Ultimo concerto della Stagione 25 e 27 maggio affidato alla bacchetta di James Feddeck per le Variazioni di Berio, le Danses Concertantes di Stravinskij e il Concerto per pianoforte n. 1 di Čajkovskij con la giovane stella Alexander Malofeev al debutto con I Pomeriggi Musicali.
Programma
Luciano Berio (1925 – 2003)
Variazioni
Igor Stravinskij (1882 – 1971)
Danses Concertantes
Marche, Introduction
Pas d’action – Con moto
Thème varié – Lento
Variazione I – Allegretto
Variazione II – Scherzando
Variazione III – Andantino
Variazione IV – Tempo giusto
Pas de deux – Risoluto. Andante sostenuto
Marche, Conclusion
Pëtr Il’ič Čajkovskij (1840 – 1893)
Concerto per pianoforte e orchestra n. 1 in si bemolle minore, op. 23
Allegro non troppo e molto maestoso. Allegro con spirito
Andantino semplice
Allegro con fuoco
Direttore James Feddeck
Pianoforte Alexander Malofeev
Orchestra I Pomeriggi Musicali
Biglietteria
Intero
I settore € 20,00 – II settore € 14,50 – Balconata € 11,00 + prevendita
Ridotto
I settore € 16,00 – II settore € 12,50 – Balconata € 9,00 + prevendita
Note di sala
Tre studi per orchestra
di Raffaele Mellace
La 78a Stagione dei Pomeriggi Musicali si chiude con un appuntamento ambizioso, in cui compositori di generazioni diverse si confrontano con l’orchestra mettendola alla prova attraverso altrettanto schemi classici della civiltà musicale occidentale: la variazione, la suite e il concerto. Tre studi in cui queste forme reagiscono alle diverse temperie stilistiche – dodecafonia, neoclassicismo e tardo romanticismo – in cui vengono declinate. Le Variazioni per orchestra da camera, una delle partiture meno frequentate, eseguite e discusse di Luciano Berio, realizzate dal compositore di Oneglia neppure trentenne, settant’anni fa, nel 1953/54. La partitura, incisa già nel maggio 1955 da Bruno Maderna insieme alle Variazioni op. 30 di Webern e all’Ouverture per orchestra di Donatoni, segna per il giovane compositore nell’Italia del Dopoguerra uno stadio importante della maturazione artistica e insieme della presa di coscienza della propria individualità. In un libro intervista parlava lui stesso di «incontro che è stato di fondamentale importanza non solo per me ma per tutta la musica italiana: Luigi Dallapiccola. In quegli anni Dallapiccola era un punto di riferimento non solo musicale ma anche spirituale, morale e culturale nel senso più ampio del termine. È forse lui, più di ogni altro, che ha consapevolmente e ostinatamente saldato i rapporti con la cultura musicale europea. […] Come spesso mi accade, facendo incontri importanti, ho reagito a Dallapiccola con quattro lavori», tra cui appunto le Variazioni per orchestra. «Con questi lavori sono entrato nel mondo “melodico” di Dallapiccola, ma, anche, essi mi hanno permesso di uscirne». Sorvegliatissima composizione dodecafonica, in emulazione del maestro e al contempo dalla promettente cifra personale, la partitura esprime un’essenzialità e una tensione espressiva ancor oggi mirabili.
Le coordinate estetiche della composizione di Igor Stravinskij andranno invece cercate in quel neoclassicismo nato all’indomani della Grande guerra, ispirato al rifiuto delle istanze romantiche, impressioniste ed espressioniste, cui oppone il riferimento alle civiltà musicali precedenti il romanticismo, di cui mutua forme, generi e sonorità calati in un contesto armonico, ritmico e timbrico modernissimo, con cortocircuito espressivo provocatorio e squisitamente novecentesco. Le Danses concertantes vennero ultimate il 13 gennaio 1942 in California, dove Stravinskij aveva riparato durante il conflitto mondiale, commissione di Werner Janssen, direttore d’un ensemble d’avanguardia che le presentò, sotto la direzione dell’Autore, l’8 febbraio 1942 a Los Angeles. Sono concepite come musica per un balletto immaginario (nel 1944 Balanchine vi realizzò effettivamente una coreografia, proposta a New York), incorniciata da una marcia vigorosa che introduce e, abbreviata, chiude la sequenza centrale: un Pas d’action, un Thème dal lirismo stralunato corredato da quattro variazioni, e un Pas de deux. Caratterizzano la partitura molta arguzia (Stravinskij non è forse, con Haydn, il più grande umorista della nostra civiltà musicale?) e un puntuto vigore ritmico che non smentisce l’autore di Petruška.
La spettacolarità e forse ancor più l’empito sentimentale tardoromantico sono invece, per contrasto, le cifre distintive del gran finale di questa Stagione: il Primo concerto per pianoforte di Pëtr Il’ič Čajkovskij. Primo e sofferto cimento del compositore con questo genere di grande impegno, il concerto fu completato in poche settimane sul finire del 1874, in quella che, inaugurata dal trionfo della Sinfonia n. 2 “Piccola Russia” l’anno prima, si stava confermando come stagione creativa di straordinaria intensità. Egli stesso pianista di vaglia, con questo lavoro Čajkovskij entra in un panorama internazionale popolato da concorrenti come Liszt e Brahms. Lo fa con audace, per l’epoca sconcertante originalità formale e al tempo stesso tenendo fede agli ideali nazionalisti che postulavano la fecondazione della musica d’arte da parte del patrimonio folklorico. Sorprendentemente per chi scrive nel 2022, questo patrimonio il compositore russo lo individuò, come altrove nella sua produzione, in due canzoni ucraine (la prima annotata personalmente, la seconda tratta dalle 216 melodie ucraine di Aleksandr Roubets), assolutamente cruciali nella partitura, poiché ispirano rispettivamente il I tema dell’Allegro con spirito e il tema principale del Finale. Un lavoro tanto originale non ebbe vita facile: rifiutato sdegnosamente dal grande pianista Nicolai Rubinstein (solo anni dopo Čajkovskij rievocò per iscritto la penosa scenata riservatagli dal collega alla prima audizione privata), il concerto venne accolto a braccia aperta dal nuovo dedicatario, il grande Hans von Bülow, che lo tenne a battesimo trionfalmente in una sede prudenzialmente dall’altra sponda dell’Atlantico, a Boston, il 25 ottobre 1875. Da allora, passando anche attraverso due revisioni d’autore, si è affermato come uno dei concerti più celebri del repertorio, conquistando ben presto il reticente Rubinstein e strappando persino un’esecuzione al maldisposto Busoni. Certifica il fiuto sicuro per l’efficacia dell’effetto, talento che Čajkovskij trasmetterà al pupillo Rachmaninov, il celeberrimo, enfatico gesto d’apertura del concerto, in cui il travolgente tema all’orchestra è incalzato dagli accordi percussivi del pianoforte in quella che è una monumentale introduzione a sé stante rispetto alla forma sonata tritematica, avviata oltre cento battute dopo dall’Allegro con spirito. Il secondo tempo è dominato dalla commovente melodia sorgiva esposta dal flauto, subito ripresa dal pianoforte, ma ospita anche un Prestissimo ispirato a una canzone francese alla moda. Infine, corona il concerto il brillante ed energetico Allegro con fuoco, che fa rispondere al citato tema ucraino una splendida melodia lirica degna del più elegante balletto čajkovskijano, la quale guadagna sempre peso in un afflato di lirica solennità, mentre il modo della tonalità d’impianto – estrema singolarità formale – viene capovolto in euforico Si bemolle maggiore.