Europa, volti di una tradizione - I Pomeriggi Musicali - Teatro Dal Verme

Le date

Sala Grande
sabato 02 gennaio 2021
Ore: 17:00

Mendelssohniana

Mendelssohn, Das Märchen von der schönen Melusine, ouverture da concerto in fa magg. op. 32
Saint-Saens, Concerto n. 1 per violoncello e orchestra in la minore op. 33
Mendelssohn, Sinfonia n. 4 in la maggiore op. 90 “Italiana”

Direttore: James Feddeck
Violoncello: Daniel Müller-Schott
Orchestra I Pomeriggi Musicali

Biglietteria

Evento in streaming. Gratuito.

Note di sala

Felix Mendelssohn Bartholdy (1809-1847)
Das Märchen von der schönen Melusine (La fiaba della bella Melusina), ouverture da concerto op.32

Camille Saint – Saëns (1835-1921)
Concerto per Violoncello e Orchestra n.1 in la minore, op.33

Felix Mendelssohn Bartholdy
Sinfonia n.4 in la maggiore, op.90 “Italiana”

I: Allegro vivace
II: Andante con moto
III: Con moto moderato
IV: Saltarello: Presto

Mendelssohniana

Terzo nume tutelare, dopo Mozart e Beethoven, della 76° stagione dei Pomeriggi Musicali, Felix Mendelssohn-Bartholdy ci viene incontro nel primo di tre concerti dedicati alla sua musica in un’istantanea che lo fotografa in un istante preciso del suo percorso creativo. Entrambi i lavori in programma vennero compiuti nel 1833 dal compositore ventiquattrenne, benché Mendelssohn, perennemente insoddisfatto dei propri lavori, continuò a rivedere per anni le partiture (la Quarta sinfonia presenta questo numero di catalogo poiché, benché composta prima della Terza, verrà pubblicata soltanto postuma). La pagina che introduce il programma, ammirata da Schumann, è l’Ouverture La leggenda della bella Melusina, splendida sintesi della capacità del romanticismo mendelssohniano di conferire forma sonora ai personaggi del mito così come ai fenomeni di natura. Soggetto dell’ouverture è la leggenda tardomedievale di Melusina, figlia d’una fata e del re di Scozia, costretta a nascondere all’amato cavaliere Lusignano la condanna ad assumere periodicamente la forma mostruosa d’un essere metà donna metà serpente. Il drammaturgo austriaco Franz Grillparzer ne aveva tratto un libretto, proposto invano a Beethoven ma poi intonato dal minore Conradin Kreutzer come “opera romantica” Melusina, in scena dal 27 febbraio 1833 a Berlino. Assistendo a una recita, Mendelssohn decise a tradurre la vicenda nel genere congeniale dell’ouverture sinfonica. Concepì una pagina in forma sonata che contrappone sapientemente le aree tonali di fa maggiore e minore, a significare rispettivamente il mondo acquatico della sirena e quello terreno delle passioni tumultuose del cavaliere, che fa balenare con tutto l’empito di cui è capace l’orchestra mendelssohniana il clangore delle armi dei cavalieri medievali. L’introduzione esordisce ai clarinetti con il tema cullante, traslucido, acquoreo che vent’anni dopo Wagner adotterà come motivo delle onde nell’Oro del Reno (e ancora nel 1918 Italo Montemezzi nella sua Nave).

L’intero programma è sotto l’egida di Mendelssohn poiché a ben vedere anche il Concerto per violoncello n. 1 di un autore d’una generazione più giovane, Camille Saint-Saëns, è profondamente debitore verso il compositore amburghese. Scelte formali, originalità d’impostazione ed efficacia espressiva del più fortunato lavoro sinfonico del maestro francese, presentato alla Società dei Concerti del Conservatorio di Parigi nel 1873, quarant’anni esatti dopo i titoli mendelssohniani in programma, rimandano infatti a un modello puntuale: il Concerto per violino in mi minore op. 64 di Mendelssohn, che ascolteremo il 4 e 6 marzo. Il lavoro si dimostra un osservatorio formidabile per apprezzare il talento di Saint-Saëns, autore d’un catalogo sterminato di 300 titoli tra cui ben dieci concerti, nell’individuare formule efficaci in grado di soggiogare le platee più vaste. Tale è il gesto violento e rapinoso con cui il solista apre il concerto, che trascorre ininterrottamente dall’appassionato Allegro non troppo all’elegante Allegretto con moto al conclusivo Un peu moins vite. Un’oasi lirica umbratile e suadente come la voce di Dalila nell’opera Samson et Dalila, in scena quattro anni dopo, contrasta efficacemente la frenesia impossessatasi del movimento, prima che questo si chiuda, dopo aver ripreso il tema principale del I tempo, con quello comparso a sorpresa nello Sviluppo del I tempo, sigillando in unità l’intero concerto.

Per Mendelssohn viaggiare, incontrare civiltà e paesaggi lontani rappresentava l’occasione per tradurre in suoni la risonanza di quelle esperienze in un animo colto, sensibile, ricettivo. A Roma Mendelssohn compose buona parte della Sinfonia “Italiana” nel lungo soggiorno del 1830/31, ma sicuramente non il II tempo, per completarla a Berlino nel 1832/33 per onorare una prestigiosa commissione della Philarmonic Society di Londra. La sinfonia rappresenta programmaticamente, specie nei tempi estremi, l’evocazione di quella «più grande gioia di vivere» che per l’amburghese aveva costituito l’esperienza folgorante del nostro Paese, sulle orme del Viaggio italiano di Goethe, amico personale del compositore. Tale solarità – che significa anche apollinea classicità della forma – è tradotta in gesto sonoro nel tema travolgente di ampio respiro con cui la sinfonia attacca senza indugio con reiterati intervalli ascendenti sull’impulso ritmico in 6/8 della danza toscana nota come trescone. Né è un caso che coroni la sinfonia un trascinante Saltarello («il pezzo più divertente che abbia scritto», lo definirà alla sorella), fondato su un efficacissimo meccanismo di crescendo, ispirato alla danza popolare che anche Berlioz avrebbe impiegato nel suo Carnevale romano. Diversa connotazione presentano i tempi intermedi, in cui agisce la nostalgia dell’Europa Settentrionale. In particolare, il severo Andante con moto in re minore presenta un carattere di ballata mutuato da un Lied goethiano, Il re di Tule, di Carl Friedrich Zelter, nordico anche nel soggetto (la mitica Tule andrà identificata con le Isole Shetland, se non con la Norvegia): una pagina dall’andamento processionale con cui Mendelssohn tributa un omaggio al suo maestro berlinese, scomparso nel 1832. Il terzo tempo, Con moto moderato, che l’autore dichiarò ispirato a una poesia umoristica di Goethe, Lilis Park, ospita una fanfara di corni, quasi il sipario che prepara l’ingresso dei personaggi del Sogno di una notte di mezza estate, la cui ouverture risale a pochi anni prima. L’ultima zampata il giovane Mendelssohn la riserva per la conclusione della sinfonia, che, caso unico in letteratura, benché impiantata in modo maggiore si chiude in minore, il la minore del Saltarello che capovolge il radioso La maggiore d’impianto, gesto che all’epoca sarà suonato non meno che sconcertante, tanto più che nella Coda del Finale compaiono in minore – come lampi nelle tenebre – frammenti del I tema dell’Allegro con cui la sinfonia si era aperta.

Raffaele Mellace

James Feddeck
direttore e direttore principale

Il talento musicale del direttore d’orchestra James Feddeck è riconosciuto in tutto il mondo.

Le ultime stagioni hanno visto il suo debutto con la Sinfonica della Radio di Vienna, la Deutsches Symphonie-Orchester di Berlino, la Royal Stockholm Philharmonic, la Filarmonica di Helsinki, la Royal Flemish Philharmonic, l’Orchestre National de Belgique, l’Orchestre National de France, l’Orchestre National de Lyon, la BBC Philharmonic, la BBC Symphony Orchestra, la Royal Scottish National Orchestra, la Hallé Orchestra e la Sinfonica della Nuova Zelanda.

In particolare, è apprezzato per le sue interpretazioni della musica di Anton Bruckner, grazie a una serie di acclamate esibizioni delle Sinfonie del compositore: l’Ottava con la San Francisco Symphony Orchestra, la Quinta in tournée con l’Orchestre National de Belgique, la Sesta con l’Orchestra Sinfonica di Dublino RTÉ e la Nona con la Sinfonica di Birmingham.

In Nord America, James Feddeck ha diretto la Chicago Symphony Orchestra, la Cleveland Orchestra e le Orchestre Sinfoniche di Dallas, Seattle, San Francisco, Toronto e Montréal.

Nato a New York e diplomato al Conservatorio di Oberlin, James Feddeck è vincitore del Solti Conducting Award della ‘Solti Foundation USA’, dell’Aspen Conducting Prize ed è stato riconosciuto dalla sua Università come primo destinatario dell’Outstanding Young Alumni Award per i risultati professionali ottenuti e i contributi artistici alla società.

Nell’agosto 2017 è stato pubblicato il suo primo CD in collaborazione con la Deutsche Symphonie-Orchestre di Berlino e Deutschlandfunk Kultur, con le musiche di una delle più importanti figure neo-romantiche della Germania, Georg Schumann (1866-1952): con questo CD è stata realizzata la prima registrazione in assoluto della storia della sua Sinfonia in fa minore op. 42 (1905).


Daniel Müller-Schott
violoncellista

Daniel Müller-Schott è internazionalmente riconosciuto come uno dei maggiori violoncellisti della sua generazione.  Suona con le migliori orchestre del mondo e con direttori del calibro di Vladimir Ashkenazy, Thomas Dausgaard, Charles Dutoit, Christoph Eschenbach, Iván Fischer, Bernard Haitink, Neeme Järvi, Dmitrij Kitajenko, Andris Nelsons, Gianandrea Noseda, Vasily Petrenko, André Previn ecc.

E’ regolarmente ospite di grandi festivals internazionali e suona musica da camera con Anne-Sophie Mutter ,Renaud Capuçon , Baiba e Lauma Skride , Xavier de Maistre e altri.

Ha studiato con Walter Nothas, Heinrich Schiff e Steven Isserlis. Ha beneficiato del supporto personale di Anne-Sophie Mutter, dalla cui Fondazione ha ottenuto una borsa di studio, che gli ha permesso di studiare per un anno con Mstislav Rostropovich . A 15 anni ha vinto il Concorso Tchaikovsky di Mosca. Nel 2018 per il Giorno della Riunificazione Tedesca e in memoria del suo Maestro Rostropovich, ha suonato musiche di J.S. Bach di fronte a 500,000 spettatori alla Porta di  Brandenburgo di Berlino.

Ha una considerevole discografia e molte sue incisioni sono state premiate internazionalmente.

Suona il violoncello “Ex Shapiro” di Matteo Goffriller ,costruito a Venezia nel 1727.