Direttore: Francesco Cilluffo, Violino: Nurit StarkOrchestra di Padova e del Veneto - I Pomeriggi Musicali - Teatro Dal Verme

Le date

Sala Grande
giovedì 07 novembre 2024
Ore: 20:00

Gustav Mahler (1860 – 1911) / Benjamin Britten (1913-1976)
What the Wild Flowers Tell to Me

Béla Bartók (1881 – 1945)
Concerto n. 1 per violino e orchestra BB48a/Sz36

Nino Rota (1911-1979)
Il Gattopardo (Suite)

direttore Francesco Cilluffo
violino Nurit Stark
Orchestra di Padova e del Veneto

Biglietteria

Rinnovo abbonamenti
dall’11 maggio all’11 giugno 2024
Gli abbonati a 21 concerti, “in anteprima” o i possessori di un carnet “liberi di scegliere” a 15 concerti della 79ª Stagione potranno rinnovare il proprio abbonamento alla 80ª Stagione.

Nuovi abbonamenti
dal 18 giugno 2024

Vendita singoli biglietti
dal 9 luglio 2024

Prezzi dei singoli biglietti
Intero
I settore € 20,00 – II settore € 14,50 – Balconata € 11,00 + prevendita
Ridotto (under30, over60, gruppi, associazioni ed enti convenzionati)
I settore € 16,00 – II settore € 12,50 – Balconata € 9,00 + prevendita

Note di sala

La musica in programma è permeata da un’inesausta vitalità. I suoi autori, o al tri per loro, l’hanno ripresa in occasioni e contesti diversi, a testimonianza d’una qualità altissima, capace di vestire maschere sempre nuove e meritevole di riproporsi a pubblici altri, sottraendosi così, con ogni mezzo, all’oblio. Benjamin Brit ten amava profondamente la musica di Mahler. Tra i suoi meriti storici può van tare la prima esecuzione assoluta, il 18 giugno 1967 al suo Festival di Aldeburgh, alla testa della New Philharmonia Orchestra, di Blumine, il secondo movimento della Prima Sinfonia che Mahler aveva espunto cinque anni dopo il debutto del lavoro. La passione di Britten per Mahler era però ben precedente. La pagina in programma è infatti la trascrizione per piccola orchestra, realizzata dal composito re inglese in piena guerra, nel dicembre 1941, del secondo movimento della Terza Sinfonia di Mahler, scritta mezzo secolo prima, allo scopo di promuovere la conoscenza di quel lavoro. Una sorta di anticipo dell’operazione Blumine, si direbbe, poiché in entrambi i casi Mahler, che amava (come Britten, d’altra parte) la Natura e immerso in quella austriaca componeva (anche questa sinfonia: a Steinbach), riferisce esplicitamente ai fiori la propria ispirazione. Il titolo inglese che Britten appone alla trascrizione riprende infatti quello che, nella tormentata genesi di quel capolavoro, fu a lungo, tra il luglio 1895 e l’agosto 1896, il titolo del movimento, Was mir die Blumen auf der Wiese erzählen (“Ciò che mi raccontano i fiori di campo”), prosciugato solo all’ultimo, nella versione definitiva, in un pudico Tempo di menuetto. Sehr mässig. Britten recupera il riferimento naturalistico extramusica le, a esplicitare l’ispirazione idillica di una pagina che Mahler aveva immaginato come una sorta di pausa che avrebbe seguito, addirittura dopo un intervallo, al monumentale, impegnativo primo movimento della Sinfonia: un inequivocabile messaggio di conforto proveniente dal dialogo tra le voci di una Natura che irradia serenità, in una pagina che Mahler ebbe a definire «la più spensierata che abbia scritto, spensierata come sanno esserlo soltanto i fiori».
Non di spensieratezza ma di passione ci parla il lavoro successivo, il primo Concerto per violino di Béla Bartók, pagina che ha raggiunto il pubblico solo dopo la morte dell’autore, benché il primo movimento fosse noto da tempo. Anche qui, un caso di musica che cambia veste per rendersi disponibile all’ascolto. La veste nota è l’Andante dei fortunati Deux Portraits per orchestra op. 5, dietro al qua le si sospettava il progetto d’un incompiuto concerto per violino. A metà anni Cinquanta, un decennio dopo la morte del compositore, la verità venne a galla. Stefi Geyer, la violinista, all’epoca diciannovenne, con cui il giovane Bartók ave va intrattenuto una relazione nell’estate 1907, affidò prima di morire al direttore Paul Sacher, già committente di diversi lavori bartókiani, l’autografo d’un con certo scritto per lei cinquant’anni prima, mai eseguito in pubblico né pubblicato e custodito gelosamente fino ad allora. È dunque solo dalla prima assoluta del 30 maggio 1958 a Basilea, direttore Paul Sacher e solista Hansheinz Schneeberger, che questo intenso lavoro giovanile bartókiano è diventato patrimonio comune nella sua veste originaria. La decisione dell’autore di recuperarne il primo dei due tempi nei Deux Portraits testimonia d’una qualità espressiva altissima, tanto nella scrittura violinistica, chissà se riconducibile per qualche scelta alla Geyer, quanto nella raffinatissima orchestrazione. Terminato il 5 febbraio 1908, e con lui la rela zione con la dedicataria (che visse per tutta la vita con comprensibile reticenza la memoria d’un amore finito), il Concerto propone due volti contrapposti, entrambi affascinanti. Si è accennato all’elegia struggente del vasto primo movimento; pervade il secondo una qualità drammatica che veste necessariamente i panni del virtuosismo del solista, che tiene testa pervicacemente alle voci individuali come a intere sezioni di un’orchestra mobilissima, la cui moderna scrittura ha metabolizzato tanto i modelli tedeschi quanto Debussy.
Il terzo caso di riscrittura, sempre da musica propria, è il più complesso, poiché attraversa generi musicali molto diversi. Riguarda un autore per cui passeggiare tra i generi era un’abitudine, tanto che viene il sospetto che non possedesse proprio il concetto di genere musicale. Di Nino Rota, prolifico autore di colonne sonore celeberrime (circa 150: diciassette collaborazioni con Federico Fellini, diversi titoli con Visconti, e poi Zeffirelli, l’Oscar con Francis Ford Coppola ecc.) ma anche di opere, musica sinfonica e cameristica, il concerto odierno propone (appunto in concerto!) una delle sue suite più popolari, quella tratta dalla colonna sonora del capolavoro di Luchino Visconti Il gattopardo (1963). Per la ricca cornucopia di mu sica richiesta da Visconti ad arredo della vicenda, Rota rielabora tacitamente terzo e quarto movimento di un’incompiuta composizione orchestrale di vent’anni prima, che nel 1972 si deciderà a pubblicare come Sinfonia sopra una canzone d’amore. La selezione proposta dalla suite dà bene il polso della qualità dell’invenzione rotiana. Ci si imbatte nella spiritata marcetta dei Giovani eroi, cornice al delicato romanticismo à la Prokof’ev di Angelica e Tancredi, negli indugi della Partenza di Chevalley, ma soprattutto in una notevole serie di danze che caratterizza un’unica fondamentale sequenza del film: la scena del ballo che vede l’anziano protagonista, il Principe di Salina, alias Burt Lancaster, assistere impotente allo spettacolo dell’incipiente declino di una civiltà e della propria esistenza. Nell’ebbrezza della danza, che di quel mondo al capolinea è icona quasi rituale, si consuma simbolicamente il tramonto ineluttabile dell’ancien régime sotto i colpi di oscure forze rivoluzionarie. La musica di Rota inanella ben sette danze, di cui la suite ripropone l’irriverente tono giocoso d’una spensierata Quadriglia, l’incalzare vivace ma mai scomposto d’un Galop, e l’unica danza ricorrente, il Valzer, simbolo d’un secolo e della sua joie de vivre. Rota assume quest’ultimo a perno dell’intera suite: il Valzer brillante è in realtà (ulteriore caso di riutilizzo) una magnifica pagina inedita di Giuseppe Verdi, il compositore che a ritmo di valzer aveva condotto la vicenda di Violetta per tutta La traviata, cui Rota ricorre per meglio accreditare il colore ottocentesco della colonna sonora: omaggio d’un maestro al maestro di un altro genere, diverso ma in fondo affine.

Raffaele Mellace