Le date
Gioacchino Rossini (1792 – 1868)
Prélude Inoffensif per pianoforte solo
Franz Joseph Haydn (1732 – 1809)
Concerto in re maggiore per pianoforte e orchestra Hob. XVIII: 11
Vivace
Un poco adagio
Rondò all’ungarese: Allegro assai
Andrea Vitello (1977)
Serenata da Mozart
Wolfgang Amadeus Mozart (1756 – 1791)
Concerto per pianoforte e orchestra n.12 in la maggiore KV 414
Allegro
Andante
Allegretto
Guida all’ascolto a cura di: Sergio Casesi
Gioacchino Rossini
Prelude Inoffensif per Pianoforte solo
“Mi lagnerò tacendo”, queste le prime parole della poesia di Metastasio che Rossini volle musicare in venti versioni differenti proprio negli anni in cui meditava l’abbandono delle scene, un modo di dire a se stesso e al mondo che lo acclamava che una stagione della sua vita era passata e che il ritiro e il conseguente silenzio erano, per il compositore pesarese, l’unica possibilità percorribile.
Anche se è nota la distanza dal credo romantico che in quegli anni straripava in tutta Europa, probabilmente i motivi che portarono Rossini a questa decisione sono rintracciabili nel suo particolare carattere e più strettamente nella sua biografia, in una crisi personale alimentata dalla fatica che l’uomo aveva dovuto scontare a causa del compositore; il ritratto di un uomo pigro, incosciente e geniale che l’agiografia del tempo ci avrebbe voluto tramandare non corrisponde a verità. Rossini componeva trascinato da una vera ossessione per il particolare, costantemente tormentato da dubbi non smetteva di ritoccare la partitura aggiungendo particolari e lavorando di lima, con un’ansia di perfezione che difficilmente avrebbe trovato pace. Inoltre, specie negli anni italiani, le scadenze di consegna delle opere lo obbligarono ad enormi dispendi di energia, costringendolo a lavorare in maniera estenuante per troppo tempo; a farne le spese fu anche il suo matrimonio, il rapporto con la moglie Isabella Colbran che si prosciugò inesorabilmente fino alla separazione del 1830.
Dal 1832 al 1855 Rossini non scrisse praticamente più nulla, solo nel maggio di quell’anno, con la nuova compagna Olympe, si trasferì, sempre a Parigi, in rue de la Chaussèe d’Antin, dove il compositore ritrovò uno speciale stato di grazia. La vecchiaia gli portò il gusto per la compagnia e per la vita sociale, tanto da indurlo nell’organizzazione dei sabati musicali, appuntamento che presto diventerà immancabile per tutti i frequentatori dei salotti parigini. Rossini riprese a scrivere ma solo piccoli brani destinati alle esecuzioni private, perlopiù composizioni per pianoforte, opere lontane dal suo teatro anche se pervase dallo stesso acume e dalla stessa finezza intellettuale, che verranno raccolte poi in quattordici volumi intitolati “Peccati di vecchiaia”. Sono pagine di scherzi sagaci e di ritrovata capacità lirica, piccoli capolavori dalle intenzioni antiromantiche e dallo stile sorvegliato che spesso si vena di uno humor che sembra preludere ai movimenti modernisti che proprio a Parigi, molti anni dopo, vedranno la luce. Lo sguardo di Rossini in queste composizioni è così disincantanto, acuto, ironico fino a sfiorare l’amarezza, che un possibile parallelo è quello con le ultime poesie di Eugenio Montale, con quei versi saggi di vecchiaia e di dolce cinismo che compongono i diari e gli ultimi quaderni. Ben si legano al Preludio Inoffensivo i versi montaliani di “La Mia Musa”: La mia Musa è lontana: si direbbe / ( è il pensiero dei più ) che mai sia esistita. / Se pure una ne fu, indossa i panni dello spaventacchio / alzato a malapena su una scacchiera di viti… …La mia Musa ha lasciato da tempo un ripostiglio / di sartoria teatrale; ed era d’alto bordo / chi di lei si vestiva. Un giorno fu riempita / di me e ne andò fiera. Ora ha ancora una manica / e con quella dirige un suo quartetto / di cannucce. È la sola musica che sopporto.
F.J. Haydn – Concerto in re n. 11 per Pianoforte e Orchestra
Scritto da Haydn probabilmente nel 1784, il Concerto n. 11 in re maggiore, anche se ormai lontano dalla produzione giovanile dedicata al clavicembalo e al fortepiano, si può considerare un felice esempio di primo classicismo dove la purezza e la semplicità sono forse ancora oggetto di ricerca e non invece una esemplare conquista, semplicità che in questo Concerto si traduce in una scrittura estremamente trasparente, in un rapporto cristallino tra il solista e l’orchestra, in una limpido argomentare che se non tocca nulla di inquieto nel primo tempo, saprà carezzare il mistero e i riverberi cauti della malinconia nel secondo per concludere poi gioiosamente nel finale.
Tutto appare di vetro, di cristallo ben lucidato, anche il buon umore che il tema del primo movimento sparge, nonché lo sviluppo che ne segue, fatto di fragili episodi distinti che più che per una originaria forza di invenzione affascinano per la maestria con cui sono accostati l’un l’altro. La leggerezza e la soavità di questa scrittura, tanto godibile quanto fatale, rivela quanto ad Haydn, padre della sinfonia e del quartetto, non fosse congeniale la forma del concerto solista e questo anche in presenza di risultati magnifici come i concerti per violoncello o il concerto per tromba.
Se le sinfonie e i quartetti ci appaiono ineguagliabili e destinati a rappresentare il suo ingegno ed un’intera epoca, la produzione solistica di Haydn sembra illustrare lo svago del compositore, la distrazione di una geniale intelligenza creativa che prova a celebrare l’attimo e l’occasione, giocando in modo più semplice del solito, come se fosse capace, per una volta almeno, di costringersi a pensare di meno. Questo non gli impedisce nel tempo lento del Concerto in re per pianoforte di lanciare uno sguardo, una svista non voluta forse, sulle ombre che ci dominano, sulle ombre che ogni anima si porta dietro come un fardello e che sanno mietere sogni e desideri con la lama della delusione, della tristezza e della nostalgia. Nello stesso anno Haydn scelse una poesia di Gleim dal titolo “La vita è sogno” per comporvi un lied: “Scivoliamo nel mondo e aneliamo con i sensi ebbri e ancora sopiti verso la sua illusione e la sua vanità… Amiamo, i nostri cuori battono e non appena cuore si unisce a cuore, amore e letizia diventano vuota chimera che svanisce fra i sospiri… Cos’è la vita? La vita è sogno”. A spazzare via ogni malinconia sarà l’innocente vento del Rondò all’ungherese che, commovente per la dolcezza popolare delle melodie ingenuamente spontanee di cui si compone, saprà riportare sulle labbra il più autentico dei sorrisi, quello dei semplici di spirito, di chi sa gioire delle piccole cose, le uniche che non tradiscono e non si esauriscono nel corso del tempo.
Andrea Vitello Serenata
La Serenata per archi di Andrea Vitello si potrebbe far rientrare nella definizione di “musica al quadrato”, cioè di musica scritta su altra musica, su un testo rapito al passato che viene modificato dall’interno nelle sue peculiari proprietà e caratteristiche. I materiali che fungono da tessuto connettivo dell’intero brano sono importati dalla Serenata K 239 di Mozart che ne definisce il clima anche dopo le metamorfosi a cui il compositore li destina, applicando alle citazioni dall’originale i ritmi tipici della Salsa Tumbao e Montuno. Questo contrasto straniante rende la composizione come sospesa nel tempo e nello spazio, in un neoclassicismo che rifiuta una precisa definizione, che non cade in una citazione manieristica del passato ma che resta pur sempre nei recinti del suono intero, del suono non indagato.
La partitura ha un’eco corale, le voci degli archi sono umanamente stese una sull’altra in modo tale che la sonorità dell’intera composizione appaia compatta, senza sbavature e senza crepe. Così fino al fugato finale dove la sovrapposizione ritmica è più audace, fugato che conclude lo scherzoso Happening che la Serenata per archi vuole inscenare, battendo la tipica cadenza ritmica della Salsa.
W. A. Mozart Concerto per Panoforte e Orchestra n. 12 K 414
Scritto da Mozart all’età di ventisei anni per una accademia che non portò al compositore i guadagni sperati, il Concerto n. 12 K 414, è il primo di una serie di Concerti viennesi scritti fra il 1782 ed il 1786, composizioni accomunabili sia per il tipo di ispirazione che per la sperata destinazione finale, quel “grande pubblico” che Mozart credette di poter conquistare.
Il Concerto in La maggiore, luminoso per la delicata espressione, per la grazia cameristica con cui si svolge, fu concepito, come scrive lo stesso Mozart, per essere eseguito “ con grande orchestra oppure con quattro soli strumenti: due violini, una viola ed un violoncello.” L’intimità dei temi, la confidenza ed il tepore delle sonorità, fanno di questo Concerto uno dei più raffinati modelli di scrittura solistica, il frasario è sempre dolce e amorevole e l’intera composizione vive di un’eleganza preziosa e rara. Scrive Mozart in una lettera al padre riferendosi all’intera serie dei concerti: “Essi sono un’esatta via di mezzo fra il troppo difficile e il troppo facile; sono molto brillanti, gradevoli all’orecchio e naturali senza cadere nella vacuità. Qua e là dovrebbero soddisfare anche gli intenditori, ma sempre in modo che i non intenditori possano rimanere soddisfatti, per senza saperne il perché. Vendo i biglietti per sei ducati, in contanti.”
L’esposizione orchestrale del primo movimento si appoggia su un tema calmo ed elegante che sembra citare per compostezza e semplicità gli anni di Salisburgo, seguono diversi episodi ognuno con caratteristiche proprie e diverse, che il compositore lega uno all’altro come un lettore di tarocchi, che per dire all’innamorato ciò che si vuol sentir dire, legge un mazzo di carte truccate.
Tra queste spicca per geniale tenerezza la carta dei violini in levare sorretti dai pizzicati scaltri dei violoncelli e contrabbassi. Quando il solista prenderà parte al gioco i temi esposti dall’orchestra verranno fatti crescere, lievitare, fiorire in tutte le loro possibilità. Nella parte centrale del movimento la fantasia di Mozart sembra non avere fine, fra arpeggi dal colore impressionista, scatti alla marcia e delicate e antiche progressioni, si disegna il perfetto cerchio mozartiano, quello di un mondo musicale meraviglioso e puro, permeato dallo spirito di variazione e dall’equilibrio, dove ogni piccolo evento può schiudere mille imprevedibili evoluzioni. Il primo tempo appare così come una stanza di specchi dove regola ed eccezione si confondono, dove dritto e rovescio si contrappongono senza smentirsi, dove le categorie del vero e del falso perdono il loro morso in un sapiente bilico logico che non conosce né cedimenti né fratture.
Sotto voce scrive Mozart sulle parti degli archi nelle prime battute del secondo movimento, una piccola preghiera piena di fede da cantare ad occhi chiusi. Quando la tastiera intonerà la speranza che trama l’intero brano, gli archi si porteranno sullo sfondo per insinuarsi poi solo fra i respiri del canto, silenzi da cui Mozart trarrà il misterioso e commovente episodio centrale, che solo nella ripresa del tema dell’inizio potrà trovare sollievo.
Il terzo tempo Allegretto è un rondò dal tema fanciullesco e scherzoso, giocoso fino all’irriverenza, tanto che dopo la prima declamazione degli archi il pianoforte sembra quasi rifiutare lo scherzo, ripiegando su una variazione più dolcemente timida e melodica. Presto però, fra pentimenti e ripensamenti, fra leggerezze e colpi ad effetto, sarà proprio il solista ad entusiasmarsi per il tema di rondò. Mozart sembra volerci dire che se avesse potuto, se ne avesse avuta l’occasione, se fosse stato per lui avrebbe continuato a giocare con queste note senza male per sempre, senza mai smarrire la straordinaria meraviglia della sua invenzione. Ma il mondo ha le sue regole e di giocare ad un certo punto si deve smettere, dopo piccole cadenze del piano incastonate in brevi e sospesi silenzi, agli archi è concesso di afferrare perentoriamente le briglie e di declamare fragorosamente per l’ultima volta il tema di rondò, strappando l’ultima nota.
Biografie
Alessandro Marangoni
Ha debuttato nel dicembre 2007 con un recital al Teatro alla Scala di Milano, insieme a Daniel Barenboim, in un omaggio a Victor de Sabata nel 40° anniversario della morte.
Nato nel 1979, Alessandro Marangoni ha iniziato giovanissimo gli studi musicali e si è diplomato in pianoforte col massimo dei voti e la lode con Marco Vincenzi presso il Conservatorio di Alessandria.
In seguito si è perfezionato con Maria Tipo e Pietro De Maria alla Scuola di Musica di Fiesole. Contemporaneamente si è laureato in Filosofia presso l’Università di Pavia (con una tesi sulla filosofia della musica di Fernando Liuzzi), alunno di merito dell’Almo Collegio Borromeo.
Premiato in diversi concorsi nazionali e internazionali, tiene regolarmente concerti come solista nei principali centri italiani ed europei, svolgendo anche un’intensa attività cameristica con musicisti quali Mario Ancillotti, Vittorio Ceccanti, Fanny Clamagirand, Daria Masiero, Ermanno Molinaro, Stefano Parrino, Carlo Zardo, il Quartetto di Fiesole e il Nuovo Quartetto Italiano.
Di recente ha suonato all’Accademia di Santa Cecilia a Roma (Parco della Musica), per l’Accademia della Crusca di Firenze, l’Orchestra Filarmonica di Torino, il Teatro Verdi di Trieste, l’Associazione Musicale Lucchese, la Fondazione Walton di Ischia, l’Engadiner Internationale Kammermusik-Festspiele, il Festival “Suoni e Colori della Toscana”, la Sagra Musicale Umbra, l’Estate Musicale a Portogruaro, il Centro Studi Musicali “F. Busoni” di Empoli, il Teatro Giordano di Foggia, il Teatro Gentile di Fabriano, il Teatro Coccia di Novara, il Teatro Dal Verme di Milano, l’Aula Magna dell’Università “La Sapienza” di Roma, il St. John’s College di Cambridge, l’Istituto Italiano di Cultura a Londra, con notevole successo di pubblico e di critica. Ha inoltre eseguito alcuni concerti di Mozart in tournée con la Amadeus Kammerorchester del Mozarteum di Salisburgo. Recentemente ha eseguito i Liebeslieder walzer di Brahms al Teatro dal Verme di Milano, con Quirino Principe voce recitante e ha debuttato con successo in Spagna con l’Orchestra Filarmonica di Malaga e a Bratislava con l’Orchestra Filarmonica Slovacca, sotto la grande bacchetta di Aldo Ceccato. Ha inoltre istaurato un sodalizio artistico con l’attrice Valentina Cortese.
E’ il pianista del Trio Albatros Ensemble, formazione particolarmente attenta alla musica contemporanea, alla quale hanno dedicato delle partiture compositori quali Bettinelli, Chailly, Gaslini, Festa, Mosca, Scogna. Con questa formazione registra per Stradivarius. Di recente ha tenuto una masterclass al Conservatorio di Palermo. E’ inoltre impegnato nella registrazione integrale dei Peccati di vecchiaia di Rossini per la Naxos e prossimamente inciderà l’integrale del Gradus ad parnassum di Clementi.
Recentemente Alessandro Marangoni ha riscoperto la produzione pianistica di Victor de Sabata, che ha registrato per La Bottega Discantica. Nel 2007 ha vinto il prestigioso Premio Internazionale “Amici di Milano” per la Musica.
Andrea Vitello
Nato nel 1977, inizia lo studio della musica a 17 anni da autodidatta interessandosi al pianoforte e al canto corale. Da autodidatta consegue titoli accademici in pianoforte e musica corale presso i conservatori di Firenze e Ferrara. Nel 2008 ottiene brillantemente la laurea specialistica in composizione corale e direzione di coro presso il conservatorio di Bologna seguendo tra gli altri i corsi di musica antica di Giorgio Pacchioni.
Dal 2002 svolge professionalmente attività di pianista accompagnatore. Come cantore partecipa a produzioni per i teatri Metastasio e Politeama di Prato, Teatro Romano di Fiesole, Teatro Comunale di Bologna, Teatro dei Rozzi di Siena. Come musicologo ha curato pubblicazioni di musica antica per i tipi di Andrea Bornstein (fondatore della casa editrice Ut Orpheus).
E’ attualmente maestro collaboratore del Coro Guido Monaco e direttore del Coro Artes e dell’omonimo ensemble strumentale. Come compositore ha ottenuto premi e riconoscimenti in concorsi nazionali ed internazionali tra cui “Mozart oggi” (2006) per cui ha scritto la Serenata da Mozart, “Corale universitaria di Torino” (2006), “Euritmia” (2007), “Bulgarian Choir Union” (2009). Sue composizioni sono pubblicate dalle case editrici Wickymusic di Milano, Sconfinarte di Brescia, Artes di Prato.
Ensemble I Pomeriggi Musicali
Nell’immediato secondo dopoguerra in una Milano tutta presa dal fervore della ricostruzione nacquero i Pomeriggi Musicali. La loro nascita fu il frutto dell’incontro tra due uomini d’eccezione: l’impresario teatrale Remigio Paone e il critico musicale Ferdinando Ballo. Il primo pensava ad una orchestra da camera con cui eseguire il repertorio classico, il secondo ad una formazione in grande stile che sviluppasse un repertorio di musica contemporanea e d’avanguardia. I due progetti trovarono un punto di incontro nell’Orchestra I Pomeriggi Musicali che fin dal primo concerto, il 27 novembre 1945, accostando Mozart e Stravinskij, Beethoven e Prokofjev inaugurò una formula coraggiosa che la portò al successo.
Il carnet dei Pomeriggi Musicali vanta numerose celebrità: Claudio Abbado, Salvatore Accardo, Arturo Benedetti Michelangeli, Umberto Benedetti Michelangeli, Antonio Ballista e Bruno Canino, Riccardo Chailly, Dino Ciani, Daniele Gatti, Gianandrea Gavazzeni, Gianluigi Gelmetti, Carlo Maria Giulini, Bruno Giuranna, Vittorio Gui, Franco Gulli, Eliahu Inbal, Lorin Maazel, Peter Maag, Bruno Maderna, Nikita Magaloff, Igor Markevitch, Nathan Milstein, Riccardo Muti, Igor Oistrach, Gabor Ötvös, Marcello Panni, Krzysztof Penderecki, Maurizio Pollini, Donato Renzetti, Mario Rossi, Hermann Scherchen, Thomas Schippers, Nino Sanzogno, Christian Thielemann, Uto Ughi, Carlo Zecchi.
Raccogliendo lo spirito di questa vivace realtà, i musicisti che la compongono hanno voluto creare un Ensemble che permetta di continuare l’approfondimento del repertorio che è loro più consono anche al di fuori della Stagione ufficiale del Teatro Dal Verme.
L’Ensemble d’archi de “I Pomeriggi Musicali” si presenta come una formazione variabile dal quartetto all’orchestra da camera e di grande duttilità nell’affrontare un repertorio che spazia dal Barocco al Novecento.
Il Cast
Direttore e Pianoforte: Alessandro Marangoni
Ensemble: I Pomeriggi Musicali