Il 26 e 28 gennaio l’Orchestra e Feddeck condividono la scena con Filippo Gorini, vincitore del “Premio Abbiati” come miglior solista dell’anno 2022.
Programma
Gabriel Fauré (1845 – 1924)
Pelléas et Mélisande, op. 80
Prélude – Quasi adagio
Fileuse – Andantino quasi allegretto
Chanson de Mélisande – Molto adagio
Sicilienne – Allegretto molto moderato
La Mort de Mélisande – Molto adagio
Maurice Ravel (1875 – 1937)
Le tombeau de Couperin (Elegia per Couperin)
Prélude – Vif
Forlane – Allegretto
Menuet – Allegro moderato
Rigaudon – Assez vif
Ludwig van Beethoven (1770 – 1827)
Concerto per pianoforte e orchestra n. 5 in mi bemolle maggiore, op. 73 “Imperatore”
Allegro
Adagio un poco mosso
Rondò. Allegro
Direttore James Feddeck
Pianoforte Filippo Gorini
Orchestra I Pomeriggi Musicali
Per motivi personali il previsto vincitore del Concorso Van Cliburn 2022, Yunchan Lim, non potrà partecipare ai concerti con l’Orchestra I Pomeriggi Musicali previsti per i giorni 26 e 28 gennaio 2023. Sarà sostituito da Filippo Gorini.
The announced winner of the Van Cliburn Competition 2022, Yunchan Lim, will not be able to participate in the concerts with Orchestra I Pomeriggi Musicali scheduled for 26 and 28 January 2023 for personal reasons. He will be replaced by Filippo Gorini.
Biglietteria
Intero
I settore € 20,00 – II settore € 14,50 – Balconata € 11,00 + prevendita
Ridotto
I settore € 16,00 – II settore € 12,50 – Balconata € 9,00 + prevendita
Note di sala
Trasfigurare l’orrore della guerra
di Raffaele Mellace
Trasfigurare l’orrore della guerra Precedute da una pagina di diversa ispirazione, ma pur sempre coronata da una marcia funebre, due delle tre composizioni in programma compiono un’operazione fondamentale: trasfigurare l’orrore della guerra in musica immortale, trasformando la memoria di distruzione e lutti in bellezza eterna, che a un secolo o due di distanza da quei conflitti terribili continua a parlarci con immutata freschezza. Le precede la Suite Pelléas et Mélisande op. 80 di Gabriel Fauré, lavoro dalla vicenda complessa. Nel 1898 al compositore francese furono commissionate dall’attrice inglese Mrs Patrick Campbell le musiche di scene per il dramma lirico omonimo del poeta belga Maurice Maeterlinck, il testo più fortunato del simbolismo musicale, che avrebbe ugualmente impegnato Schönberg, Sibelius e Debussy. Dei 19 numeri della partitura originaria, strumentata dall’allievo Charles Koechlin, Fauré trasse, orchestrando per un organico più ampio, una suite da concerto presentata a Parigi il 3 febbraio 1901, una settimana dopo la morte di Verdi. L’ascoltatore affronta in quattro stazioni un percorso compiuto attraverso la vicenda infelice dei due amanti. Il “Prélude” – che Fauré si raccomandava non venisse eseguito troppo veloce – evoca la sfuggente dolcezza di Mélisande, i presagi dell’epilogo funesto, la figura minacciosa del marito Golaud; “La fileuse” presenta il personaggio all’arcolaio, con i violini primiche imitano l’avvolgimento del filo e l’oboe chiamato a dar voce all’autenticità naïve di Mélisande. La celebre “Sicilienne”, aggiunta alla Suite nel 1909, simbolo del corteggiamento presso la fontana abbandonata, proviene dalle incompiute musiche di scena per Le bourgeois gentilhomme, passando da una pagina per violoncello e pianoforte (1893). La mort de Mélisande chiude la vicenda con una sommessa marcia funebre.
Funebre è, sin dal titolo, l’ispirazione del Tombeau de Couperin, il grande progetto coltivato da Maurice Ravel, proprio nel 1898 del Pelléas et Mélisande allievo di composizione di Fauré, durante la Grande Guerra. Composto originariamente per il pianoforte tra il 1914 e il 1917, anno aperto dalla morte della madre, il Tombeau è dedicato alla memoria di sei amici caduti al fronte. La vedova di uno di questi, Marguerite Long, interpreterà la “prima” della versione originaria. Epurata di due numeri squisitamente pianistici, la raccolta venne orchestrata nel 1919. In puro stile neoclassico, il Tombeau esprime in termini esemplari l’estetica raveliana della rivisitazione dell’antico coniugando forme di danza barocca, lessico melodico-ritmico del Settecento francese, anacronismi di strumentazione (il ricorso frequente al corno inglese), tonalità tradizionale e predilezione tutta moderna per l’armonia di settime e none cara a Debussy. Difficile scegliere in tanta delicatezza poetica, dal disegno limpido ed essenziale, in cui la grazia prevale sulla malinconia: forse il tourbillon di terzine che mette subito a dura prova l’oboe nel “Prélude”, la cullante eleganza sorniona della “Forlane”, la melopea pastorale dei legni, guidata sempre dall’oboe, nel “Menuet” color pastello, il brillante, vitalistico meccanismo del “Rigaudon”, di cui vi è più d’un presagio nelle Valses nobles et sentimentales e in cui s’intrufola, ancora con la voce penetrante dell’oboe, il timbro d’un Settecento bucolico.
In un contesto bellico nacque nel 1809 anche il Grand Concerto pour le Pianoforte, uscito a stampa con questo titolo, generico ma al contempo significativo (quello d’“Imperatore”è invece spurio), e con una dedica altrettanto significativa al giovane arciduca Rodolfo, ultimogenito dell’imperatore Leopoldo II, talentuoso pianista allievo di Beethoven e suo generoso mecenate (promosse e finanziò in quello stesso 1809 l’istituzione d’una rendita annuale che rendeva il compositore indipendente), nonché futuro committente della Missa solemnis. Il contesto era l’occupazione francese di Vienna, che il 26 giugno 1809, dieci giorni prima della vittoria di Napoleone a Wagram, Beethoven commentava con queste parole: «Che devastazione e sconquasso attorno a me, nient’altro che tamburi, cannoni, afflizione umana d’ogni genere». Nel Concerto la spiccata propensione alla gestualità e le sonorità marziali traducono l’immagine sonora di un sublime che in quella stagione tanto inquieta non poteva se non assumere il tono d’uno stile eroico. Come avverrà per la Settima sinfonia, il Concerto coniuga fervore marziale e novità formale, sin dal magniloquente gesto inaugurale: l’accordo e l’arpeggio con cui rispettivamente l’orchestra e il pianoforte stabiliscono la tonalità di Mi bemolle maggiore (quella della Sinfonia “Eroica”). Partitura monumentale e ultimo concerto per qualsiasi strumento cui Beethoven mise mano, ospita in una struttura formale solidissima tanto un lessico tematico di sapore militaresco (ritmi di marcia, terzine che simulano rulli di tamburo) quanto, all’opposto, frequenti indugi pseudoimprovvisatori di toccante poesia, affidando l’uno e gli altri a un virtuosismo pianistico, forse concepito con in mente le doti dell’allievo Carl Czerny, che nel 1812 ne interpretò la prima esecuzione pubblica viennese (un’anteprima l’aveva disimpegnata il 13 gennaio 1811 lo stesso dedicatario in un concerto privato a Palais Lobkowitz). Il severo lirismo interiorizzato imposto dall’orchestra all’Adagio un poco mosso e la contrapposta energia che anima il fragoroso Rondò conclusivo, percorso da figurazioni ritmiche inesorabilmente propulsive (con un rilievo sempre maggiore assunto dal ritmo puntato), completano, dopo le quasi seicento battute del colossale Allegro d’apertura, il compiuto respiro ternario di un organismo profondamente sinfonico in cui solista (che siede ormai di necessità a un pianoforte moderno) e orchestra sperimentano da pari la dialettica di una reciproca, euforica esaltazione.