriche dell’opéra-comique francese, nella tonalità non scontata di Si bemolle maggiore, che gli evita di dover ricorrere nuovamente al Re nel cospicuo, drammatico episodio in minore, secondo di due assai contrastanti, incastonati in una struttura di rondò, il cui tema, incantevole, di innocenza sorgiva, viene esposto dal pianoforte e ripreso dall’orchestra. Aperto da un razzo esploso senza preavviso dal solista, singolare è anche il nervoso e violento finale, che ibrida rondò e forma sonata, elargendo, ben oltre gli usi della forma, la consueta, mozartiana prodigalità tematica. Con un’ultima sorpresa: dopo la cadenza del solista, guidato dal coretto dei fiati, il Rondò riprende infatti in modo maggiore, dissipando con un colpo di bacchetta magica la tragedia andata in scena fino ad allora.
La vera consolazione ci raggiunge però con il Concerto k488, compiuto il 2 marzo 1786, a meno di due mesi dal debutto delle Nozze di Figaro, in La maggiore, tonalità associata nel Settecento alla sincerità amorosa (Mozart vi comporrà uno dei suoi ultimi capolavori, il Concerto per clarinetto – strumento che infatti non manca nemmeno nella pagina oggi in programma, dove sostituisce l’oboe, mentre tacciono anche le fragorose trombe e i timpani – ascoltato il 25/27 gennaio). Nell’Allegro, dopo l’eccentrico Concerto in Re minore solista e orchestra, quest’ultima d’un caldo e tenero color pastello accuratamente ricercato, ritornano a condividere pacificamente un materiale tematico ispirato, sontuoso, dinamico e cantabile al tempo stesso. Un puro, attonito incanto promana, dell’Adagio nella tonalità relativa di Fa diesis minore, dal tema sussurrato a ritmo di siciliana dal pianoforte che si ripiega ad auscultare le fibre più delicate del cuore. L’Allegro assai conclusivo attraversa festoso diverse regioni tonali, reclutando senza parsimonia una folla di idee tematiche come se ci trovassimo, ha scritto Luigi Della Croce, in un «finale d’opera, con la scena affollata di personaggi». Si completa così, nell’arco dei tre tempi, un mondo sentimentale completo, come quello che Mozart metterà in scena due mesi più tardi nelle Nozze di Figaro.
Raffaele Mellace