Direttore e pianoforte: Louis Lortie - Teatro Dal Verme

Le date

Sala Grande
giovedì 04 maggio 2023
Ore: 10:00*
giovedì 04 maggio 2023
Ore: 20:00
sabato 06 maggio 2023
Ore: 17:00
*I Pomeriggi in anteprima

Mozart e Beethoven sono sui leggii il 4 e il 6 maggio per l’atteso ritorno di un musicista raffinatissimo come Louis Lortie.

Programma

Wolfgang Amadeus Mozart (1756 – 1791)
Concerto per pianoforte n. 12 in La maggiore K414
Allegro
Andante
Allegretto

Concerto per pianoforte n. 14 in Mi bemolle maggiore K449
Allegro vivace
Andantino
Allegro ma non troppo

Ludwig van Beethoven (1770 – 1827)
Concerto per pianoforte e orchestra n. 4
in Sol maggiore, op. 58
Allegro moderato
Andante con moto
Rondò. Vivace

Direttore e pianoforte Louis Lortie
Orchestra I Pomeriggi Musicali

Biglietteria

Intero
I settore € 20,00 – II settore € 14,50 – Balconata € 11,00 + prevendita
Ridotto
I settore € 16,00 – II settore € 12,50 – Balconata € 9,00 + prevendita

Note di sala

Inventare il Nuovo attraverso la tastiera

di Raffaele Mellace

“Innovativo” è l’aggettivo che più caratterizza i nostri tempi: imperativo morale per qualsiasi progetto, ricerca, strategia di successo. Le tre pagine in programma corrispondono pienamente a un intento squisitamente innovativo. E la qualità eccellente che esprimono è debitrice della volontà di rinnovamento che le ispirò. Al pubblico della Vienna giuseppina dove Mozart è da poco approdato, tentando la vita avventurosa del musicista free lance, è destinato il Concerto K. 414. Insieme ai compagni 413 e 415 fa parte d’un primo gruppo di lavori, su ben 17 concerti per pianoforte scritti in un decennio per Vienna, concepiti nell’inverno 1782/83 come proprio repertorio per i concerti (“accademie”) organizzati nella città che Mozart definiva «il regno del pianoforte». Il compositore illustrò la serie il 28 dicembre 1782 al padre Leopold, cui spiegò la brillante strategia adottata per coinvolgere un pubblico nuovo: «Questi concerti sono proprio a metà strada tra il troppo difficile e il troppo facile, molto brillanti, gradevoli all’orecchio pur senza cadere nella vuotaggine; qua e là anche gli intenditori avranno di che essere soddisfatti, ma in modo che anche coloro che non lo sono proveranno piacere senza sapere perché». Nel Concerto K. 414 l’impianto classico è inaugurato da un vasto Allegro che insolitamente mantiene la radiosa tonalità d’impianto (La maggiore) per l’intera introduzione orchestrale, durante la quale sfilano tre temi dal brio elegante e dal tono sbarazzino. Reclutata un’ulteriore idea tematica nello sviluppo, la ripresa abbreviata si annuncia col gesto enfatico d’una pausa generale. Il II tempo rappresenta un omaggio a Johann Christian Bach, l’amico e maestro scomparso il 1° gennaio di quel 1782: Mozart mutua il tema dell’Andante grazioso di un’ouverture scritta da questi nel 1763, piegandolo, sulla tastiera del pianoforte, a malinconiche inflessioni in minore. Frivola leggerezza e raffinata complessità di scrittura si fondono nel rondò bipartito (Allegretto) in cui l’orchestra collabora a irretire l’ascoltatore con l’affabilità del suo eloquio, fino alla vetrina solistica dell’ultima cadenza.

Forse iniziato negli stessi mesi, il Concerto K. 449 venne ultimato il 9 febbraio 1784, a inaugurare la serie di sei meravigliosi titoli che configureranno un vero e proprio anno del concerto per tastiera. Mozart l’annuncerà al padre come «d’un genere tutto speciale, pensato piuttosto per piccola che per grande orchestra». In effetti d’una concezione nuova si tratta, che attinge all’esperienza del sofisticato sinfonismo della “Linz” per offrire un lavoro di densità cameristica, in cui il virtuosismo del solista, a cominciare dalla talentuosa allieva dedicataria Barbara von Ployer, emerga in dialogo stretto con l’orchestra. Si considerino gli incipit dei tre tempi per apprezzarne varietà e ambizione: il tortuoso percorso armonico (si raggiunge perfino il cupo fa minore) che compie in poche battute la drammatica introduzione dell’Allegro vivace; la serena cantabilità che l’orchestra effonde ad apertura dell’Andante, prontamente fatta propria dal solista; il linguaggio buffo che prorompe, con un temino più che mai sghembo,  direttamente dalle tavole del dramma giocoso con il monotematico Allegro ma non troppo conclusivo.

Se Mozart aveva risolto in termini innovativi il “problema” del concerto, una vera rivoluzione è quella che opera Beethoven con il proprio Quarto. Il compositore ormai maturo – la composizione risale al 1805-6 – conquista una formula personalissima anche in questo genere, brucia ogni residuo di imitazione mozartiana e soprattutto si distanzia dal brillante concertismo alla moda, in cui l’apporto dell’orchestra è minimo per esaltare il virtuosismo del solista. A questo schema semplicistico il grande rivoluzionario risponde con un progetto originale, che fa della cifra dell’intimità la tinta fondamentale del concerto, unico anche nel catalogo beethoveniano, additando la via al concerto d’ispirazione poetica, come l’intenderanno Schumann e Brahms. Non a caso occorrerà attendere Mendelssohn perché questo concerto s’imponga nel repertorio. Persino la presentazione del lavoro, dedicato all’allievo, amico e patrono Rodolfo d’Asburgo, fratello dell’imperatore d’Austria, avvenne in un contesto intimo, semiprivato, a Palais Lobkowitz già nel 1807, insieme alla Quarta sinfonia, mentre il debutto pubblico fu il 22 dicembre 1808, nella leggendaria accademia monstre che tenne a battesimo anche la Quinta e Sesta Sinfonia, con Beethoven per l’ultima volta alla tastiera e alla direzione. Presente quella sera, Johann Friedrich Reichardt ricordava «un nuovo concerto per pianoforte di enorme difficoltà, che Beethoven eseguì con stupefacente bravura, in tempi velocissimi», il cui Adagio gli apparve «un capolavoro dal canto bello, intensamente elaborato, che egli davvero cantò sul suo strumento con un sentimento profondo e malinconico». Difficile il concerto lo è davvero, tanto che Beethoven penò a farlo eseguire. Meravigliosamente fecondo è il terreno da cui prese forma, nel periodo in cui il compositore lavorava alla Quinta e al primo Fidelio, tanto che le tre partiture condividono i fogli degli abbozzi. Occorrerà convenire con l’«Allgemeine Musikalische Zeitung» che nel 1809 definiva il concerto «una delle [composizioni] più originali e, in particolare nei primi due movimenti, delle più eccellenti e ricche di spirito di questo Maestro». Il rapporto tra solista e orchestra è nuovo e personale, con il primo spesso a imporsi sulla seconda, con il suo portato di gioie e dolori intimi. Avviene dall’avvio del concerto, novità formale assoluta, con il pianoforte che espone dimesso il tema principale, dal profilo affine a quello della Quinta sinfonia, prima dell’entrata, in punta di piedi, dell’orchestra. Non meno che romanzesca l’impaginazione del monumentale Allegro moderato d’apertura, tra percorsi modulanti inattesi, sviluppo drammatico e quieti ricami melodici. Singolare l’Andante con moto che contrappone la perorazione del solista all’inflessibile opposizione dell’orchestra, limitata agli archi ma non meno feroce: dialettica in cui, dal 1859, si legge l’opposizione tra Orfeo e le Furie. Lo spirito del concerto più tradizionale sopravvive nel Rondò finale, «marziale e insieme amabile come un eroe ariostesco» (Giovanni Carli Ballola).