La 78a Stagione 2022/2023 inaugura il 13 e 15 ottobre con il direttore principale James Feddeck impegnato in un programma con le Variazioni su un tema di Paganini di Witold Lutosławski affidate al giovane pianista Julian Trevelyan, quindi Boléro di Maurice Ravel e Quadri di un’esposizione di Modest Musorgskij.
Programma
Witold Lutosławski (1913 – 1994)
Variazioni su un tema di Paganini
Maurice Ravel (1875 – 1937)
Boléro
Modest Petrovič Musorgskij (1839 – 1881)
Quadri di un’esposizione (orch. di Ravel)
Promenade – Allegro giusto, nel modo russico; senza allegrezza, ma poco sostenuto
Gnomus – Sempre vivo
Promenade – Moderato commodo e con delicatezza
Il vecchio castello – Andante
Promenade – Moderato non tanto, pesante
Tuileries (Dispute d’enfants après jeux) – Allegretto non troppo, capriccioso
Bydlo – Sempre moderato pesante
Promenade – Tranquillo
Balletto dei pulcini nei loro gusci – Scherzino. Vivo leggiero
Samuel Goldenberg und Schmuyle – Andante
Limoges: Le marché – Allegretto vivo sempre scherzando
Catacombae: Sepulchrum Romanum – Largo
La cabane sur des pattes de poule – Allegro con brio, feroce
La grande porta di Kiev – Allegro alla breve. Maestoso. Con grandezza
Direttore James Feddeck
Pianoforte Julian Trevelyan
Orchestra I Pomeriggi Musicali
Biglietteria
Intero
I settore € 20,00 – II settore € 14,50 – Balconata € 11,00 + prevendita
Ridotto
I settore € 16,00 – II settore € 12,50 – Balconata € 9,00 + prevendita
Note di sala
Fascinazioni incrociate
di Raffaele Mellace
S’inaugura con l’abbagliante splendore dell’orchestra novecentesca la 78a Stagione Sinfonica dei Pomeriggi Musicali. Con un concerto che ruota attorno a tre colonne: il motto della stagione “Variazioni su un tema”, lo scambio fecondissimo tra culture e civiltà musicali, il magistero d’un orchestratore d’eccezione. Concerto e Stagione si aprono su un tema celeberrimo, quello del XXIV Capriccio di Niccolò Paganini, pubblicato a Milano nel 1820. Dopo aver interessato il Liszt degli Etudes d’exécution transcendante e un secolo dopo il Rachmaninov della Rapsodia su un tema di Paganini, in attesa delle Variazioni orchestrali di Boris Blacher l’ossessivo tema paganiniano riaffiora in circostanze rocambolesche e tragiche. Il polacco Witold Lutosławski compose il pezzo come Variazioni per due pianoforti nel 1941 durante l’occupazione nazista della Polonia, quando sbarcava il lunario suonando nei caffè di Varsavia in duo con l’amico Andrzej Panufnik. Dalla devastazione della città dopo l’Insurrezione di Varsavia, d’un repertorio di circa 200 pezzi Lutosławski poté salvare solo questa pagina, di cui nel 1977 realizzò una brillante versione con l’orchestra. Il tono arguto e leggero, che corteggia quel jazz presente accanto a Bach e Ravel nel repertorio dei due amici, trasmette il messaggio sempre attuale di un’arte che vince la barbarie.
Le altre composizioni in programma chiamano in causa il Ravel suonato da Lutosławski e Panufnik nelle notti di Varsavia in veste di autentico genio dell’orchestrazione. Con una specifica declinazione: non la vaghezza indistinta e vaporosa dell’impressionismo, bensì i colori primari, le linee essenziali e definite d’un Matisse e dei fauves. Lo si noterà già nella composizione integralmente raveliana, il Bolero (1928) commissionato dalla danzatrice Ida Rubinstein, che si sarebbe accontentata dell’orchestrazione di qualche pagina di Albeniz. Ravel optò invece per un pezzo originale, ricorrendo al tema d’una «danza lasciva» spagnola tardosettecentesca. Si ricordi che il ricorso alla tradizione iberica è questione chiave nel panorama modernista: l’esotismo caro alla cultura francese viene sfruttato per attuare un rinnovamento linguistico di ampia portata. Ravel ne è uno degli artefici primari con L’heure Espagnole, la Rhapsodie espagnole, l’Alborada del Gracioso e l’estrema fatica, Don Quichotte à Dulcinée. Nel Bolero la costruzione d’una tensione emotiva (e prima ancora a elementare e fisica, sensoriale e sensuale) passa attraverso il prediletto ostinato ritmico. L’effetto – prodigioso, ipnotico – è sortito esclusivamente tramite l’accumulo sonoro progressivo (il crescendo già rossiniano impiegato con efficace spregiudicatezza) e l’insistenza implacabile e ossessiva d’un ritmo assolutamente, deliberatamente monotono. Il pezzo è una sorta di Tema senza variazioni, se non nel colore orchestrale: musica scritta, dirà Ravel, «senza alcuno sviluppo, graduando al mio meglio l’orchestrazione».
Il dialogo tra culture – l’Italia di Paganini e la Polonia di Lutosławski, Ravel e la Spagna – si rinnova con i Quadri di un’esposizione di Musorgskij, concepiti originariamente per pianoforte, ma oggi proposti regolarmente nell’orchestrazione realizzata da Ravel su commissione di Sergej Kusevitzkij e presentata all’Opéra di Parigi quasi esattamente 100 anni fa, il 19 ottobre 1922, capolavoro di sofisticata e visionaria scrittura sinfonica. L’allestimento a Pietroburgo d’una retrospettiva dell’architetto pittore Victor Hartmann offrì a Musorgskij l’occasione per commemorare l’amico con un’opera ardita, espressione degli ideali di rinnovamento legati alla tradizione popolare. Completato il 22 giugno 1874, il ciclo consta di dieci pezzi caratteristici, trasfigurazioni di straordinaria potenza evocativa di semplici spunti figurativi dell’amico. L’immaginaria visita a una galleria è unificata dal ritorno asistematico della Promenade, sezione che rappresenta il compositore mentre passeggia tra i dipinti ed esibisce immediatamente il programmatico colore nazionale con l’indicazione nel modo russico. Per accompagnare il passo del visitatore il metro oscilla fra 5 e 6/4, anomalia di ascendenza popolare cui corrisponde l’impiego d’un tema pentatonico, estraneo alla tradizione colta occidentale, affidato da Ravel allo spavaldo richiamo della tromba. Il primo quadro trasfigura uno schiaccianoci a forma di gnomo in una creatura grottesca dai riflessi demonici. Ripresa la Promenade all’evocativo suono lontano del corno, Il vecchio castello dove un trovatore intona un canto malinconico è reso con un’ipnotica barcarola cui Ravel attribuisce l’originalissima, struggente voce lirica del sassofono. Ritornata cupa e violenta la Promenade, uno spirito capriccioso s’impadronisce di Tuileries, evocazione chiassosa con il pigolio dei legni dei giochi infantili nei giardini di Parigi. Bydlo, carro polacco dal passo pesante, è dipinto dagli strumenti gravi con il colpo di genio dell’assolo della tuba. La Promenade trasfigurata introduce il Balletto dei pulcini nei loro gusci, irrequieto, romantico Scherzino. Due ritratti di ebrei polacchi, uno ricco e l’altro povero, sostanziano il tragicomico Samuel Goldenberg e Schmuyle, tra l’arrogante unisono drammatico degli archi e la stridula voce d’una tromba con sordina. Vivacità operettistica anima Limoges. Le marché, a rappresentare i pettegolezzi delle allegre comari francesi in un caleidoscopio di interventi orchestrali dalla spiccata accentuazione ritmica. La Coda convulsa confligge con il capolavoro sepolcrale Catacombae, in cui una tromba si leva sinistra dal corale terribile degli ottoni, continuando con Cum mortuis in lingua mortua, resa ancor più inquietante dall’orchestrazione. Nella Capanna su zampe di gallina la voce folklorica della strega Baba-Yaga ha una barbarica e già novecentesca violenza espressiva. L’opera si chiude con La Grande porta di Kiev, progetto mai realizzato per un monumentale ingresso alla capitale ucraina tra simboli di fede ed eroismo. La celebrazione nazionalistica richiama la Scena dell’incoronazione del Boris Godunov. Un tema trionfale viene esposto nella veste splendida degli ottoni e trasfigurato in vera e propria apoteosi, prima del diluvio sonoro della Coda roboante.