Arpa solista, Anaïs Gaudemard con James Feddeck sul podio per i concerti del 27 e 29 aprile, con il raffinato Morceau de concert di Saint-Saëns, la Sinfonia n. 34 di Mozart e la n. 88 di Haydn.
Programma
Wolfgang Amadeus Mozart (1756 – 1791)
Sinfonia n. 34 in do maggiore, K 338
Allegro vivace
Andante di molto
Allegro vivace
Camille Saint–Saëns (1835 – 1921)
Morceau de concert per arpa e orchestra, op. 154
Allegro non troppo
Franz Joseph Haydn (1732 – 1809)
Sinfonia n. 88 in sol maggiore, Hob:I:88
Adagio; Allegro
Largo
Minuetto e Trio
Finale: Allegro con spirito
Direttore James Feddeck
Arpa Anaïs Gaudemard
Orchestra I Pomeriggi Musicali
Biglietteria
Intero
I settore € 20,00 – II settore € 14,50 – Balconata € 11,00 + prevendita
Ridotto
I settore € 16,00 – II settore € 12,50 – Balconata € 9,00 + prevendita
Note di sala
Bellezze segrete
di Raffaele Mellace
Il concerto odierno offre tre pagine di ascolto inconsueto ma di bellezza luminosa: occasione rara per assaporare partiture della maturità di tre autori sommi. Il percorso inizia a Salisburgo il 29 agosto 1780, quando il ventiquattrenne Mozart depone la penna di quella che sarebbe stata l’ultima sinfonia composta nella città natale. Un lavoro dal valore di summa di molte importanti esperienze, allora ancora recenti, compiute nei grandi centri del sinfonismo europeo, Parigi e Mannheim (Milano l’aveva visitata ancora adolescente), alla vigilia di spiccare il volo per Vienna e la piena maturità. La Sinfonia n. 34 K. 338, che l’autore non mancò di riprendere, rivedendola, due anni dopo nella capitale imperiale, pare esibire quella sicura consapevolezza dei propri mezzi che sarà confermata negli stessi mesi dalla commissione dell’opera Idomeneo re di Creta per la Corte di Monaco. Apre un solenne Allegro vivace in festivo Do maggiore, che non si nega tuttavia inflessioni più drammatiche e inquiete che sfruttano il modo minore, sintomo d’un sinfonismo maturo, emancipatosi dai modelli verso prospettive più ambiziose. Segue la poesia color pastello dell’Andante di molto: in una scrittura per soli archi a cinque parti, al di sotto dei due violini Mozart dilata spazio e peso del registro intermedio, dividendo su due leggii le viole e comprimendo in un’unica parte violoncelli e bassi. Ne consegue una grana più stratificata, sofisticata, trasparente, a sostegno del canto dei violini I. Originariamente in tre tempi (un primo progetto di minuetto, da collocarsi in seconda posizione, venne scartato dopo 14 battute), la sinfonia fu completata con un minuetto a Vienna: forse, così propose il grande studioso mozartiano Alfred Einstein, il K. 409, pagina con i flauti pervenutaci isolata e spesso impiegata nelle esecuzioni odierne. Un secondo Allegro vivace fa le veci d’un congedo dal sinfonismo del Mozart giovane con il piglio frizzante d’un esagitato 6/8 che non conosce tregua, in cui un gioco dialogico tra archi e oboi esalta il côté spiccatamente comico dell’invenzione.
Tra le due colonne sinfoniche del classicismo viennese si colloca un lavoro solistico che, a dispetto dei 130 anni di distanza, si pone in perfetta continuità stilistica. L’ha scritto Camille Saint-Saëns, prolifico francese che attraversò l’intera parabola dal tardo romanticismo alla modernità restando fedele all’ideale parnassiano d’un classicismo indefettibile, al culto d’una perfezione formale che nel 1913, quando avrà ascoltato storcendo il naso il Prélude debussiano e il Sacre di Stravisnkij, gli farà dire: «Il Primo preludio dei 48 [del Clavicembalo ben temperato] di Bach non esprime nulla, ed è una delle meraviglie della musica. La Venere di Milo non esprime nulla, ed è una delle meraviglie della scultura». Il classismo unico orizzonte: non a caso Ravel dichiarerà d’aver composto i propri concerti per pianoforte «nello spirito di Mozart e Saint-Saëns». Il Morceau de concert pour harpe op. 154 giunge molto tardi, in quel 1918 fatale per l’Europa in cui il compositore compie 83 anni. Lo scrive su richiesta dell’arpista serba Nicole Anckier. La corrispondenza ci rivela che tra il 16 e il 18 agosto Saint-Saëns si decide finalmente a capitolare davanti all’insistenza – anni di assedio, tra lettere e cartoline – della tenace ragazza, primo Premio al Conservatorio di Parigi a 16 anni e vent’anni dopo fondatrice della classe di arpa a Belgrado; il 7 settembre il pezzo è stato scritto; il 24, mentre si accinge a orchestrarlo, commenta: «ho notato ancora una volta che, se fossi costretto a riscriverlo non potrei più farlo altrettanto bene». Concepito senza soluzione di continuità, con un’orchestrazione trasparente ed essenziale che lascia il campo al virtuosismo della solista, inanella un tema con variazioni, una fantasia in tempo lento, uno scherzo a ritmo di marcia e un finale che riprende ciclicamente il tema d’apertura per concludersi con una coda effervescente.
Corona il programma una splendida sinfonia di Haydn, la n. 88 in Sol maggiore, composta verosimilmente nel 1787, ad inaugurare l’ultimo gruppo di lavori scritto nella piena maturità a Esterháza prima delle Sinfonie londinesi. Haydn la consegnò con altri lavori al violinista Johann Tost diretto a Parigi, perché la facesse pubblicare. Il lavoro uscì nel 1789 a Parigi come anche a Vienna presso Artaria, non senza passare attraverso una vicenda legale che non mette conto di ripercorrere in questa sede. Poco frequentata oggi in sede concertistica, può vantare una splendida e rara registrazione realizzata dal compianto Guido Cantelli con l’NBC Symphony Orchestra nel 1952. Preparato da una breve introduzione lenta, l’Allegro si presenta il sonatismo classico a vertici virtuosistici. Haydn realizza infatti uno studio monotematico su un tema elementare, brillante, dall’energia compressa che imperverserà nelle forme più varie in tutta l’orchestra, pervadendo l’intero movimento. A tanta giocosa nonchalance segue l’inno dell’Adagio in Re maggiore, tanto ammirato da Brahms. Contrastato al suo interno da un breve, violento episodio in fortissimo in cui per la prima volta il compositore fa comparire trombe e timpani nel tempo lento d’una sua sinfonia, elargisce un melos di macerata interiorità, in cui semplicità e profondità espressiva si saldano come soltanto a Haydn è dato realizzare. Molto bello il Minuetto cerimoniale, che ospita le sonorità pastorali d’un Trio caratterizzato dalla nota tenuta d’un bordone bucolico. Il Finale risolve con un rondò esemplare la compenetrazione tra il tono popolare del temino sbarazzino e il magistero compositivo del grande contrappuntista, tanto più grande quanto più cela l’arte che ha profuso.