Direttore: James Feddeck, Pianoforte: Lise de la Salle - I Pomeriggi Musicali - Teatro Dal Verme

Le date

Sala Grande
giovedì 23 maggio 2024
Ore: 10:00*
giovedì 23 maggio 2024
Ore: 20:00
sabato 25 maggio 2024
Ore: 17:00
*I Pomeriggi in anteprima

Edvard Grieg (1843 – 1907)
Concerto in La minore per pianoforte e orchestra op. 16

Robert Schumann (1810 – 1856)
Sinfonia n. 3 in Mi bemolle maggiore op. 97 “Renana”

direttore James Feddeck
pianoforte Lisa de la Salle
Orchestra I Pomeriggi Musicali

 

Al cuore del Romanticismo
La 79a Stagione dei Pomeriggi Musicali si conclude nel cuore del Romanticismo, con autori e composizioni che rappresentano compiutamente il pensiero compositivo romantico, còlto, con Schumann, nel suo centro d’irradiazione e, con Grieg, nella fortuna continentale d’un idioma ignaro di barriere linguistiche o geografiche.

Biglietteria

Prezzi dei singoli biglietti
Intero
I settore € 20,00 – II settore € 14,50 – Balconata € 11,00 + prevendita
Ridotto (fino a 26 anni, oltre i 60 anni, gruppi, associazioni ed enti convenzionati)
I settore € 16,00 – II settore € 12,50 – Balconata € 9,00 + prevendita

Note di sala

La 79a stagione dei Pomeriggi Musicali si conclude al cuore del Romanticismo, con autori e composizioni che rappresentano compiutamente il pensiero compositivo romantico, còlto, con Schumann, nel suo centro d’irradiazione e, con Grieg, nella fortuna continentale d’un idioma ignaro di barriere linguistiche o geografiche. Il Concerto per pianoforte di Edvard Grieg, con la suite dal Peer Gynt il suo lavoro più popolare, è il prodotto d’una felice combinazione di fattori. Innanzitutto lo stato di grazia dell’autore, che, compiuti da poco 25 anni, trascorse l’estate 1868 in un cottage a Søllerød, in Danimarca, antica e tranquilla cittadina 20 km. a Nord di Copenaghen. Grieg trovò nell’amico pianista Edmund Neupert il destinatario ideale della composizione, che questi tenne a battesimo il 3 aprile 1869 a Copenaghen. Grieg sottopose il concerto al giudizio di Liszt che, letto lo spartito more solito con un’incredibile prova di prima vista, gratificò il giovane collega della propria benedizione e di alcuni consigli. Fu però con l’esecuzione, in via eccezionale, dell’autore alla tastiera, nel 1879 al Gewandhaus di Lipsia, che il lavoro acquisì un posto stabile in repertorio, divulgato al volgere del secolo da Teresa Carreño Tagliapietra e Raoul Pugno (quest’ultimo con disappunto di Debussy, che non amava affatto il lavoro). Grieg ebbe il piacere di ascoltarlo nel 1897 a Vienna interpretato da Ferruccio Busoni, presente in sala Brahms al termine della sua esistenza. Nel 1939 la ventiquattrenne Ingrid Bergman ne suonerà appassionatamente la cadenza del primo movimento (in playback, naturalmente) coadiuvata da Leslie Howard al violino nel film Intermezzo di Gregory Ratoff.
Si diceva Lipsia. Nella città sassone Grieg, quindicenne, era stato allievo del celebre conservatorio fondato da Mendelssohn; lì aveva acquisito precoce conoscenza del repertorio tedesco e insieme preso coscienza della propria alterità rispetto a quella cultura; alterità che coltivò negli anni seguenti a Copenaghen, dove maturò l’adesione al nazionalismo scandinavo. Il Concerto per pianoforte rappresenta assai bene entrambe le istanze che concorrono a formare il giovane Grieg. Da un lato il confronto con la cultura romantica tedesca, rappresentata ad esempio da Schumann, che al Conservatorio di Lipsia aveva insegnato prima dell’avvento di Grieg e che l’aveva preceduto nel comporre il proprio, non meno celebre Concerto, anch’esso in La minore, ascoltato in questa stagione il 1°/3 febbraio; concerto che il norvegese tenne presente, pur senza imitarlo pedissequamente, ad esempio nella proporzione fra i tempi, con un movimento intermedio più leggero, a mo’ d’intermezzo. È infatti il formato classico-romantico del concerto che Grieg interpreta fedelmente, evidenziando in ogni modo la logica dello schema canonico. Dall’altra parte, il concerto si sostanzia di quel patrimonio caratteristico e inconfondibile di inflessioni melodiche, peculiarità armoniche e ritmiche proprie della musica folklorica: linguaggio che, pur mediato dagli usi compositivi propri del musicista colto, rappresenta inequivocabilmente la voce d’una cultura altra, alludendo in ultima analisi, nell’ottica di un’antropologia utopica, all’ideale schiettamente romantico di un’umanità pura e primigenia. Schiettamente folklorico, secondo un modello praticato per primo da Chopin, è il Finale, animato dai ritmi delle danze popolari scandinave halling e springdans, ma lo è già l’idioma del primo tema dell’Allegro molto moderato d’apertura, o l’invenzione melodica dell’Adagio. Il fascino di questo melodizzare esotico, insieme alla capacità di mettere in rilievo il solista senza tuttavia imporgli pedaggi esorbitanti e la complessiva fluidità del discorso che pare imitare la libertà dell’improvvisazione fanno di questo concerto una pagina riuscita, in grado di parlare al pubblico d’ogni tempo.
Tocca al più volte citato Schumann chiudere la 79a stagione dei Pomeriggi Musicali con una delle sue principali e senz’altro più riuscite imprese sinfoniche. La Sinfonia in Mi bemolle maggiore n. 3 “Renana”, a dispetto della numerazione, è l’ultima in ordine di composizione. Risale infatti ai mesi di novembre/dicembre del 1850, uno degli estremi anni produttivi del compositore, e quasi inaugura la stagione conclusiva del suo percorso, trascorsa a Düsseldorf, sul Reno, dove pochi mesi prima, nel settembre dello stesso anno, Schumann era stato nominato direttore musicale principale della città. Ai paesaggi, alla storia e alla cultura di quella regione la sinfonia si rifà esplicitamente: il titolo infatti non è, come talvolta accade, posticcio e postumo, ma fa riferimento a degli intenti illustrativi espressi da Schumann, che in un primo tempo avrebbe voluto attribuire titoli specifici a ciascuno degli (irritualmente) cinque tempi della sinfonia. In termini diversi ma con spirito in fondo non dissimile dall’operazione compiuta da Grieg, la musica diventa anche in questo caso espressione di un’identità culturale profonda. Si noti per cominciare che Schumann abbandona la secolare consuetudine di intitolare i movimenti con i termini italiani, a favore dei corrispondenti tedeschi. Inaugura questa orazione musicale una pagina magnifica (Lebhaft) pervasa da schietto entusiasmo, in cui la costruzione dei temi suona squisitamente romantica nello slancio irrefrenabile, che sembra superare la scansione metrica in 3⁄4 e facendo piazza pulita dell’introduzione lenta di cui Schumann aveva immancabilmente provveduto le altre sinfonie. In seconda posizione si colloca, tipicamente presso i Romantici, uno Scherzo (Sehr mäßig) animato dallo spirito della danza popolare. Seguono eccezionalmente ben due movimenti lenti: interlocutorio il primo (Nicht schnell), fondato su tre motivi e dall’orchestrazione ridotta, con evidente valore d’intermezzo. Affascinante il secondo (Feierlich), il movimento aggiunto, sembra suggestionato dalla cerimonia d’imposizione della porpora cardinalizia all’arcivescovo di Colonia nel gotico Duomo. Al di là del riferimento extramusicale, la solennità che costituisce l’indicazione agogica del movimento è tradotta in una scrittura contrappuntistica profondamente nutrita dalla venerazione per Bach e restituita aggiornata, a un secolo esatto dalla morte di quest’ultimo, rispetto alla sensibilità romantica. Il contrasto non potrebbe essere più acceso con l’etereo Lebhaft conclusivo, che danza leggero, nonostante il cospicuo apparato orchestrale che mobilita, a ribadire l’entusiasmo come musa ispiratrice dell’ultimo capolavoro sinfonico schumanniano.

Raffaele Mellace