Direttrice: Gianna Fratta, Violino: Sergej Krylov - I Pomeriggi Musicali - Teatro Dal Verme

Le date

Sala Grande
giovedì 18 maggio 2023
Ore: 10:00*
giovedì 18 maggio 2023
Ore: 20:00
sabato 20 maggio 2023
Ore: 17:00
*I Pomeriggi in anteprima

Podio al femminile con Gianna Fratta il 18 e il 20 maggio e il virtuosismo stellare del violinista Sergej Krylov per il Concerto n. 4 di Paganini, cui segue una nuova commissione ad Andrea Melis e la Sinfonia “Italiana” di Mendelssohn.

Programma

Gioachino Rossini (1792 – 1868)
L’italiana in Algeri (Sinfonia)

Niccolò Paganini (1782 – 1840)
Concerto per violino e orchestra n. 4 in re minore
Allegro maestoso
Adagio flebile con sentimento
Rondò galante: Andantino gaio

Andrea Melis (1979)
Metamorfosi concertanti
(prima esecuzione assoluta, nuova commissione dei Pomeriggi Musicali)

Felix Mendelssohn – Bartholdy (1809 – 1847)
Sinfonia n. 4 “Italiana”in la maggiore, op. 90
Allegro vivace
Andante con moto
Con modo moderato
Saltarello. Presto

Direttrice Gianna Fratta
Violino Sergej Krylov
Orchestra I Pomeriggi Musicali

Biglietteria

Intero
I settore € 20,00 – II settore € 14,50 – Balconata € 11,00 + prevendita
Ridotto
I settore € 16,00 – II settore € 12,50 – Balconata € 9,00 + prevendita

Note di sala

Italianità

di Raffaele Mellace

La 78° Stagione dei Pomeriggi musicali si avvia a conclusione con un concerto che parla italiano, per la nazionalità di tre dei quattro autori e per la sonorizzazione dello spirito italiano cui aspira il quarto titolo in programma. Con Rossini e Paganini ci tratteniamo nell’Italia preunitaria. La splendida Sinfonia dell’Italiana in Algeri risale ancora all’età napoleonica: la si ascoltò per la prima volta al Teatro S. Benedetto di Venezia il 22 maggio 1813, l’anno che impose il genio ventunenne all’attenzione universale. Come di norma bipartita tra un Andante introduttivo e un Allegro principale, si apre sull’understatement indubbiamente ironico del pizzicato in piano di tutti gli archi, contraddetto dall’accordo in sforzando a piena orchestra e dalla melodia sorniona dell’oboe, protagonista con il flauto di una sinfonia in cui l’apporto dei legni è fondamentale. Il piatto forte è però l’Allegro, forma sonata senza sviluppo che esplode con sfacciata energia dal sapore bandistico, per ospitare una delle prime apparizioni della macchina formidabile del crescendo che man mano coinvolge irresistibilmente l’intera orchestra.

Non meno spettacolare è il concerto che il collega e amico Paganini compose per sé, non in Italia ma in Germania, durante la straordinaria tournée europea culmine della sua carriera. Registrato come n. 4 nel suo ricco catalogo, il Concerto in re minore è annunciato come in gran parte pronto in una lettera scritta da Lipsia al fido amico Luigi Guglielmo Germi il 16 ottobre 1829: «Ho scritto un primo tempo di concerto in re minore, ed un Adagio in 3° minore con colpo di tatan alla fine, ma queste benedette Accademie non mi permettono di scrivere il rondò, però ho stabilito il motivo». Il tempo per comporre il rondò lo trovò entro il febbraio successivo, così che poté far ascoltare il concerto il 26 aprile 1830 a Francoforte, poi a Kassel, Amburgo, Brema e più volte a Londra. In questo lavoro il musicista affermato modera la componente virtuosistica, sovente dilagante nei tempi estremi, a vantaggio di un maggior equilibrio tra solista e orchestra. Quest’ultima apre tanto l’Allegro maestoso inaugurale quanto il successivo Adagio flebile in fa diesis minore con il consueto sipario teatrale dalla gestualità melodrammatica (si apprezzi del movimento lento il melos suadentissimo del violino, capace di autentica commozione), prima che il Rondò conclusivo, dall’ispirazione vicina alla celebre Campanella del Concerto n. 2, provvisto come quella di caratteristico triangolo, coroni in pura vis ritmica (il teatro rossiniano non è molto distante) il concerto.

Ci trasferiamo nell’Italia di oggi con la novità in prima esecuzione commissionata dai Pomeriggi Musicali ad Andrea Melis. Autore nella scorsa stagione di Visio smaragdina, classe 1979, formatosi con Azio Corghi, Alessandro Solbiati e Adriano Guarnieri, docente di composizione e studioso di filosofia, Melis è stato a lungo direttore della Scuola civica “Claudio Abbado” di Milano. Le sue Metamorfosi Concertanti assumono il principio costruttivo della variazione nel significato più ampio. In filigrana agisce un’ispirazione letteraria, le Metamorfosi di Apuleio: la pagina è percorsa da una pulsazione cardiaca che allude alle esperienze più misteriose di Lucio, protagonista del romanzo. Due tempi mossi ne incorniciano uno più ampio e disteso: nel I e nel III l’impulso è soggetto a un processo febbrile di giustapposizione di figure che articolano il gioco delle metamorfosi. In quello centrale si dissolve in forme quasi sinusoidali: il susseguirsi concitato si distende nel dolce avvicendarsi di “fasi”, ondate sonore che formano la sezione più lirica di questo trittico, tra gli spunti melodici espressivi alle prime parti di legni e ottoni.

Per Mendelssohn viaggiare, incontrare civiltà e paesaggi lontani rappresentò l’occasione costante per tradurre in suoni la risonanza di quelle esperienze in un animo colto, sensibile, ricettivo. Mentre Paganini proponeva in Germania il suo Concerto in re minore appena ascoltato, il tedesco, poco più che ventenne, componeva a Roma nel lungo soggiorno del 1830/31 buona parte della Sinfonia “Italiana” (non però il II tempo), che completò a Berlino nel 1832/33, in vista d’una prestigiosa commissione della Philarmonic Society di Londra. La sinfonia rappresenta programmaticamente, specie nei tempi estremi, l’evocazione di quella «più grande gioia di vivere» che per l’amburghese aveva costituito l’esperienza folgorante del nostro Paese sulle orme del Viaggio italiano di Goethe, amico personale del compositore. Tale solarità – che significa anche apollinea classicità della forma – è tradotta in gesto sonoro nel travolgente tema di ampio respiro con cui la sinfonia attacca senza indugio con reiterati intervalli ascendenti sull’impulso ritmico in 6/8 della danza toscana del trescone. Né è un caso che coroni la sinfonia un trascinante Saltarello («il pezzo più divertente che abbia scritto», lo definirà alla sorella), fondato su un efficacissimo meccanismo di crescendo, ispirato alla danza popolare che anche Berlioz avrebbe impiegato nel Carnevale romano. Diversa connotazione presentano i tempi intermedi, in cui agisce la nostalgia dell’Europa Settentrionale. In particolare, il severo Andante con moto in re minore propone un carattere di ballata mutuato da un Lied goethiano, Il re di Tule, di Carl Friedrich Zelter, nordico anche nel soggetto (la mitica Tule andrà identificata con le Isole Shetland, se non con la Norvegia). Con questa pagina dall’andamento processionale Mendelssohn tributa un omaggio al suo maestro berlinese, scomparso proprio nel 1832. Il terzo tempo, Con moto moderato, che l’autore dichiarò ispirato a una poesia umoristica di Goethe, Lilis Park, ospita una fanfara di corni, quasi un sipario che prepara l’ingresso dei personaggi del Sogno di una notte di mezza estate, la cui ouverture risale a pochi anni prima. L’ultima zampata il giovane Mendelssohn la riserva per la conclusione della sinfonia, che, caso unico in letteratura, benché impiantata in modo maggiore si chiude in minore, nel la minore del Saltarello che capovolge il radioso La maggiore d’impianto. Il gesto all’epoca sarà suonato non meno che sconcertante, tanto più che nella Coda del Finale compaiono in minore – come lampi nelle tenebre – frammenti del I tema dell’Allegro con cui la sinfonia si era aperta.