Direttore: Stefano Montanari, Flauto: Andrea Manco, Arpa: Claudia Lucia Lamanna - I Pomeriggi Musicali - Teatro Dal Verme

Le date

Sala Grande
giovedì 22 febbraio 2024
Ore: 10:00*
giovedì 22 febbraio 2024
Ore: 20:00
sabato 24 febbraio 2024
Ore: 17:00
*I Pomeriggi in anteprima

Franz Joseph Haydn (1732 – 1809)
L’isola disabitata (Ouverture)

Wolfgang Amadeus Mozart (1756 – 1791)
Concerto in Do maggiore per flauto e arpa K299

Felix Mendelssohn-Bartholdy (1809 – 1847)
Sinfonia n. 4 in La maggiore op. 90 “Italiana”

direttore Stefano Montanari
flauto Andrea Manco
arpa Claudia Lucia Lamanna
Orchestra I Pomeriggi Musicali

 

Musica in viaggio (1)
Le pagine che si succedono in questi itinerari sonori hanno, in diversa misura, a che vedere con il tema del viaggio: scritte durante il percorso o al ritorno, oppure immaginando luoghi remoti, traducendo in suoni la risonanza di quelle esperienze. L’Ouverture di Haydn scandaglia un mondo interiore posseduto da una cupa frenesia e vicino al movimento letterario tedesco dello Sturm und Drang; leggerezza e trasparenza ispirano Mozart nell’intreccio di due strumenti complementari ma eterogenei; per Mendelssohn la Sinfonia rappresenta l’evocazione di quella «più grande gioia di vivere» che aveva costituito l’esperienza folgorante del nostro Paese.

Biglietteria

Prezzi dei singoli biglietti
Intero
I settore € 20,00 – II settore € 14,50 – Balconata € 11,00 + prevendita
Ridotto (fino a 26 anni, oltre i 60 anni, gruppi, associazioni ed enti convenzionati)
I settore € 16,00 – II settore € 12,50 – Balconata € 9,00 + prevendita

Note di sala

Le pagine in programma hanno, in diversa misura, a che vedere con il tema del viaggio: scritte in viaggio o immaginando luoghi remoti. Quella in cui l’immaginazione prevale sulla realtà è l’ouverture che Franz Joseph Haydn concepì per L’isola disabitata, azione teatrale scritta da Pietro Metastasio per la musica di Giuseppe Bonno nel 1753, l’anno stesso in cui si trovava a frequentare quotidianamente il giovane Haydn nel Grosses Michaelerhaus dove vivevano entrambi, di fronte alla Corte di Vienna. Fu però solo più tardi, nel 1779, per l’onomastico del principe Nicolaus “il Magnifico”, il 6 dicembre, che il compositore austriaco scelse di musicare quel testo per il teatro di Eszterháza, memore forse di un’altra azione teatrale da lui diretta in quella stessa sala, l’Orfeo ed Euridice di Gluck. Haydn considerava l’opera, che corona una prima fase dell’attività del compositore come responsabile del teatro di corte, uno dei suoi lavori migliori (già nel 1781 ne lamentava all’editore Artaria la mancata rappresentazione a Parigi o a Vienna), a dimostrazione d’un impegno evidente già dalla sinfonia. Il compositore vi percorre nuovamente, e forse per l’ultima occasione – complice probabilmente la vicenda dell’opera che si apre con la protagonista che si protesta abbandonata sull’Isola disabitata, quasi una novella Arianna –, la via di un’espressività violenta, lacerata, drammatica, una scrittura che sembra scandagliare con singolare potenza introspettiva un mondo interiore posseduto da una cupa frenesia, dalla vicinanza di sentire con il movimento letterario tedesco dello Sturm und Drang che coinvolse negli stessi anni anche Goethe. Come già in sette sinfonie da concerto (nn. 26, 34, 39, 44, 45, 49 e 52) e nelle sonate per pianoforte Hob. xvi / 32 e 44, l’impiego del modo minore, molto raro (solo quattro volte) nella restante produzione sinfonica, favorisce una temperie espressiva inquieta, declinata nell’ouverture dell’Isola disabitata nell’inconsueto respiro sinfonico in quattro movimenti. Difficile restare indifferenti all’attacco stentoreo del Largo, scolpito come il soggetto di una fuga, sviluppato spavaldo e drammatico nel Vivace assai e contraddetto solo temporaneamente dall’Allegretto che capovolge in maggiore il Sol minore d’impianto, a offrire tregua momentanea grazie al “più spirabil aere” d’un mondo sonoro galante, prima della ripresa della foga travolgente del Vivace assai.
Un luogo altro, ma ben reale, ispirò a Mozart la stesura del Concerto per flauto e arpa: la Parigi del 1778, dove il compositore ricevette la commissione d’un tale lavoro da parte di Adrien-Louis de Bonnières, conte di Guînes, flautista dilettante, intenzionato ad eseguirlo con la figlia Marie-Louise-Philippine, arpista, dedicataria, lo stesso anno, della Racueil de douze préludes et petits air pour la harpe op. 2 dell’arpista boemo Johann Baptist Krumpholz, che a sua volta, sempre in quel memorabile 1778, citerà un tema del Concerto mozartiano nella Sonata in Fa maggiore op. 8 n. 3, uscita nel 1780. L’orizzonte pratico è quello dei cosiddetti “dilettanti”, in grado di padroneggiare composizione dal tasso di difficoltà moderato in un contesto salottiero; quello estetico è la Parigi degli anni Settanta, la cui memoria avrebbe ispirato a Mozart, un anno più tardi e di nuovo a Salisburgo, la Sinfonia concertante k 364 ascoltata il 18/20 gennaio scorsi. Leggerezza, trasparenza, mancanza di peso sembrerebbero ispirare il compositore ventiduenne nel materializzare, lungo i tre tempi, l’intreccio di due strumenti complementari ma eterogenei – che «spaziano svolazzando nei loro giochi come preziosi uccelli esotici di un arazzo Gobelin», ha scritto Giovanni Carli Ballola –, quali non si trovano altrove nel suo catalogo. Si apprezzino il rinnovarsi continuo del dialogo tra i solisti e con l’orchestra nell’Allegro d’apertura, la felicità melodica che promana dall’ Andantino, l’esprit ricco di colori e contrasti, a cominciare dall’introduzione orchestrale, che anima il Rondò allegro conclusivo, opportunamente, in onore alla geografia, a ritmo di gavotta.
Per Mendelssohn viaggiare, incontrare civiltà e paesaggi lontani rappresentava l’occasione per tradurre in suoni la risonanza di quelle esperienze in un animo colto, sensibile, ricettivo. A Roma Mendelssohn compose buona parte della Sinfonia “Italiana” nel lungo soggiorno del 1830/31 (ma sicuramente non il secondo movimento), per completarla a Berlino nel 1832/33 per onorare una prestigiosa commissione della Philharmonic Society di Londra. La Sinfonia rappresenta programmaticamente, specie nei tempi estremi, l’evocazione di quella «più grande gioia di vivere» che per l’amburghese aveva costituito l’esperienza folgorante del nostro Paese, sulle orme del Viaggio italiano di Goethe, amico personale del compositore. Tale solarità – che è anche apollinea classicità della forma – è tradotta in gesto sonoro nel tema travolgente di ampio respiro con cui la Sinfonia attacca senza indugio con reiterati intervalli ascendenti sull’impulso ritmico in 6/8 della danza toscana del trescone. Né è un caso che coroni la Sinfonia un trascinante Saltarello («il pezzo più divertente che abbia scritto», lo dirà alla sorella), fondato su un efficacissimo meccanismo di crescendo, ispirato alla danza popolare che anche Berlioz avrebbe impiegato nel Carnevale romano. Diversa connotazione presentano i tempi intermedi, in cui agisce la nostalgia dell’Europa settentrionale. In particolare il severo Andante con moto in Re minore presenta un carattere di ballata mutuato da un Lied goethiano, Il re di Thule, di Carl Friedrich Zelter, nordico anche nel soggetto (la mitica Thule corrisponde alle Isole Shetland, se non alla Norvegia): una pagina dall’andamento processionale con cui Mendelssohn tributa un omaggio al suo maestro berlinese, scomparso nel 1832. Il terzo tempo, Con moto moderato, che l’autore dichiarò ispirato a una poesia umoristica di Goethe, Lilis Park, ospita una fanfara di corni, quasi sipario che prepara l’ingresso dei personaggi del Sogno di una notte di mezza estate, la cui ouverture risale a pochi anni prima. L’ultima zampata il giovane Mendelssohn la riserva per la conclusione della Sinfonia, che, caso unico in letteratura, benché impiantata in modo maggiore si chiude in minore, il La minore del Saltarello che capovolge il radioso La maggiore d’impianto, gesto che all’epoca sarà suonato non meno che sconcertante, tanto più che nella Coda del Finale compaiono in minore – lampi nelle tenebre – frammenti del primo tema dell’ Allegro con cui la Sinfonia si era aperta.

Raffaele Mellace