Direttore: Stefano Montanari, Pianoforte: Antonio Alessandri - I Pomeriggi Musicali - Teatro Dal Verme

Le date

Sala Grande
giovedì 08 febbraio 2024
Ore: 10:00*
giovedì 08 febbraio 2024
Ore: 20:00
sabato 10 febbraio 2024
Ore: 17:00
*I Pomeriggi in anteprima

Wolfgang Amadeus Mozart (1756 – 1791)
Idomeneo, re di Creta (Ouverture)

Camille Saint-Saëns (1835 – 1921)
Concerto n. 2 in Sol minore per pianoforte e orchestra op. 22

Ludwig van Beethoven (1770 – 1827)
Sinfonia n. 2 in Re maggiore op. 36

direttore Stefano Montanari
pianoforte Antonio Alessandri
Orchestra I Pomeriggi Musicali

 

Puro teatro sonoro
La musica in programma realizza il miracolo di coinvolgerci in un avvincente spettacolo di teatro musicale senza ricorrere né a scene, né a costumi, né a cantanti o attori. Un’orchestra e un pianoforte sono infatti più che sufficienti ai tre autori in cartellone per dar vita a un vibrante teatro sonoro i cui personaggi balzano palpitanti dinnanzi a noi, evidenti all’orecchio e all’immaginazione senza che l’occhio venga chiamato in causa.

Biglietteria

Prezzi dei singoli biglietti
Intero
I settore € 20,00 – II settore € 14,50 – Balconata € 11,00 + prevendita
Ridotto (fino a 26 anni, oltre i 60 anni, gruppi, associazioni ed enti convenzionati)
I settore € 16,00 – II settore € 12,50 – Balconata € 9,00 + prevendita

Note di sala

La musica in programma realizza il miracolo di coinvolgerci in un avvincente spettacolo di teatro musicale senza ricorrere né a scene, né a costumi, né a cantanti o attori. Un’orchestra e un pianoforte sono infatti più che sufficienti ai tre autori in cartellone per dar vita a un vibrante teatro sonoro i cui personaggi balzano palpitanti dinnanzi a noi, evidenti all’orecchio e all’immaginazione senza che l’occhio venga chiamato in causa. La vocazione teatrale della prima pagina è naturalmente costitutiva. Si tratta dell’Ouverture che Mozart compose come portale d’accesso all’opera seria Idomeneo, in scena al Teatro di Corte di Monaco di Baviera nel 1781. La doppia eccezionalità del lavoro è espressa a meraviglia dalla musica. Idomeneo rappresenta infatti da un lato la svolta nella biografia del compositore, venticinquenne giusto nei giorni della “prima”, il quale dopo molti anni ritorna finalmente a scrivere per un grande teatro, si convince nella consapevolezza del proprio valore e decide di abbandonare il recinto angusto della patria salisburghese. Dall’altro lato, è un titolo rivoluzionario nella storia dell’opera poiché generato da un pensiero sinfonico inaudito, affidato alla perizia degli eccellenti musicisti monacensi. Il discorso sinfonico, puramente strumentale, si candida così, contro tutta la tradizione, a guidare le scelte drammaturgiche. Un orientamento preannunciato, anzi già realizzato, dall’Ouverture, che restituisce in un unico movimento dalla tensione incoercibile le caratteristiche che saranno dell’opera: grandiosità monumentale, inquietudine serpeggiante e propulsione inarrestabile. Questi tre elementi, già evidenti dalle prime battute, sono chiamati a introdurre lo spettatore, prima ancora che s’alzi il sipario, alla tragedia inscritta nel terribile soggetto mitologico antico, che impone al protagonista il sacrificio umano del proprio unico figlio.
Squisitamente teatrale è anche lo spettacolo che quasi un secolo più tardi Camille Saint-Saëns allestirà in tempi record con il Secondo Concerto per pianoforte. Gli occorsero infatti soltanto diciassette giorni per approntare una partitura che avrebbe interpretato lui stesso da solista, invitato il 13 maggio 1868 alla Salle Pleyel al debutto parigino come direttore di Anton Rubinstein, altro grande pianista. Il compositore francese, unico tra i compatrioti del suo secolo a lasciare un segno nella storia del genere (ben cinque concerti per pianoforte, come Beethoven), realizzò per l’occasione un lavoro spettacolare, gratificato dalla lusinghiera approvazione lisztiana («La forma è nuova e felicissima. L’interesse dei tre pezzi va crescendo», si complimentò il nume del pianismo romantico) e mai più uscito dal repertorio, che gioca con le aspettative del pubblico esibendo una profonda padronanza del magistero classico-romantico tedesco così come d’una varietà di stili e linguaggi. Si deve al pianista polacco Sigismond Stojowski la battuta, non da prendersi alla lettera e tuttavia assai pertinente, per cui il concerto inizia con Bach e finisce con… Offenbach! Nutrito di profonda consapevolezza stilistica, Saint-Saëns, che il 15 maggio 1879 avrebbe interpretato questo concerto anche a Milano, esordisce infatti con un insolito Andante inaugurato dall’avvio preludiante di un’intensa, meditativa cadenza per il pianoforte, al quale si unisce l’orchestra che sviluppa un discorso animato dall’eloquenza retorica di gesti teatrali enfatici che ospitano il bel melos interiorizzato del pianoforte – forse il tema d’un Tantum ergo dell’allievo Gabriel Fauré –, stemperato in malinconico fantasticare romantico. L’Allegro scherzando in Mi bemolle maggiore corre via con la leggerezza d’uno scherzo mendelssohniano, prodigando un indefettibile buon umore, complici godibilissimi squarci di cantabilità salottiera. Il Presto di questo concerto privo di tempo lento ci regala infine una tumultuosa tarantella (Mendelssohn aveva impiegato un analogo Saltarello nella sua Sinfonia “Italiana”, in programma nel prossimo concerto), non meno teatrale nella tensione, nutrita di virtuosismo, verso quel teatro di suoni che è la danza.
Di danza si era occupato Beethoven nel 1801, quando propose a Vienna il balletto Le creature di Prometeo. Quell’anno stesso stava attendendo agli abbozzi preparatori dell’innovativo Finale di quel capolavoro giovanile che sarà la Seconda Sinfonia, avviata l’anno prima, completata quello successivo e presentata al pubblico nel concerto monstre del 5 aprile 1803 al Theater an der Wien (che ospiterà il Fidelio), quando vennero tenuti a battesimo l’unico oratorio beethoveniano Christus am Ölberge, le prime due sinfonie e il Terzo Concerto per pianoforte (quest’ultimo ascoltato con la Prima Sinfonia nel secondo concerto di questa 79a Stagione dei Pomeriggi Musicali). Introduce la Seconda Sinfonia – con gli ultimi lavori di Haydn e Mozart un punto fermo del sinfonismo classico e insieme una piattaforma protesa verso il Beethoven futuro – un ampio, anfrattuoso movimento lento di matrice haydniana (un’«improvvisazione per orchestra», ha scritto Paul Bekker), che lancia un Allegro con brio di grande vivacità ed entusiastica, mozartiana ricchezza tematica. Segue un vasto Larghetto, già proteso verso il melos schubertiano: pagina che il compositore sembra non voler mai abbandonare. Ne rimanda infatti di continuo la conclusione alternando l’innocente semplicità che lo faceva definire da Berlioz «puro e candido» con pagine da conversazione di civile socievolezza: musica della serenità come le romanze per violino e la futura Pastorale, il cui linguaggio sembra forgiarsi proprio in questa sinfonia tanto gravida d’avvenire. Anche il Trio dello Scherzo è foriero di sviluppi futuri nella pagina omologa della Nona Sinfonia, già preconizzata nell’introduzione al primo movimento, per tacere dell’affinità con la melodia dell’“Inno alla gioia”, anch’essa in Re maggiore. Il Finale è avviato da un guizzo che anticipa l’umorismo d’un libero rondò, stigmatizzato dalla stampa coeva come «troppo bizzarro, selvaggio e chiassoso», tutto un susseguirsi di colpi di scena, ad annunciare una personalità che farà molto parlare di sé. Quasi dicesse: questo è solo l’inizio…

Raffaele Mellace