Classicità
Tutino, Sinfonia – PRIMA ESECUZIONE ASSOLUTA (Commissione I Pomeriggi Musicali)
Brahms, Serenata n. 1 in re maggiore op. 11
Direttore: James Feddeck
Orchestra I Pomeriggi Musicali
Note di sala
Marco Tutino (1954)
Sinfonia – PRIMA ESECUZIONE ASSOLUTA, commissione dei Pomeriggi Musicali
Johannes Brahms (1833-1897)
Serenata n.1 in re maggiore, op.11
I: Allegro molto
II: Scherzo: Allegro non troppo
III: Adagio non troppo
IV: Minuet I – Minuet II
V: Scherzo: Allegro
VI: Rondo: Allegro
Classicità
Sinfonia e serenata: nella loro laconicità, deliberatamente aliena da velleità descrittive, i titoli dei lavori in programma, per quanto multiformi nel significato del loro impiego secolare, promanano un profumo squisitamente settecentesco, rimandano a un secolo caratterizzato da un ideale di armonia che non a caso diede i natali allo stile classico. La classicità rappresenta per entrambi i compositori un modello remoto, una lontananza ormai storicizzata. Eppure per entrambi, in termini diversi e in circostanze diversissime, ha costituito un riferimento in grado di ispirare soluzioni aggiornate a un mondo che si è nel frattempo trasformato. Radicalmente trasformato è il mondo in cui opera Marco Tutino, milanese, classe 1954, autore d’un ricco catalogo operistico che da metà anni Ottanta ha esplorato in varie direzioni le odierne possibilità del teatro musicale. A fronte d’un prevalente interesse per la voce e l’opera, la novità proposta oggi lo vede confrontarsi con l’ideale di musica assoluta a oltre vent’anni e molta distanza estetica ed esistenziale da The Frame and the Cloud per grande orchestra (1997). Se è vero che qualsiasi espressione musicale nasconde una drammaturgia, è un racconto, un discorso interiore dell’artista, allora anche la Sinfonia risulterà intimamente comunicativa. Lo farà ricorrendo a forme classiche (fin dalla partizione nei quattro tempi della sinfonia classico-romantica) come guida e ispirazione per un percorso personale. L’ha già fatto un secolo fa, nella Sinfonia “classica” ascoltata nel concerto del 14/16 gennaio, Sergej Prokof’ev, che insieme a Šostakovic rappresenta, specie nel I e nel II tempo, lo Scherzo, il principale riferimento compositivo: novecentesco, quindi più prossimo e praticabile. La Sinfonia di Tutino, scritta per l’organico contenuto di un’orchestra classica, suona come un atto di deliberato anacronismo: la proposta d’un meccanismo inossidabile, il pensiero sonatistico del classicismo viennese, che costituisce l’anima d’una cultura musicale condivisa dall’autore contemporaneo e dai suoi ascoltatori, benché i rumori del mondo siano oggi ben altri. Se ne apprezzino tre elementi. Da un lato la propensione a un’agogica contemplativa: la tendenza a privilegiare un andamento lento, grave, solenne, dichiarata sin dall’apertura della Sinfonia e ribadita nell’incantatorio III tempo e nella sezione centrale dell’ultimo, nella convinzione che la musica assoluta sia innanzitutto una forma di meditazione, intima e impegnata. In secondo luogo si consideri la complessità, tipicamente sonatistica, della costruzione, per cui nel I tempo una cellula generativa, costituita da salti di settima e di sesta ascendenti, si estende e ramifica a tutta l’orchestra, mentre non sono pochi simmetrie e rimandi tra I, III e IV tempo. Non sfugga infine l’importanza, in tutta la Sinfonia, del parametro ritmico, fondamentale naturalmente nella verve del II tempo, ma essenziale anche nel III e nel IV.
160 anni prima problemi non dissimili si era posto nel 1857 il ventiquattrenne Johannes Brahms con la Serenata n. 1 in re maggiore op. 11, partitura magnifica presentata da Joseph Joachim, il grande violinista sodale di Brahms, in versione cameristica in un concerto privato il 28 Marzo 1859 ad Amburgo, poi in pubblico il 3 marzo 1860 ad Hannover nella versione definitiva pubblicata quell’anno stesso. Gioverà accennare al contesto professionale ed esistenziale del giovane compositore che, dopo la scomparsa del suo mentore Robert Schumann, proprio nel 1857 aveva accettato un incarico appartato, maestro di coro e docente di pianoforte, alla minuscola corte del principe musicofilo Leopoldo III di Lippe-Detmold, in Renania settentrionale – Vestfalia, 200 km. a Sud della natìa Amburgo, dotata anche di un’orchestra non spregevole. Doveva l’incarico sempre agli Schumann, per il tramite di Fredericke, sorella del principe, che Brahms aveva conosciuto presso Clara. Risalgono a quegli anni, coronamento della stagione creativa giovanile, i primi lavori sinfonici brahmsiani, tra cui il Concerto in re minore per pianoforte op. 15. Di quell’ambiente riservato, protetto e marginale, della «dolce vita di Lippe-Detmold, una corte in cui l’orologio si era fermato», la coppia di Serenate per orchestra (una seconda, op. 16, seguirà a ruota, nel 1858-59: furono i primi lavori brahmsiani a uscire a stampa) sono «come un riflesso», per dirla con Massimo Mila; riflesso anche d’una ritrovata serenità, a contatto con la natura silvestre, dopo gli anni turbolenti della malattia e morte di Schumann. Il 10 ottobre 1857 Brahms sosteneva, scrivendo a Clara, che «Il vero uomo ideale è tranquillo nella gioia e tranquillo nel dolore e nella sofferenza». Le due serenate rappresentano un ideale sonoro di bellezza storicizzata, filtrata attraverso uno sguardo che l’osserva collocata in un tempo remoto. Il rimando è al genere, praticato con esiti eccelsi da Mozart, della serenata, cortigiana e settecentesca, con la sua articolazione in molti movimenti. L’effetto è l’analogo sonoro d’una ceramica smaltata, preziosa e raffinata. L’avvio dell’Allegro molto, pagina in forma sonata che costituisce la pièce de résistance della serenata, è affidato a un tema giocoso e popolaresco esposto al corno silvestre sul bordone di viole e violoncelli, a stabilire subito un tono pastorale ma addomesticato, levigato dall’arte del compositore: situazione da cui promana già una dolcezza già tutta brahmsiana, in cui vigore e pienezza vitale convivono con un cospicuo dono melodico. Il successivo Allegro non troppo capovolge il modo in re minore, lasciando trapelare nella superficie smaltata delle venature inquiete, finché un’alata frase dei violini non introduce il Trio, schiettamente rusticano, in Si bemolle. Nella stessa tonalità è impiantato il vasto Adagio non troppo, la cui incantevole vena lirica è proposta dai clarinetti con l’eco dei corni. Un doppio Minuetto e un secondo Scherzo conducono al vigoroso Rondò conclusivo.
Raffaele Mellace
James Feddeck
direttore d’orchestra e direttore principale
Il talento musicale del direttore d’orchestra James Feddeck è riconosciuto in tutto il mondo.
Le ultime stagioni hanno visto il suo debutto con la Sinfonica della Radio di Vienna, la Deutsches Symphonie-Orchester di Berlino, la Royal Stockholm Philharmonic, la Filarmonica di Helsinki, l’Orchestre National de Belgique, l’Orchestre National de France, l’Orchestre National de Lyon, la BBC Philharmonic, la BBC Symphony Orchestra, la Royal Scottish National Orchestra e la Sinfonica della Nuova Zelanda.
In particolare, è apprezzato per le sue interpretazioni della musica di Anton Bruckner, grazie a una serie di acclamate esibizioni delle Sinfonie del compositore: l’Ottava con la San Francisco Symphony Orchestra, la Quinta in tournée con l’Orchestre National de Belgique, la Sesta con l’Orchestra Sinfonica di Dublino RTÉ e la Nona con la Sinfonica di Birmingham.
In Nord America, James Feddeck ha diretto la Chicago Symphony Orchestra, la Cleveland Orchestra e le Orchestre Sinfoniche di Dallas, Seattle, San Francisco, Toronto e Montréal.
Nell’agosto 2017 è stato pubblicato il suo primo CD in collaborazione con la Deutsche Symphonie-Orchester di Berlino e Deutschlandfunk Kultur, con le musiche di una delle più importanti figure neo-romantiche della Germania, Georg Schumann.