Ludwig van Beethoven (1770 – 1827)
Concerto n. 3 in Do minore per pianoforte e orchestra op. 37
Sinfonia n. 1 in Do maggiore op. 21
direttore James Feddeck
pianoforte Lavinia Bertulli
Orchestra I Pomeriggi Musicali
Un genio, anzi due
Il 5 aprile 1803, Martedì Santo, un pubblico fortunato assistette al secondo concerto (Akademie, come si diceva allora) organizzato da Beethoven a Vienna, a tre anni dal precedente, con la propria musica e a proprio beneficio. Un concerto monstre, dal formato oggi impraticabile, che comprendeva in prima esecuzione assoluta l’oratorio Cristo sul Monte degli ulivi, la Seconda Sinfonia e il Terzo Concerto per pianoforte, accanto alla ripresa della Prima Sinfonia. Chissà quanti avranno avuto la consapevolezza di non trovarsi di fronte a un Beethoven, bensì a due.
Biglietteria
Prezzi dei singoli biglietti
Intero
I settore € 20,00 – II settore € 14,50 – Balconata € 11,00 + prevendita
Ridotto (fino a 26 anni, oltre i 60 anni, gruppi, associazioni ed enti convenzionati)
I settore € 16,00 – II settore € 12,50 – Balconata € 9,00 + prevendita
Note di sala
Il 5 aprile 1803, Martedì Santo, un pubblico fortunato assistette al secondo concer – to (Akademie, come si diceva allora) organizzato da Beethoven a Vienna, a tre anni dal precedente, con la propria musica e a proprio beneficio. Un concerto monstre, dal formato oggi impraticabile, che comprendeva in prima esecuzione assoluta l’oratorio Cristo sul Monte degli ulivi, la Seconda sinfonia e il Terzo concerto per pianoforte, accanto alla ripresa della Prima sinfonia. Chissà quanti avranno avuto la consapevolezza di non trovarsi di fronte a un Beethoven, bensì a due. Quella manifestazione si colloca infatti su un crinale della vicenda creativa beethoveniana; quando cioè il genio ha appena voltato le spalle al già importante mondo creativo cui aveva dato vita nel primo decennio viennese, culminante nel biennio 1800/01, affermando con disarmante semplicità all’allievo Carl Czerny: «Non sono molto soddisfatto dei lavori che ho scritto finora; da oggi in poi voglio battere una via nuova». Manifesterà quella stessa esigenza di sviluppare una cifra stilistica più consapevole, personale e matura presentando nel 1802 al proprio editore le Variazioni per pianoforte opp. 34 e 35: «questa volta sono io a doverle assicurare che la maniera in questi lavori è interamente nuova e mia».
Il Terzo concerto per pianoforte rappresenta quindi un approdo per l’esperienza creativa di un compositore che non ha soltanto fatto propri i modelli di Haydn e Mozart creando lavori di alto valore estetico, ma ha ormai acquisito una propria fisionomia riconoscibile, un profilo stilistico che emerge da questa partitura in termini quasi programmatici. Si manifesta insomma, come ha scritto Francesco Degrada, «per la prima volta in questa forma la dimensione titanica ed eroica dell’umanità beethoveniana». A cominciare da quel congeniale Do minore in cui erano già stati concepiti i Trii op. 1 n. 3, op. 9 n. 3, le Sonate per pianoforte op. 10 n. 1 e soprattutto op. 13 “Patetica” e il Quartetto op. 18 n. 4, in attesa dell’epifania più memorabile di quella tonalità, ascoltata nel concerto inaugurale di questa Stagione, la Quinta sinfonia, e della tarda Sonata op. 111. Unico concerto beethoveniano in modo minore, incardinato nella tonalità che era stata del Concerto per pianoforte k 491 di Mozart, che il compositore più giovane tenne in debito conto, abbozzato già all’altezza del 1796, compiuto verso il 1800, fu presentato, come già accennato, nel 1803, per essere pubblicato solo nel 1804, con dedica al principe Luigi Ferdinando di Prussia. Della prima esecuzione, che vide Beethoven al pianoforte come per i primi quattro dei suoi cinque concerti, ci ha lasciato una testimonianza di grande interesse il direttore d’orchestra e compositore, allievo di Mozart, Ignaz von Seyfried. Incaricato di voltar le pagine all’illustre interprete, si vide di fronte un manoscritto incompiuto costituito da fogli semivuoti, con al massimo qualche appunto come promemoria, per me incomprensibile come un geroglifico egizio. [Beethoven] suonò quasi tutta la parte del solista a memoria, poiché, come spesso accade, non aveva avuto il tempo di trascrivere tutto su carta. Mi faceva un cenno impercettibile tutte le volte che era alla fine di uno di quegli invisibili passaggi e la mia malcelata ansia di non perdere il momento decisivo lo divertiva enormemente.
L’Allegro con brio, per l’epoca monumentale, innervato d’un vocabolario eroico-militare (l’onnipresente intervallo di quarta ascendente a imitazione dei timpani, reiterato già dalla terza battuta del primo tema), è costruito sull’evidente contrapposizione tra un primo tema volitivo e perentorio e un secondo, esposto nell’introduzione dal clarinetto, lirico e affettuoso. La perla del lavoro è unanimemente riconosciuta nel Largo, incardinato nella tonalità, remota rispetto al Do minore d’impianto, di Mi maggiore, a intonare una meditazione siderale, proposta dal solista con una libertà espressiva tutta beethoveniana e all’epoca inedita, quasi che il compositore/interprete si sia chinato ad auscultare lo strumento, per trarne le risonanze più delicate del proprio mondo interiore. Tripartita, questa pagina quasi atemporale ospita una sezione centrale in cui il pianoforte orna con arpeggi eterei il dialogo immoto tra flauto e fagotto prima di riprendere la meditazione interrotta. Il concerto si conclude con la sorpresa della Coda del Finale, che un’inopinata metamorfosi di tutti i parametri fa approdare a un esilarante (e strappa applausi) Presto in 6/8 e Do maggiore.
Con la Prima sinfonia Beethoven, giunto a Vienna quattro anni dopo l’ultima sinfonia di Mozart, la “Jupiter”, aveva inteso raccogliere il testimone di quest’ultimo. Significativamente inaugurò infatti la serie delle sue sinfonie, decisive per le sorti del genere nel nuovo secolo, il 2 aprile 1800 al Teatro di Corte, a coronamento d’un concerto comprendente musica di Haydn e Mozart. Dedicata al barone Gottfried van Swieten, la Prima si segnalò immediatamente per «molta arte, novità ed abbondanza di idee». Armonicamente instabile e irto di dissonanze, l’Adagio molto d’apertura introduce l’Allegro con brio dal primo tema semplice e vigoroso, che finirà per travolgere nel suo dinamismo senza requie il seducente dialogo tra fiati che costituisce il secondo tema. L’Andante cantabile con moto, avviato da un tema discreto esposto dai violini secondi ed esteso progressivamente, prende a prestito un carattere di minuetto, non immemore della Sinfonia in Sol minore k 550 di Mozart, per realizzare una costruzione di grande equilibrio e bellezza. Il sedicente Minuetto è in realtà un vasto, moderno Scherzo dalla velocità e dal piglio travolgenti, placato solo momentaneamente dal Trio, serenata per fiati animata dal nervoso agitarsi dei violini. Il Finale è poi uno di quei giocattoli à la Haydn, che, costruiti su due temi sbarazzini, innescano il moto inarrestabile dell’orchestra, che non si nega neppure il gesto umoristico d’un avvio in Adagio in cui i violini non sembrano decidersi a portare a termine una scala.
Raffaele Mellace