Direttore: James Feddeck, pianoforte: Filippo Gorini - I Pomeriggi Musicali - Teatro Dal Verme

Le date

Sala Grande
giovedì 20 febbraio 2025
Ore: 20:00
sabato 22 febbraio 2025
Ore: 17:00

Ludwig van Beethoven (1770 – 1827)
Concerto n. 3 in Do minore per pianoforte e orchestra op. 37

Franz Schubert (1797 – 1828)
Sinfonia n. 4 in Do minore D417  “Tragica”

direttore James Feddeck
pianoforte Filippo Gorini
Orchestra I Pomeriggi Musicali

Biglietteria

Prezzi dei singoli biglietti
Intero
I settore € 20,00 – II settore € 14,50 – Balconata € 11,00 + prevendita
Ridotto (under30, over60, gruppi, associazioni ed enti convenzionati)
I settore € 16,00 – II settore € 12,50 – Balconata € 9,00 + prevendita

Note di sala

Il programma del concerto odierno impagina due capolavori prossimi per genesi (viennese, a quindici anni di distanza) attorno a una medesima, emblematica tonalità, da cui i due autori seppero trarre conseguenze assai distanti. Il Terzo concerto per pianoforte di Beethoven rappresenta un approdo per l’esperienza creativa di un compositore che non ha soltanto fatto propri i modelli di Haydn e Mozart, creando lavori già di alto valore estetico, ma ha ormai acquisito una propria fisionomia riconoscibile, un profilo stilistico che emerge da questa partitura in termini quasi programmatici. In questo lavoro, che si direbbe quasi inaugurale del catalogo del grande sinfonista, si manifesta, come ha scritto Francesco Degrada, «per la prima volta in questa forma la dimensione titanica ed eroica dell’umanità beethoveniana». Vi contribuisce senz’altro quel congeniale Do minore in cui erano già stati concepiti i Trii op. 1 n. 3, op. 9 n. 3, le Sonate per pianoforte op. 10 n. 1 e soprattutto op. 13 “Patetica” e il Quartetto op. 18 n. 4, in attesa dell’epifania più memorabile di quella tonalità, con la Quinta sinfonia, e della tarda Sonata op. 111. Unico concerto beethoveniano in modo minore, incardinato nella tonalità che era stata del Concerto k491 di Mozart ascoltato lo scorso gennaio, che il compositore più giovane tenne in debito conto, abbozzato già all’altezza del 1796, compiuto verso il 1800, il concerto fu presentato il 5 aprile 1803 nel primo appuntamento interamente dedicato a lavori beethoveniani: un concerto monstre, visto che la locandina prevedeva anche le prime due sinfonie e l’oratorio Cristo al Monte degli ulivi. Verrà pubblicato nel 1804, deliberatamente solo ad esecuzione pubblica avvenuta, come dimostra la corrispondenza tra l’editore Breitkopf e il fratello del compositore Kaspar Anton Karl. Il dedicatario è il principe Luigi Ferdinando di Prussia, nipote del re Federico Guglielmo III, buon pianista e amico di Beethoven, conosciuto da questi a Berlino e incontrato nuovamente a Vienna nel 1805, un anno prima della morte del principe nella battaglia di Saalfeld. Della prima esecuzione, che vide Beethoven al pianoforte come per i primi quattro dei suoi cinque concerti, ci ha lasciato una testimonianza di grande interesse il direttore d’orchestra e compositore Ignaz von Seyfried, allievo di Mozart. Incaricato di voltar le pagine all’illustre interprete, inaspettatamente si vide a fronteggiare un compito impervio: «non vedevo davanti a me che fogli semivuoti, con al massimo qualche appunto come promemoria, per me incomprensibile come un geroglifico egizio. [Beethoven] suonò quasi tutta la parte del solista a memoria, poiché, come spesso accade, non aveva avuto il tempo di trascrivere tutto su carta. Mi faceva un cenno impercettibile tutte le volte che era alla fine di uno di quegli invisibili passaggi e la mia malcelata ansia di non perdere il momento decisivo lo divertiva enormemente». L’Allegro con brio, monumentale per gli standard dell’epoca, innervato d’un vocabolario eroico-militare (l’onnipresente intervallo di quarta ascendente a imitazione dei timpani, reiterato già dalla terza battuta del primo tema), è costruito sull’evidente contrapposizione tra un primo tema volitivo e perentorio e un secondo, esposto nell’introduzione dal clarinetto, lirico e affettuoso. La perla del lavoro è unanimemente riconosciuta nel Largo, incardinato nella tonalità, remota rispetto al Do minore d’impianto, di Mi maggiore, a intonare una meditazione siderale proposta dal solista con una libertà espressiva tutta beethoveniana e all’epoca inedita, quasi che il compositore/interprete si sia chinato ad auscultare lo strumento, per trarne le risonanze più delicate del proprio mondo interiore. Tripartita, questa pagina quasi atemporale ospita una sezione centrale in cui il pianoforte orna con arpeggi eterei il dialogo immoto tra flauto e fagotto prima di riprendere la meditazione interrotta. La partitura si conclude con la sorpresa della Coda del Finale, che da un’inopinata metamorfosi di tutti i parametri fa approdare a un esilarante (e strappa applausi) Presto in 6/8 e Do maggiore.
La Sinfonia n. 4 “Tragica” del giovane Franz Schubert, completata il 27 aprile 1816 (in un periodo di fervore personale per il genere – tra il 1815 e il 1818 videro la luce tutte le sinfonie tra la seconda e la sesta, oltre ai due movimenti frammentari d615 – e in un anno molto prolifico che fruttò, tra l’altro, oltre un centinaio di Lieder e, nelle stesse settimane della nostra sinfonia, le tre sonatine per violino e pianoforte) venne ascoltata per la prima volta soltanto postuma, nel 1849. All’ascoltatore richiede un approccio molto diverso dal confronto con la più celebre tra le sinfonie in Do minore, la Quinta di Beethoven. Certo, Schubert nutre in questo lavoro l’ambizione del “fare grande”, tramite un’architettura distesa e un’orchestrazione rinforzata (quattro corni, un unicum nel sinfonismo schubertiano). E tuttavia si stenta a prendere davvero sul serio l’aggettivo “tragico”. L’Allegro vivace che segue l’introduzione lenta di matrice haydniana è mosso da un dinamismo genuino ed efficace, senza tuttavia che lo si possa scambiare per inquieto rovello interiore, contraddetto com’è dal delizioso secondo tema cantabile in La bemolle maggiore esposto dai violini su suggerimento di delicate scale discendenti dei legni. Una dolcezza tutta schubertiana spira dall’incantevole Andante, anch’esso in La bemolle maggiore, in un cielo che parrebbe sgombro di nubi, fatto salvo un episodio nel relativo minore. Schiettamente giocoso suona poi il Minuetto, di educata goffaggine, cui il delicato Trio pastorale condotto dagli oboi aggiunge un tocco di bucolica innocenza. Nemmeno la ripresa dell’urgenza espressiva del Do minore nel Finale riesce a rinunciare al tono giocoso e spensierato del dialogo tra archi e legni che anima il secondo tema, nuovamente in La bemolle maggiore. Costru zione sapiente d’un diciannovenne perfettamente padrone del discorso sinfonico, questa Quarta sinfonia esibisce nell’accorta compensazione di ingrediente diversi un progetto di nitida chiarezza, cui è ancora estranea l’inquietudine che sarà la cifra, quella sì davvero tragica, del compositore maturo.

Raffaele Mellace