Il 27 e 29 ottobre, con un programma che accosta il Settecento e il tardo Ottocento, sale sul podio Benjamin Bayl che propone le 26 Variazioni sopra “La Folia” di Spagna di Salieri, con l’ouverture dal Don Giovanni di Mozart e la Sinfonia n. 1 di Grieg.
Programma
Wolfgang Amadeus Mozart (1756 – 1791)
Don Giovanni (Ouverture) K 527
Antonio Salieri (1750 – 1825)
26 Variazioni sopra “La Folia” di Spagna
Edvard Grieg (1843 – 1907)
Sinfonia n. 1 in do minore, EG 119
Allegro molto
Adagio espessivo
Intermezzo. Allegro energico
Finale. Allegro molto vivace
Direttore Benjamin Bayl
Orchestra I Pomeriggi Musicali
Benjamin Bayl sostituisce Stefano Montanari alla guida dell’orchestra, costretto a rinunciare per motivi personali.
Biglietteria
Intero
I settore € 20,00 – II settore € 14,50 – Balconata € 11,00 + prevendita
Ridotto
I settore € 16,00 – II settore € 12,50 – Balconata € 9,00 + prevendita
Note di sala
In austero modo minore
di Raffaele Mellace
Se vi è un fil rouge che lega le tre pagine in programma, ben più che non la famigerata, romanzata rivalità Mozart-Salieri, è di natura musicale: l’adozione in tutti e tre i casi del modo minore. Nulla di stravagante; eppure il portato espressivo che il modo minore porta con sé nei tre quarti di secolo coperti dal programma odierno comporta una connotazione quasi inevitabilmente austera, severa, drammatica, che i tre lavori, appartenenti ad altrettanti generi diversi, declinano in interessante varietà. L’apertura è affidata a una celebre sinfonia della piena maturità di Mozart, l’«ouverture» del Don Giovanni, concepita, come le sorelle delle opere dell’ultimo lustro del genio, in termini spiccatamente originali, sempre fedele trasposizione sinfonica dei valori drammatici dell’opera che s’incarica d’introdurre, in una sintesi coerente e audace di linguaggio strumentale e ammiccamenti teatrali. La strada imboccata da Mozart nell’autunno 1787 in quel di Praga è quella d’una espressività esacerbata che poggia su una scelta formale non banale: un’ouverture in due tempi aperta da un’introduzione lenta cui segue uno scattante Allegro. Nella contrapposizione tra un avvio spaventoso caratterizzato dall’inesorabile incedere di sincopi, ritmi puntati e disegni cromatici, e l’inaspettato, classico Allegro in forma sonata a tre temi, l’ouverture si presenta come un dramma in miniatura in cui si confrontano, inconciliabili, i due protagonisti dell’opera: il Commendatore (quel Convitato di pietra cui spesso la vicenda del dissoluto punito veniva intitolata) e Don Giovanni. Un duello, insomma, tra morte e vita, tra «una terribile potenza d’oltretomba» e «una demoniaca vitalità», per prendere in prestito le parole del classico Hermann Abert. Il re minore dell’Andante viene capovolto nel Re maggiore del Molto allegro: l’ombra della morte, provocata dal sovvertimento morale causato da Don Giovanni, si accampa minacciosa all’inizio dell’opera prefigurandone la formidabile penultima scena, contrastata dall’indomita vitalità dell’esuberante cavaliere.
Restiamo nel re minore prediletto da Mozart (lo sceglierà anche per l’estremo Requiem) per le 25 variazioni sull’aria detta la Follia di Spagna di Antonio Salieri, come recita l’autografo. Il maestro della Cappella imperiale e direttore musicale dei teatri di Corte compose quest’inconsueto cimento sinfonico verso la fine d’una lunga esistenza, quando Mozart era mancato già da un quarto di secolo, nel dicembre d’un anno, il 1815, in cui gli era toccato dirigere il programma musicale del Congresso di Vienna. Con questo lavoro magnifico, dall’orchestrazione ambiziosa memore di Gluck, ascoltato sicuramente il 22 dicembre 1818 (ma probabilmente scritto per un concerto di esattamente tre anni prima, in cui era stata eseguita l’Alexander Feast di Handel), Salieri ritorna a uno schema di danza incontrato nel 1790 quando aveva rielaborato il duetto «Va pure in malora» di Francesco Bartolomeo Conti (1719) per l’opera La pastorella nobile di Pietro Alessandro Guglielmi. Il fascinoso schema di danza di origine iberica – in metro ternario e re minore – aveva goduto di grande fortuna in epoca barocca, tanto che Corelli l’aveva scelto a coronamento della sua leggendaria op. 5. Salieri vi costruisce un autentico caleidoscopio di colori, dimostrazione del potere della musica, in cui si avvicendano, tra continui cambi di tempo, in giudizioso dosaggio di sonorità, ma nella rigorosa stabilità del metro e della tonalità, mondi sonori diversi. Fanno di volta in volta la loro comparsa, come personaggi su un palcoscenico, il dialogo tra i violini e il basso, l’accensione di capricciose figure ai legni, il ritorno quasi minaccioso del tema, il contrasto tra tensione crepitante e austera solennità, ma anche la voce di singoli strumenti, come evidenziò la stampa dell’epoca: il protagonista solitario dell’arpa, il richiamo silvestre dei corni contrappuntato dal cinguettio del flauto, l’eleganza del violino solo, un duo pastorale per oboe e clarinetto.
Non alla maturità ma ai primi passi del suo Autore risale invece la Sinfonia in do minore di Edvard Grieg. Formatosi al Conservatorio di Lipsia, dove matura una conoscenza precoce del repertorio tedesco, il giovane norvegese giunge nella primavera 1863 a Copenaghen, dove scoprirà la vocazione che ne farà la principale voce del nazionalismo musicale scandinavo. Allievo del grande Niels Gade, con ogni probabilità su sollecitazione del maestro compose questa sua unica Sinfonia che, iniziata dal ventenne Grieg già nel 1863 e ultimata il 2 maggio 1864, va considerata il momento conclusivo della stagione dell’apprendistato. Si tratta d’un lavoro inevitabilmente di chiara scuola romantica tedesca, ispirato ai modelli di Schumann e forse ancor più Mendelssohn. Vi si avvicendano l’urgenza della gestualità drammatica dell’Allegro molto (la tonalità prescelta è quella della Quinta di Beethoven), dall’avvincente sviluppo romanzesco culminante in una coda trascinante; il bel lirismo effusivo e scopertamente schumanniano dell’Adagio espressivo; uno Scherzo (chiamato Intermezzo e prescritto Allegro energico) sospinto costantemente in avanti come in una ridda infernale, in un galoppo irrequieto e defatigante; un Finale che pare rievocare fantasmi mendelssohniani. Imboccata la strada d’un intimismo a lui più congeniale, Grieg accantonò il lavoro, lasciandolo inedito e vietandone l’esecuzione, non prima d’averne ridotto i due tempi centrali come Deux pièces symphoniques per pianoforte a quattro mani. Così, dopo una serie di esecuzioni parziali o integrali, inaugurate da quella di tre tempi del 4 giugno 1864 alla sala da concerto dei giardini di Tivoli a Copenaghen e proseguite fino al 28 novembre 1867, quando l’autore stesso diresse l’intera sinfonia a Bergen, la prima moderna del lavoro si è potuta ascoltare al Festival di Bergen, città natale di Grieg, non più tardi di quarant’anni fa, nel 1981.