Natura e sentimento
Beethoven, Concerto n. 1 per pianoforte e orchestra in do maggiore op. 15
Beethoven, Sinfonia n. 6 in fa maggiore op. 68 “Pastorale”
Direttore: George Pehlivanian
Pianoforte: Herbert Schuch
Orchestra I Pomeriggi Musicali
Biglietteria
Concerto in streaming gratuito
Note di sala
Ludwig van Beethoven (1770-1827)
Concerto per pianoforte e orchestra n. 1 in do magg. op. 15
I: Allegro con brio
II: Largo
III: Rondò – Allegro scherzando
Sinfonia n. 6 in fa magg. op. 68 “Pastorale”
I: Piacevoli sentimenti che si destano nell’uomo all’arrivo in campagna: Allegro ma non troppo
II: Scena al ruscello: Andante molto mosso
III: Allegra riunione di campagnoli: Allegro
IV: Tuono e tempesta: Allegro
V: Sentimenti di benevolenza e ringraziamento alla Divinità dopo la tempesta: Allegretto
Natura e sentimento
Oggi ci confrontiamo con due espressioni diverse d’un medesimo volto, quello d’un Beethoven sereno, lontano dal tormento e dall’eroica battaglia della volontà cui più comunemente associamo la sua musica. In queste pagine, diversissime, l’ascoltatore è contagiato dal sentimento euforico della bellezza senza che gli si chieda di fare i conti con le asperità dell’esistenza cui la musica in Beethoven è così spesso chiamata a dar voce. Lavori ponderati e pienamente riusciti, queste partiture rappresentano due conquiste, del compositore giovane e di quello maturo, in altrettanti campi.
Pubblicato prima del Concerto in Si bemolle maggiore, e per questo noto come Primo concerto benché successivo nella stesura, il Concerto in Do maggiore ci riporta alla stagione in cui il giovane Beethoven, ancora nel pieno possesso delle facoltà uditive, si esibiva come virtuoso del pianoforte. Scritto per proprio uso, e per questo dato alla stampa solo nel 1801, quando uscì contemporaneamente per i tipi di tre editori in altrettante città, il lavoro conobbe una genesi complessa, coerente con l’impiego personale cui era destinato (sembra tra l’altro che Beethoven non mettesse per iscritto la parte del pianoforte se non nell’imminenza della stampa, facendo affidamento in concerto soltanto su memoria e appunti stenografici). Iniziato nel 1795, era sicuramente terminato nell’ottobre 1798, quando Beethoven lo propose con ogni probabilità a Praga durante una tournée mitteleuropea; il 2 aprile 1800 lo si ascoltò, sempre interprete dell’Autore, a Vienna in una nuova versione, vi risale probabilmente il Finale, consegnata l’anno dopo alla stampa, mentre le cadenze non furono fissate sulla carta prima del 1809. Con questo titolo il giovane virtuoso s’inserisce nel filone, di moda negli anni delle Guerre rivoluzionarie, del concerto militare, denunciato sin dall’apertura dal marziale ritmo puntato (l’Allegro con brio è a tempo di marcia), che l’accomuna all’attacco del Concerto n. 16 in Re maggiore K. 451 di Mozart, che ascolteremo il 18/20 febbraio. La monumentalità della partitura è testimoniata dall’organico imponente e dalle oltre 100 battute dell’introduzione orchestrale. Se annunciano il Beethoven maturo sottigliezza del discorso armonico ed energia del Rondo finale di tradizione haydniana, la grazia che trapela dagli interventi solistici dell’Allegro e dilaga nel lirismo idilliaco del Largo in La bemolle maggiore, cui contribuisce con raffinato gusto timbrico un selezionato gruppo di legni capitanato dal clarinetto, completa una partitura che tramanda la memoria del brillante improvvisatore e rappresenta degnamente gli esiti raggiunti dalla prima stagione beethoveniana, chiusa proprio col 1801.
Con la Sesta sinfonia incontriamo il Beethoven della maturità. Composta nel 1808 a metà strada tra due sorelle difficilmente più diverse (la Quinta venne scritta in simultanea e presentata nel medesimo concerto, al Teatro An der Wien), la “Pastorale” mette a tema il sentimento della Natura: tema carissimo a Beethoven, che sin dal 1800 trascorreva regolarmente i mesi estivi nella campagna attorno a Vienna, poiché «nessuno può amare la campagna quanto io l’amo: infatti boschi, alberi e rocce producono davvero quell’eco che l’uomo desidera udire». Nel 1817 rivelerà a una corrispondente che «se le capitasse […] di vagare per gli appartati boschi di abeti [presso la cittadina termale di Baden], pensi che lì Beethoven ha spesso poetato, o come si usa dire, composto». La natura è per il compositore necessità del cuore, dialogo con un interlocutore in grado di rivelare l’io a se stesso, esperienza religiosa, utopia della serenità tanto agognata. Alla tradizione del descrittivismo pittoresco della musica a programma settecentesca, culminante nel sublime degli oratori di Haydn, Beethoven si collega, al punto da prendere plausibilmente spunto da un precedente recente, la sinfonia Le portrait musicale de la nature di Justin Heinrich Knecht, pubblicata nel 1784/85 dallo stesso editore, Boßler di Speyer, delle prime sonate beethoveniane e articolata in una serie di movimenti del tutto analoga a quella della “Pastorale”. E tuttavia tale tradizione è superata d’un balzo, con piena libertà espressiva, poiché la Natura viene ora proposta nella prospettiva del soggetto che l’assume nella propria vita interiore: «più espressione del sentimento che pittura», è l’avvertenza inequivocabile riportata in partitura. La memoria interiorizzata della vita nella Natura è condensata nel «risveglio di gioiose sensazioni» suggerito sin dalla prima frase dei violini, sull’accompagnamento da musette pastorale degli archi gravi, dall’Allegro ma non troppo d’apertura, il primo degli eccezionalmente cinque tempi, tutti altrettanto eccezionalmente corredati di titoli esplicativi. A tale luminosa, distesa felicità inventiva, brulicante di vita, idealizzazione del respiro stesso della Natura – musica tanto «sciolta e libera da tensioni» quanto la Quinta era stata «concentrata e condensata», ha scritto Walter Riezler; «musica che sembra più ascoltare che affermare», Giorgio Pestelli – offrono una sorta di aureola timbrica i legni, in evidenza in tutta la studiatissima partitura. Si presti attenzione anche solo alla coda dell’Andante molto mosso, in cui flauto, oboe e clarinetto propongono l’incanto d’un dialogo idealizzato tra usignolo, quaglia e cucù, voci della natura trasfigurate nella vita dello spirito. Con un’ulteriore trasfigurazione la sinfonia si conclude, quella del canto dei pastori che esprime, con la voce senza parole della musica assoluta, i sentimenti di gioia e gratitudine suscitati nell’animo dalla quiete dopo la tempesta (il temporale, ammirato da Berlioz, è l’unica pagina in modo minore della partitura), quando, scriverà vent’anni più tardi Giacomo Leopardi, pur senza condividere l’estatica contemplazione della Natura, «ogni cor si rallegra».
Raffaele Mellace
George Pehlivanian
direttore
Americano d’adozione, George Pehlivanian ha studiato direzione d’orchestra a Los Angeles con Boulez, Maazel e Leitner. Primo artista americano a conseguire il Primo premio al Concorso Internazionale per Direttori d’orchestra di Besançon, si è imposto
da quel momento come uno dei direttori più coinvolgenti della propria generazione. Ha debuttato alla Long Beach Opera di Los Angeles e in seguito ha diretto Traviata all’Opera
del Kirov di San Pietroburgo. Ha ricoperto il ruolo di Direttore Artistico e Musicale dell’Orchestra Filarmonica Slovena e il ruolo di Primo Direttore Ospite in molte prestigiose istituzioni. Ha diretto molte delle orchestre più importanti del mondo, e notevoli sono le collaborazioni anche in ambito italiano. Ha inoltre preso parte a prestigiosi festival internazionali. Annovera collaborazioni con molti solisti di grande prestigio, tra cui: Vengerov, Maisky, Repin, Ax, Raimondi, Freni, Furlanetto. Numerose le sue incisioni discografiche per BMG, EMI/Virgin Classics, Chandos e Studio SM.
Herbert Schuch
pianoforte
Il pianista Herbert Schuch si è guadagnato la reputazione di essere uno dei musicisti più interessanti della sua generazione, grazie ai suoi straordinari programmi di concerti e registrazioni. Ha collaborato con numerose rinomate orchestre, tra cui la London Philharmonic Orchestra, la City of Birmingham Symphony Orchestra, la NHK Symphony Orchestra, l’Orchestra Mariinsky diretta da Valery Gergiev, l’Orchestra Sinfonica Nazionale RAI di Torino, l’Orchestra della Svizzera Italiana, la Filarmonica di Monaco, la Deutsches Symphonie-Orchester Berlin, la Bamberg Symphony e molte altre. Appare regolarmente come ospite in importanti sale tra cui il Kennedy Center di Washington, l’Elbphilharmonie di Amburgo, la Philharmonie di Colonia, il Festival di Salisburgo, il Festival Pianistico della Ruhr, il Rheingau Music Festival, il Kissinger Sommer. Ha proficuamente collaborato con direttori del calibro di Pierre Boulez, Andrey Boreyko, Gustavo Gimeno, Mirga Grazinyte-Tyla, Jakub Hrusa, Kent Nagano, Yannick Nézet-Séguin e Jukka-Pekka Saraste. Nel 2004, la vittoria di tre importanti Concorsi tutti nello stesso anno ha suscitato scalpore internazionale: il Concorso Casagrande, il Concorso Pianistico Internazionale di Londra e il Concorso Internazionale Beethoven di Vienna. Herbert Schuch condivide la sua passione per la musica da camera con partner del calibro di Nicolas Altstaedt, Julia Fischer, Maximilian Hornung, Sebastian Manz e Daniel Müller-Schott. Ha inoltre fondato un duo pianistico di successo insieme a Gülru Ensari. Oltre alle sue attività concertistiche, Herbert Schuch è impegnato nell’organizzazione “Rhapsody in School”, che promuove l’educazione alla musica classica nelle scuole.