Europa, volti di una tradizione - I Pomeriggi Musicali - Teatro Dal Verme

Le date

Sala Grande
giovedì 15 aprile 2021
Ore: 20:00
sabato 17 aprile 2021
Ore: 17:00

Raggi di sole nella buia notte dell’anima
Schumann, Concerto per violino e orchestra
Beethoven, Sinfonia n. 5 in do minore op. 67

Direttore: George Pehlivanian
Violino: Marco Rizzi
Orchestra I Pomeriggi Musicali

Note di sala

Robert Schumann (1810-1856)
Concerto per Violino e Orchestra in re minore, WoO 23

I: In kräftigem, nicht zu schnellem Tempo
II: Langsam
III: Lebhaft, doch nicht schnell

Ludwig van Beethoven (1770-1827)
Sinfonia n. 5 in do minore, op. 67

I: Allegro con brio
II: Andante con moto
III: Scherzo: Allegro
IV: Allegro


Raggi di sole nella buia notte dell’anima

Gemello del concerto scorso, anche quello odierno propone l’accoppiata tra una sinfonia della maturità di Beethoven e un concerto per violino romantico. Grazie alla varietà e alla ricchezza di questo repertorio, il paesaggio sarà però tutt’altro. Non più l’idealità eroica della Terza e il virtuosismo trascendentale del Concerto čajkovskijano, bensì la notte fonda dell’anima, per ricorrere all’immaginario coniato dal primo recensore della Quinta sinfonia, il compositore, scrittore e pittore E.T.A. Hoffmann, tra i fondatori dell’estetica musicale romantica. Notte abitata da demoni, attraversata e superata grazie a una lotta strenua verso la luce, secondo l’antica contrapposizione simbolica ripresa già dall’illuminismo: «i raggi del sole disperdono la notte», aveva cantato Sarastro a conclusione del Flauto magico, l’anno prima dell’arrivo di Beethoven a Vienna. I demoni contro cui deve lottare Schumann sono quelli della malattia che, nel settembre 1853 in cui nacque il Concerto in re minore per violino, gli avrebbe concesso non più d’un anno di attività e meno di tre di vita. Questa pagina armoniosa, intima, espressione di un’ansia di comunicare pacata e tenace, è l’ultimo atto di resistenza in cui compositore impiega l’orchestra (saranno poi solo lavori cameristici). Conta tra i grandi fraintendimenti della storia della musica che il leggendario violinista Joseph Joachim, il quale pure aveva ispirato a Schumann il concerto, abbia deciso, insieme alla vedova Clara, di non pubblicare il lavoro tra le opere postume, condannandolo a un oblio da cui è emerso neppure novant’anni fa, nel 1937, quando l’autografo, scovato nella Biblioteca Statale di Berlino e pubblicato da Georg Schünemann, fu eseguito per la prima volta. Ciascuno giudicherà se la sentenza di Joachim, che vide nel concerto il parto infelice d’uno spirito esausto, indegno delle altre opere estreme dell’autore, sia valida dal punto di vista di noi ascoltatori contemporanei. Il gesto perentorio dell’introduzione orchestrale, eccezionalmente in Schumann completa, che stabilisce la tonalità di re minore trasportandoci subito in lande fantastiche e inospitali simili a quelle percorse dalla coeva Walkiria wagneriana, la dolcezza infinita del II tema, l’atteggiamento del violino solista, che sin dall’ingresso propone un eloquio parlante, confidenziale, la dolce intimità del II tempo in maggiore su un tema prossimo alle testamentarie Geistervariationen per pianoforte, l’accorta rinuncia a qualsiasi esagitazione di virtuosismo pirotecnico (si prescrive che i tempi estremi rifuggano dalla velocità: «nicht [zu] schnell[em Tempo]»), la coerenza tematica conferiscono a questa pagina una forza di convinzione che difficilmente potrà non affascinare e commuovere chi vi presti oggi attenzione.

«Per quanto la si ascolti, […] la Quinta sinfonia esercita ogni volta, su tutti e a tutte le età, un fascino impressionante: un po’ come quei fenomeni di natura che, per quanto frequenti, riempiono ogni volta di sorpresa e di sbigottimento»: così Schumann sulla Quinta di Beethoven. Il paragone con un evento naturale violentò – temporale, inondazione – rimanda a quella categoria del sublime cui anche Hoffmann alludeva nella recensione citata, uscita nel 1810, a meno di due anni dal concerto monstre del 22 dicembre 1808 in cui la Quinta era stata presentata, con la Sesta, il Quarto concerto per pianoforte e altre pagine beethoveniane, per oltre quattro ore di musica. La tonalità prediletta di do minore, già adottata nella Grande Sonate Pathétique, nel Terzo concerto per pianoforte e nella Marcia funebre dell’Eroica, compie ora il suo destino assumendo la sua maschera più autentica: la forma eroica. Il drammatico motto, un’epigrafe dantesca, che apre la Quinta – sonorizzazione del «destino che bussa alla porta», secondo quanto riferito ad Anton Schindler da Beethoven, che però poi riferì all’allievo Czerny che era ispirato al richiamo, effettivamente molto somigliante, dello zigolo giallo – attiva un congegno implacabile, organismo dove tout se tient rigorosamente, costruzione in cui ogni dettaglio corrisponde al disegno complessivo, all’insegna d’una eloquenza che inchioda l’ascoltatore con la violenza e la pregnanza di un’invenzione dal fascino ineludibile. L’elaborazione motivica si mostra in grado di sostenere campate sinfoniche imponenti sulla base d’un materiale sonoro minimo, il celebre, minuscolo inciso d’avvio formato da quattro note, le prime tre delle quali identiche. Nella lettura simbolica e agonistica di Hoffmann con questa macchina dalla potenza letteralmente inaudita, Beethoven realizza una rappresentazione insieme e trionfante della lotta contro i demoni dell’esistenza, di cui il compositore aveva sviluppato drammatica consapevolezza, primo fra tutti l’incombente sordità. Si consideri la chiave di volta dell’intera sinfonia: sul finire del III tempo (un Allegro, non il consueto Scherzo, su un tema originariamente mozartiano: Edward M. Forster lo rappresenterà in Casa Howard come una ridda di folletti), già turbato dall’agonismo feroce del fugato agìto dai bassi, accade senza preavviso una sospensione del discorso, metafisico incepparsi d’un meccanismo perfetto, in cui il fondamentale Do ribattuto dei timpani conduce a una vera e propria metamorfosi, innescando un episodio sconcertante (per Hoffmann «voce estranea e spaventosa»), prima in pianissimo poi in crescendo, che conduce senza soluzione di continuità all’apoteosi del Finale, euforico inno di vittoria in Do maggiore dall’orchestrazione rinforzata («accecante raggio di sole che improvvisamente squarcia la profondità della notte», scrisse Hoffmann), che trasfigura con una potenza mai ancora sperimentata nella musica assoluta, l’idealità del trionfo di giustizia, libertà e fraternità, dei valori umanistici più universali che Beethoven canterà nel Fidelio, nell’Egmont e nella Nona sinfonia.

Raffaele Mellace


George Pehlivanian
direttore

Americano d’adozione, George Pehlivanian ha studiato direzione d’orchestra a Los Angeles con Boulez, Maazel e Leitner. Primo artista americano a conseguire il Primo premio al Concorso Internazionale per Direttori d’orchestra di Besançon, si è imposto  da quel momento come uno dei direttori più coinvolgenti della propria generazione. Ha debuttato alla Long Beach Opera di Los Angeles e in seguito ha diretto Traviata all’Opera del Kirov di San Pietroburgo. Ha ricoperto il ruolo di Direttore Artistico e Musicale dell’Orchestra Filarmonica Slovena e il ruolo di Primo Direttore Ospite in molte prestigiose istituzioni. Ha diretto molte delle orchestre più importanti del mondo, e notevoli sono le collaborazioni anche in ambito italiano. Ha inoltre preso parte a prestigiosi festival internazionali. Annovera collaborazioni con molti solisti di grande prestigio, tra cui: Vengerov, Maisky, Repin, Ax, Raimondi, Freni, Furlanetto. Numerose le sue incisioni discografiche per BMG, EMI/Virgin Classics, Chandos e Studio SM.


Marco Rizzi
violino

Premiato nei tre concorsi più prestigiosi per violino (Čaikovskij di Mosca, Queen Elizabeth di Bruxelles e Indianapolis Violin Competition), Marco Rizzi è particolarmente apprezzato per la qualità, la forza e la profondità delle sue interpretazioni. Come uno dei più interessanti violinisti della nuova generazione, nel 1991 gli viene conferito su indicazione di Claudio Abbado l’”Europäischen Musikförderpreis”.

Estremamente apprezzato in Italia, la sua attività artistica è intensa anche all’estero: è regolarmente ospite di sale quali la Scala di Milano, Lincoln Center di New York, Sala Grande del Conservatorio di Mosca, Musikhalle di Amburgo, collaborando con importanti orchestre e direttori  come Riccardo Chailly, Gianandrea Noseda, Vladimir Jurowski.

Affianca all’attività solistica una dimensione cameristica vissuta con passione, in particolare ricordiamo la collaborazione con Andrea Lucchesini, Mario Brunello, Lylia Zylberstein.
Residente in Germania, dopo aver insegnato alla Hochschule für Musik a Detmold è stato chiamato nel 2008 alla Hochschule für Musik a Mannheim. Dal 2007 è professore titolare all’Escuela Superior de Musica Reina Sofia di Madrid.

Suona un violino P. Guarneri del 1743, della Fondazione Pro Canale Onlus.