Cent’anni di suono francese
Debussy, Prélude à l’Après-midi d’un faune
Saint-Saens, Sinfonia n. 2
Poulenc, Sinfonietta
Direttore: Pietari Inkinen
Orchestra I Pomeriggi Musicali
Biglietteria
Note di sala
Claude Debussy (1862-1918)
Prélude à l’Après-midi d’un faune
(versione per orchestra da camera, arr. Paolo Fradiani)
Camille Saint-Saëns (1835-1921)
Sinfonia n. 2 in la minore op.55
Allegro marcato
Adagio
Scherzo: Presto
Prestissimo
Francis Poulenc (1899-1963)
Sinfonietta
Allegro con fuoco
Molto vivace
Andante cantabile
Finale: Prestissimo et très gai
Cent’anni di suono francese
Tre pagine, poco più di un’ora di musica, sono sufficienti a dar conto d’un secolo intero: cento anni di svolte, inversioni, conversioni sperimentate dalla musica francese in un gioco mirabile di tradizione e innovazione, influenze esterne e propulsione propria. Si comincia dal cuore di questo percorso, con un lavoro inaugurale per eccellenza: il Prélude à l’après-midi d’un faune di Debussy, uno dei portali d’accesso alla modernità in musica attorno al 1890, dieci minuti tra i più rivoluzionari della storia della musica, proposti nella versione per orchestra da camera di Paolo Fradiani (2014). Coronamento della fase simbolista del compositore trentenne, tra le più cospicue manifestazioni del simbolismo in musica, il breve poema sinfonico (1891-94), prima pagina d’un trittico incompiuto forse destinato alle scene, si rifà a un’egloga pubblicata nel 1876 con illustrazioni di Édouard Manet da Stephane Mallarmé, maître à penser di un’intera generazione di artisti. Il poeta simbolista vi immagina l’antica divinità silvana immersa nel torpore meridiano mentre contempla in uno stato onirico il possesso delle ninfe che nella realtà gli sono sfuggite. Debussy raccoglie la sfida di rappresentare attraverso il medium etereo del suono l’illusorio inveramento del desiderio nel sogno, con esiti che convinsero subito il pubblico coevo e lo stesso poeta, il quale dichiarò ammirato che il compositore si era spinto «più lontano, davvero, nella nostalgia e nella luce». Questa trasfigurazione, questo sconfinamento «nella nostalgia e nella luce» – sorta di dilatazione del sentimento dello spazio corrispondente al mito liminare per cui nella canicola «i contorni della realtà si sfilacciano sino a consentire l’ingresso in un’esperienza più vasta e indefinita», sul «fragile confine tra la realtà dei sensi e quella, non meno reale ma più indistinta, dei sogni» (Giulio Guidorizzi) – si deve all’ardita operazione di annullamento di ogni parametro formale: quadratura ritmica, logica tonale, costruzione periodica, macrostruttura. Perseguendo una personale concezione ritmica, armonica e timbrica, Debussy attribuisce all’orchestrazione un’inedita funzione strutturale, per cui la forma nasce dall’alternarsi «di colori e di tempi ritmati». Poesia di colori, che prevalgono sul disegno come nella coeva pittura impressionista. Quando, esattamente negli stessi anni, rappresentava la Cattedrale di Rouen a seconda del mutare dell’ora del giorno e delle condizioni climatiche, Claude Monet adottava in fondo lo stesso procedimento del Prélude, in cui la memorabile, sensuale frase cromatica discendente del flauto esposta in apertura ritorna diversa a seconda delle diverse armonie che la colorano.
Dal dolce naufragio nell’indefinito mare debussiano ritorniamo saldamente a riva con la poco nota Sinfonia n. 2 di Camille Saint-Saëns, scritta insieme ad altre quattro dal compositore appena ventiquattrenne nel 1859, tre anni prima della nascita di Debussy, ancora nella Francia di Napoleone III. La sinfonia è in la minore, tonalità cara a Saint-Saëns, che v’incardinò anche il Concerto n. 1 per violoncello (in programma in questa stagione), ma inconsueta per una sinfonia classico-romantica, con la notevole eccezione della “Scozzese” di Mendelssohn. E proprio a Mendelssohn, scomparso allora da appena un decennio, e in più in generale al sinfonismo di matrice germanica (non a caso la sinfonia debuttò a Lipsia), guarda il giovane francese in questo lavoro severo che preannuncia quella fedeltà all’ideale parnassiano d’un classicismo indefettibile che accompagnerà Saint-Saëns lungo un’esistenza lunghissima che lo vedrà contemporaneo di Chopin e di Cocteau: un ideale che il collega Dukas compendierà nella «predisposizione a trattare con naturalezza ogni possibile forma d’arte musicale», realizzando «composizioni che s’impongono per la sorprendente flessibilità d’organizzazione del loro autore, nonché per lo stile sobrio e saldo e per la forma sempre castigata e piena di sorprese». Questa sinfonia giovanile, dalla costruzione solida e originale, è un esempio perfetto di tali qualità. Il I tempo, animato da uno slancio risoluto che pare discendere direttamente da Schumann, essendo le sinfonie di Brahms ancora di là da venire, coniuga scrittura contrappuntistica ed economia tematica (l’elementare motivo per terze discendenti con cui si apre l’Allegro marcato introduttivo è sfruttato come soggetto fugato dell’Allegro appassionato). L’Adagio in Mi maggiore, aperto dagli archi con i sordini su un tema esitante, si cimenta in un delicato, retrospettivo lirismo trattenuto del miglior Saint-Saëns. Il feroce Scherzo lascia il passo a un elegante Trio in La maggiore caratterizzato dall’accorto, efficace impiego delle famiglie strumentali, che evita, con mossa del tutto sperimentale, la ripresa dello Scherzo. Il vasto Finale si congeda dagli ascoltatori in preda alla festosa frenesia d’una tarantella mendelssohniana.
Dai modelli romantici di Saint-Saëns, col lavoro più recente in programma, composto quasi un secolo più tardi (1947-48), approdiamo paradossalmente a riferimenti estetici ancora più antichi. Nonostante l’appartenenza alla stagione della neoavanguardia d’un Pierre Boulez, la Sinfonietta di Francis Poulenc esprime la visione estetica mai abiurata di una personalità di spicco del Novecento musicale che aveva pubblicato il suo primo lavoro nel 1917, quando apparteneva al gruppo di giovani talenti chiamato Les six; visione estetica che coniuga moderna estetica del music hall e schietto neoclassicismo ispirato a nitore, eleganza, ironia, economia di mezzi, velocità. Qualità mozartiane che caratterizzano pienamente l’unico lavoro del suo autore per orchestra sola (salvo le suite da balletti come Les biches, 1923, irriverente ibridazione tra ragtime e Settecento). Commissione della BBC, dedicata al compagno dei Six Georges Auric, la Sinfonietta, nei quattro tempi canonici nonostante l’understatement del titolo, compensa il virtuosismo richiesto alla compagine sinfonica con una cornucopia di energia, colori, fascino melodico, umorismo: ésprit cartesiano la cui sublime leggerezza è ben compendiata dalla suprema eleganza del finale, Très vite et très gai. Altrettanto inequivocabilmente l’indicazione agogica dell’Allegro con fuoco d’apertura, soprattutto non più lento di 160-168 al quarto, aveva stabilito il tono d’una corsa che prende la strada dell’indiavolata tarantella dello Scherzo in seconda posizione e le movenze coreografiche dell’apollineo Andante cantabile, per chiudere con la verve mozzafiato d’un finale in cui parrebbe di scorgere Haydn trascorrere una spensierata serata al varietà.
Raffaele Mellace
Pietari Inkinen (direttore)
Nel settembre 2017 Pietari Inkinen è stato nominato Chief Conductor della Deutsche Radio Philharmonie di Saarbrücken. Nella stagione 2016/17 è stato nominato Chief Conductor della Filarmonica Giapponese, di cui era già Direttore Ospite principale dal 2009. Dal 2015 detiene inoltre la carica di Chief Conductor della Sinfonica di Praga e dello Schlossfestspiele di Ludwigsburg. Eventi recenti e futuri prevedono debutti con la Sinfonica di Pittsburgh, l’Orchestra del Concertgebouw, la NDR Hamburg, la SWR Stuttgart e la Budapest Festival Orchestra. Nella stagione 2017/18 è anche proseguito il suo progetto del ciclo completo dell’Anello dei Nibelunghi insieme alla Filarmonica Giapponese, oltre a ritorni alla BBC Philharmonic ed alla Finnish Radio Symphony. In occasione dei festeggiamenti per il centesimo anniversario dell’Indipendenza della Finlandia, Pietari Inkinen ha diretto le prime esecuzioni mondiali di brani di compositori finlandesi quali Einojuhani Rautavaara e Olli Vertaperko. Nelle passate stagioni, Pietari Inkinen ha collaborato con la RSB e la Staatskapelle di Berlino, la Filarmonica di Monaco, l’Orchestra Filarmonica della Scala di Milano, l’Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, l’Orchestre Philharmonique de Radio France, la Los Angeles Philharmonic, la Filarmonica di Rotterdam, la Filarmonica Israeliana, l’Orchestra Sinfonica della Radio Bavarese, l’Orchestra Sinfonica della Radio di Vienna, la BBC Symphony, la City of Birmingham Symphony, l’Orchestra Nazionale di Spagna, l’Orchestra Sinfonica della Radio Finlandese, l’Orchestra Sinfonica della Radio Svedese, l’Orchestra Verdi di Milano e la Filarmonica di Oslo ma anche la Staatskapelle di Dresda e l’Orchestra della Gewandhaus di Lipsia. Nell’autunno 2018 Pietari Inkinen torna a Melbourne per dirigere Die Meistersinger, in seguito alle acclamate esibizioni nel 2016 de L’Anello dei Nibelunghi di Wagner, con la regia di Neil Armfield. Grazie a questa produzione Pietari Inkinen aveva ricevuto un Helpmann Award nella categoria Best Music Direction for Opera e anche un Green Room Award come miglior direttore d’orchestra (opera). Pietari Inkinen ha diretto Le Valchirie e L’Oro del Reno di Wagner al Teatro Massimo di Palermo e, per la seconda produzione, è stato insignito del premio Franco Abbiati (categoria “miglior spettacolo”) dell’Associazione Nazionale dei Critici Musicali. Ha inoltre diretto una nuova produzione di grande successo di Eugene Onegin alla Dresden Semperoper. Altri impegni in campo operistico prevedono collaborazioni con l’Opera Nazionale Finlandese, La Monnaie di Bruxelles, la Staatsoper di Berlino e la Bayerische Staatsoper di Monaco. Dal 2008 al 2016 Pietari Inkinen è stato direttore musicale della New Zealand Symphony Orchestra dove ora detiene il titolo di Direttore Onorario. Durante il suo mandato, l’orchestra è salita a nuovi livelli, anche grazie a un tour europeo molto acclamato ed alla registrazione di un ciclo completo delle Sinfonie di Sibelius per Naxos. Questa e altre registrazioni (sempre per Naxos), tra cui la Trilogia di Manhattan di Rautavaara e un altro ciclo Sibelius dal vivo, registrato con la Filarmonica Giapponese alla Suntory Hall, hanno ricevuto grande successo di critica e pubblico. Pietari Inkinen è anche un violinista di successo ed ha studiato presso l’Accademia musicale di Colonia con Zakhar Bron, vincendo vari premi e riconoscimenti per il suo lavoro da solista, prima di proseguire gli studi di direzione d’orchestra alla Sibelius Academy di Helsinki. Continua a godere della regia e della musica da camera con i suoi partner musicali regolari.