Classici russi
Stravinskij, Danses Concertantes
Prokof’ev, Sinfonia n. 1 in re maggiore op. 25 “Classica “
Stravinskij, Pulcinella, suite da concerto
Direttore: Carlo Rizzi
Orchestra I Pomeriggi Musicali
Biglietteria
Note di sala
Igor Stravinskij (1882-1971)
Danses concertantes
I: Marche – Introduction
II: Pas d’action
III: Thème varié
IV: Pas de deux
V: Marche – Conclusion
Sergej Prokof’ev (1891-1953)
Sinfonia n.1 in re maggiore, op. 25, “Classica”
I: Allegro
II: Intermezzo
III: Gavotte: Non troppo allegro
IV: Finale: Molto vivace
Igor Stravinskij
Pulcinella, suite da concerto
I: Sinfonia
II: Serenata
III: Scherzino – Allegretto – Andantino
IV: Tarantella
V: Toccata
VI: Gavotta (con due variazioni)
VII: Vivo
VIII: Minuetto – Finale
Classici russi
Il titolo di queste note andrà letto in due sensi. Da un lato Stravinskij e Prokof’ev sono senz’altro classici: con Šostakovic probabilmente i talenti più straordinari nati in Russia e tra i massimi geni del Novecento. Dall’altro si allude a una peculiarità del programma di questo concerto. Con la musica proposta, in termini programmatici nei lavori più noti, sia Stravinskij che Prokof’ev sposano una tendenza fondativa del Novecento musicale che vede la luce all’indomani della Grande guerra: l’estetica neoclassica, ispirata al rifiuto delle istanze romantiche, impressioniste ed espressioniste, che vedrà allineati con sfumature diverse Ravel, i Six, Falla, Respighi; estetica che esalta il significato del dato formale rifacendosi alla civiltà musicali precedenti il romanticismo, di cui mutua forme, generi e sonorità calandoli in un contesto armonico, ritmico e timbrico modernissimo, ottenendo un cortocircuito espressivo provocatorio e squisitamente novecentesco. Incontriamo uno Stravinskij perfettamente a suo agio in questa veste stilistica di cui era stato, proprio a partire dal Pulcinella, tra gli iniziatori e principali alfieri in un lavoro poco frequentato, conferma del magistero compositivo dell’Autore e dell’efficacia comunicativa di quella formula estetica. Le Danses concertantes vennero ultimate il 13 gennaio 1942 in California, dove Stravinskij aveva riparato durante il conflitto mondiale, commissione di Werner Janssen, direttore di un ensemble d’avanguardia che le presentò, sotto la direzione dell’Autore, l’8 febbraio 1942 a Los Angeles. Sono concepite come la musica per un balletto immaginario (nel 1944 Balanchine vi realizzò effettivamente una coreografia, proposta a New York), incorniciata da una marcia vigorosa che introduce e, abbreviata, chiude la sequenza centrale: un Pas d’action, un Thème dal lirismo stralunato corredato da quattro variazioni, e un Pas de deux. Caratterizzano la partitura molta arguzia (in fondo non si può considerare Stravinskij, con Haydn, il più grande umorista della nostra civiltà musicale?) e un puntuto vigore ritmico che non smentisce l’Autore di Petruška.
Nel 1918 il giovane Sergej Prokof’ev lascia la Russia in fiamme portando con sé a New York la partitura della Sinfonia “classica” in Re maggiore, scritta nei due anni precedenti e presentata a S. Pietroburgo, allora Pietrogrado, il 21 aprile 1918. Sorprendentemente la composizione, saldamente e assai precocemente ispirata all’orientamento estetico ora accennato, nulla tradisce dei drammatici eventi rivoluzionari. Si configura piuttosto come una sinfonia di Haydn al quadrato: si badi, non una parodia, cioè un falso, bensì la restituzione del sereno orizzonte espressivo haydniano rivissuto dal venticinquenne russo con un candore che produce il miracolo d’una perfetta immedesimazione negli ideali estetici del classicismo viennese. Idee tradotte nella nettezza adamantina di oggetti musicali dal carattere pregnanti. Ed ecco allora che la musica crepita sotto la pelle nel frizzante Allegro d’apertura, naturalmente in forma sonata, non si scompone nel passo elegante e misurato d’un Larghetto in cui convivono misura olimpica e umorismo discreto, imbocca la strada d’una danza dal profilo inconfondibile nella sapida Gavotta (prima delle quattro pagine a veder la luce nel 1916), preferita al regolamentare minuetto e reimpiegata vent’anni dopo nel balletto Romeo e Giulietta, si congeda infine dagli ascoltatori con la frenesia inarrestabile del bel Finale¸ Molto vivace
Il manifesto dell’estetica neoclassica va però individuato nel balletto Pulcinella, il cui debutto, il 15 maggio 1920 all’Opéra di Parigi – scenografo Picasso, primo ballerino e coreografo Massine – inaugurò la stagione centrale di Stravinskij. «Pulcinella fu la mia scoperta del passato, l’epifania tramite la quale divenne possibile tutto il mio lavoro successivo. Fu uno sguardo all’indietro, naturalmente, il primo dei miei amori in quella direzione; ma fu anche uno sguardo allo specchio». Composto in Svizzera, a Morges, rispondeva alla commissione del patron dei Ballets russes Djagilev d’un accompagnamento pseudosettecentesco a un soggetto, dalla commedia dell’arte, in cui la maschera Pulcinella è al centro d’una vicenda di gelosia e travestimenti. Iniziata a fine 1919, compiuta il 20 aprile 1920, la partitura si avvale di 21 composizioni “pergolesiane”, oggi ricondotte a un più ampio gruppo di autori, tanto che nella suite orchestrale predisposta nel 1924 e rivista nel 1949 si riducono ad appena tre (II, VII e VIII) le pagine pergolesiane, con la fetta più consistente spettante al veneziano Domenico Gallo. La versione da concerto ripropone della suite barocca la festosa pagina introduttiva, la regolata alternanza tra tempi rapidi e distensione lirica, movimenti di danza e più generiche pagine di carattere motorio, in studiato chiaroscuro che fa sfilare una serie di maschere bizzarre, malinconiche, chiassose o argute. Note trasfigurate, quelle stravinskijane: resistono profili melodici e bassi dei modelli settecenteschi, ma le esili pagine cameristiche sono investite d’una carica parodistica che le snatura e ricrea dall’interno, sottoponendole a una geniale lente deformante. L’ironico duetto trombone-contrabbasso (VII) suona come una cacofonica, sonora smentita delle delizie bucoliche del numero prima (il decorativismo rococò della Gavotta agìta dai legni, quasi uccellini variopinti di ceramica di Capodimonte), trasformando una sonata di Pergolesi in un numero da cabaret alla Kurt Weill. In primo piano è il parametro ritmico, acuminato, spigoloso, “cubista”, vero dominus, con l’inesausta fantasia timbrica, d’un gioco intellettuale sofisticato, in cui il compositore moderno cerca nell’omologo di due secoli prima l’interlocutore d’un dialogo vitale. Infatti, «Solo coloro che sono veramente vivi sanno scoprire la vita presso coloro che sono “morti”».
Carlo Rizzi
direttore
Carlo Rizzi ha una reputazione consolidata come uno dei direttori d’orchestra di riferimento a livello mondiale, a proprio agio sia in teatro che in sala da concerto. Il suo ampio repertorio spazia dai capisaldi operistici e sinfonici alle rarità di Bellini, Cimarosa e Donizetti, Giordano e Pizzetti. Da settembre 2019 Rizzi è Direttore musicale di Opera Rara.
Dal 2015 Rizzi è Direttore laureato della Welsh National Opera, dopo due periodi come Direttore musicale. Oltre a mantenere uno stretto rapporto con il Teatro alla Scala, la Royal Opera House di Londra e la Metropolitan Opera di New York, nel corso della carriera ha diretto nei teatri più blasonati, dall’Opéra National de Paris al Teatro Real de Madrid, dal Rossini Opera Festival alla Lyric Opera di Chicago e Deutsche Oper Berlin.
La vasta discografia di Carlo Rizzi include Faust, Katya Kabanova e Rigoletto e Un ballo in maschera con WNO; un DVD e CD Deutsche Grammophon de La traviata con Anna Netrebko, Rolando Villazón e i Wiener Philharmoniker; dischi di recital con rinomati cantanti d’opera tra i quali Joseph Calleja, Juan Diego Flórez, Edita Gruberova, Olga Borodina e Thomas Hampson, e di recente Joyce El-Khoury e Michael Spyres per Opera Rara.